Capitolo 1

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-WINTER-

Ellie's POV

Con un calcio pieno di stizza, scagliai un sassolino giù dal piccolo pendio. Udii quattro rimbalzi della pietruzza poi, il silenzio. Di nuovo quel maledetto silenzio. Non un suono, non una voce. Solo quella desolazione e quella solitudine. La odiavo. Detestavo il silenzio. Lascia solo spazio alle voci dei ricordi. Gli permette di tornare a galla, prepotenti, sempre nei momenti sbagliati. E i miei di ricordi, non erano molto piacevoli. O per lo meno, non gli ultimi, ovvero proprio quelli che tornarono a frullarmi nella testa. Il litigio con Joel. La mia fuga. Lui che gridava il mio nome. E io che non tornavo indietro. Ultimamente non facevamo altro che litigare. Forse perché l'argomento di conversazione era sempre lo stesso: la notte all'ospedale delle luci. Gli ho chiesto più di una volta, cosa fosse successo realmente quella notte. Ma lui, testardo e irremovibile, continuava a mettere in ballo la solita scusa. Ormai l'avrà ripetuta così tante volte, che lui stesso avrà cominciato a crederci. Ma io no. No, non volevo crederci. Sapevo che mentiva. Glielo si leggeva negli occhi. Me lo aveva giurato. Più di una volta. Ma niente di tutto quello che mi diceva era vero. Come poteva aspettarsi che io credessi seriamente che esistevano dozzine di persone come me, immuni? E come poteva pensare che io non mi facessi delle domande, quando mi sono ritrovata sdraiata in una macchina, con un camice da ospedale indosso? Ma soprattutto, come ha potuto anche solo pretendere che io seppellissi tutti i miei dubbi, dimenticando e lasciandomi tutto alle spalle? No Joel, io non sono come te. Non potevo semplicemente dimenticare. E di certo non lo volevo. Ma anche se avessi voluto, gli incubi avrebbero continuato a tormentarmi, giorno e notte. Ed effettivamente era proprio questo che accadeva. Poco importava se fossero flashback o incubi ad occhi aperti, quelle immagini, quei momenti, io continuavo a riviverli. Ero prigioniera del mio passato, troppo doloroso per essere lasciato alle spalle. Tutto quello che avevo vissuto fino a quel momento, era costantemente con me, qualsiasi cosa stessi facendo. I fantasmi del mio passato, continuavano ad infestare il mio presente. E nessuno, sembrava riuscire a capirmi. Nessuno riusciva a tirarmi fuori da quel vortice. Tutti sembravano aver dimenticato. Ma un'infanzia strappata, quella non si dimentica. Un'innocenza profanata, ti segna per tutta la vita. E io era così che mi sentivo. Sola. Sola in mezzo a tanti volti che, in qualche modo, riuscivano a ritrovare un po di felicità. Ma la fredda solitudine che provavo io, nessuno la percepiva. La solitudine. Quello di cui ho più paura. Rimanere sola. Ed era esattamente quello che mi stava accedendo. Avevo perso tutti. Tutti coloro con cui avevo stabilito un legame, mi avevano lasciata: Riley, Tess, Sam. Tutti vittime del Cordyceps. Vittime della malattia per cui io dovevo essere la cura. La cura per questo branco di animali, che ancora chiamavamo umanità. Ormai pochi potevano realmente definirsi umani. E probabilmente, io non facevo neanche più parte di quei pochi. Ero cambiata. Sapevo di esserlo. La Ellie di appena alcuni mesi prima, non c'era più. Cercando di distrarmi, infilai la mano nella tasca del parka, afferrando il mio walkman. Appena ebbi incastrato le cuffie nelle mie orecchie, premetti il tasto play. La musica era forse una delle poche cose che manteneva vivo in me un legame con gli anni più felici del mio passato. Al ritmo di I got you Babe percorsi a passo spedito gli ultimi tratti del bosco nel quale mi trovavo. Quella canzone mi ricordava dannatamente Riley. L'ultima serata con lei. La sera in cui sono stata morsa. Il momento in cui tutto è cambiato. Per sempre. Ma rammentando quei momenti, rimasi relativamente impassibile. Ormai avevo imparato a sopprimere le mie emozioni. In questo mondo, chi si fa condizionare dai propri sentimenti, dura ben poco tempo. Canticchiando fra me e me, alzai lo sguardo: il cielo era di nuovo visibile, non più coperto dai rami spogli degli alberi. Le prime case in rovina iniziavano ad intravedersi fra i rami delle ultime piante. Il suono dei miei passi stava cambiando. Sotto ai miei piedi non cera più lo strato di foglie bagnate e terriccio del bosco, ma un vecchio sentiero di sabbiolina e ghiaia. Mi stavo addentrando in una sorta di paesino abbandonato. Sul muro di una catapecchia diroccata, scorsi un segno rosso. Due ali. Il simbolo delle luci. Lentamente, mi avvicinai. Vederlo mi faceva tutto un altro effetto rispetto a quando mi trovavo a Boston. Non li consideravo più il gruppo di coraggiosi ribelli, che combattevano per la libertà. Erano corrotti, come del resto tutto in quel mondo. Stavano sbaragliando l'esercito, compiendo massacri e carneficine senza nessuna pietà. Da che erano rimasti in quattro gatti sgangherati, il loro numero era aumentato vertiginosamente. Ho sentito che il maggior contributo