«Ti ho detto di lasciarmi! Non voglio!»
Una voce. Femminile, rotta dalla paura. E le sue orecchie la riconobbero subito.Joshua scattò in piedi. In quel grido c'era una richiesta di aiuto e questa volta non la poteva ignorare.
Si infilò la felpa di corsa e si precipitò giù per le scale, due gradini alla volta.
Il suono della voce, spezzata e carica di tensione, gli fece stringere i pugni. Il pensiero che qualcuno potesse farle del male gli accese una furia cieca. Spalancò il cancello con forza.
Appena Joshua varcò il cancello e uscì nel marciapiede, si fermò di colpo. Di fronte a lui, contro il muro della sua abitazione, c'era un ragazzo di spalle, i capelli lunghi alle spalle scendevano sulla giacca elegante nera. La postura rigida, il braccio sollevato e la mano stretta sui polsi di una ragazza.
Joshua riconobbe subito la figura, nonostante la visibilità ridotta del volto. «Ehi!» urlò.
La ragazza, piegata contro il muro, non riusciva a liberarsi dalla presa, il viso pallido e lo sguardo confuso, mentre il respiro le si faceva sempre più affannoso. L'altro, puntato lo sguardo su Joshua, lasciò andare la ragazza e si avvicinò, calmo. Si aggiustò la giacca. Si passò le dita tra i capelli neri, fissandoli in un codino basso, poi alzò lo sguardo.
Joshua lo guardò negli occhi e in quell'istante, tutto sembrò rallentare. Quegli occhi—azzurri, affilati come lame—gli provocarono un bruciore sordo al petto, qualcosa di profondo e antico, come se si fosse appena risvegliato da un sogno confuso. Sentì l'impulso di distogliere lo sguardo, ma non lo fece. Quel volto gli era nuovo, eppure...
Qualcosa in lui lo sfidava come un ricordo dimenticato.
Le mani si contrassero lungo i fianchi. Si accorse solo in quel momento di quanto fosse teso.
Joshua socchiuse gli occhi, oscurando lo sguardo. Aveva passato anni a trattenersi, ad addomesticare i propri impulsi. Ma in quell'occasione quelle catene potevano anche saltare.
«Tu...» Acab Damian. Joshua sentì che l'autocontrollo, in cui si era confinato fino a quel momento, avrebbe potuto vacillare.
Acab attraversò il marciapiede con passo lento, sistemando il cravattino con le dita affusolate.
«Acab...» azzardò Joshua. «Acab Damian»
L'altro batté le mani, soddisfatto. «Molto bene, figlio di Dio. Molto bene. Hai indovinato. Da cosa mi hai riconosciuto?» Ormai era a un passo da lui, le mani nelle tasche. «Dal fascino?» lo squadrò con un mezzo sorriso, dalla testa ai piedi.
«Dalla puzza d'inferno.» La voce di Joshua era bassa, dura. Lo sguardo accigliato, come un cane appena trattenuto al guinzaglio pronto ad attaccare. Con un'ultima occhiata alla ragazza si assicurò che non fosse ferita. «Che le hai fatto?»
Acab si voltò appena verso la figura minuta e immobile appoggiata al muro.
«Cosa avrei voluto fare, vorresti dire...»Fu in quell'istante che Joshua lo prese per il colletto impeccabile della giacca nera e lo scagliò contro il lampione.
«Ah!» rise, Acab. «Tranquillo, giovane dal nome quasi impronunciabile...» Alzò le mani in segno di resa, ma quel ghigno non accennava a scomparire dal suo volto.
Joshua lo fissò, un attimo di confusione attraversò il suo volto. Nome impronunciabile? Non si lasciò distrarre più di tanto.
«L'ho solo accompagnata a casa dopo un guasto alla sua macchina» continuò Acab, con voce falsamente rassicurante. Il suo volto, beffardo e strafottente, sembrava cucito addosso. Un volto che a Joshua provocò un bruciore pulsante alla bocca dello stomaco.
«Sai... non mi sembra proprio che lei sia soddisfatta della tua galanteria» ringhiò Joshua, la presa sempre più stretta, avvicinando pericolosamente la fronte a quella dell'altro, fin quasi a sfiorarla.
A quel punto, Ariel indietreggiò lentamente. Le mani tremanti sulle labbra, il respiro spezzato. Temeva il peggio.
Poi, con uno scatto dello sguardo, Joshua ordinò alla ragazza di andarsene. Un cenno del capo, secco.
Ariel esitò per un attimo, poi si voltò e corse via, sparendo dentro quella casa che a Joshua era sembrata disabitata.***
L'adrenalina che le faceva sussultare gli arti, le impediva anche di aprire la porta di casa. Le mani le tremavano mentre cercava di infilare le chiavi nella serratura, il terrore che da un momento all'altro qualcuno potesse urlare alle sue spalle le mozzava il respiro.
«Apriti! Apriti!»
Con un ultimo spasmo, la chiave girò. Ariel sgattaiolò dentro e richiuse con forza, restando con la schiena appoggiata al legno della porta, il petto che si sollevava a scatti.Senza togliersi le scarpe, salì le scale a due a due. Nella stanza da letto spalancò la porta, gettando la borsa a terra con un gesto nervoso. Il pensiero che tra i due ragazzi fosse successo l'indicibile le si attorcigliava allo stomaco.
Aprì la portafinestra, si affacciò al balcone e si lasciò piegare alla ringhiera, i capelli che scivolavano oltre il metallo, spinti da un filo di vento.Una sfera di luce abbagliante si era materializzata improvvisamente vicino alla casa di Joshua, come se la notte stessa avesse deciso di nascondersi. Ariel dovette coprirsi gli occhi, lanciando uno sguardo furtivo solo quando la luce si spense, lasciando dietro di sé un residuo di calore nell'aria.
Quando abbassò le braccia, guardando di nuovo di fronte a sé, si rese conto che non c'erano più tracce di né di Acab, né di Joshua.Non riusciva a capire se fosse sollevata o se quella sensazione d'inquietudine stesse scavando sempre più dentro di lei.
Sbarrò gli occhi, sentendosi vuota, come se la scena che aveva appena visto fosse troppo surreale per rimanere nella sua mente senza lasciare una scia di inquietudine.
Si lasciò cadere sul pavimento freddo del balcone, le mani che si stringevano al viso, cercando di focalizzare la mente. La luce, quell'esplosione di energia, aveva a che fare forse con Joshua?
Forse era solo il risultato di un suo shock mentale.
In quel momento, la sua mente andò a cercare una spiegazione, ma le restavano solo domande.Inalò a pieni polmoni l'aria umida di ottobre e rimase lì, immobile, a ripensare a tutto ciò che era appena accaduto.
La sua auto in fiamme. Acab che si offriva di accompagnarla. Quelle strane sensazioni in sua presenza, fino a quando...I suoi occhi.
Gli occhi di Acab l'avevano fatta sentire...Volubile. Troppo volubile.
Si strinse le gambe al petto e vi nascose il viso, poggiando la fronte sulle ginocchia.Un pensiero inatteso la attraversò come un lampo: Joshua e Acab avevano qualcosa in sospeso.
"Figlio di Dio"...
I ragazzi, di solito, non si parlavano così."Puzza di inferno?"
Una risata nervosa le scappò tra le labbra. Che fantasia...Voleva saperne di più. Non conosceva davvero i due, né tantomeno Acab.Si alzò in piedi e tornò a fissare la strada e i suoi occhi scivolarono involontariamente verso la casa di Joshua. Quando si rese conto che lui abitava proprio di fronte a lei, un pungolo acuto le attraversò il petto, come una scossa elettrica.
Serrò il labbro tra i denti, le mani strette sulla ringhiera di metallo, cercando di non cedere alla curiosità che le cresceva dentro.
No, Ariel. No. Si rimproverò con fermezza, il suo respiro accelerato. Il freddo della notte le penetrò attraverso la giacca di jeans. Si voltò di scatto, decisa a non cedere alla tentazione di pensare a quella porta.
Tornò nella sua camera, il suo cuore ancora troppo agitato per trovare pace.
E' tutto così strano... trovarsi a pochi passi dalla sua casa, dopo che l'universo l'aveva messa accanto a lui in momenti così diversi. Dal Lithium party, alla segreteria, poi come colleghi e infine come vicini di casa. In ogni occasione sempre pronto a difenderla.
Sempre pronto a salvarla.

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IL NOME DI GESÙ CRISTO - (in fase di aggiornamento)
ParanormalPadre Simon da tempo ha una missione: deve proteggere le anime sfuggite ai Lucifer. Tra queste anime c'è Joshua, un ragazzo che possiede un dono fuori dal comune. Mentre le ombre dei Lucifer si allungano su Filadelfia, un solo nome sembra capace di...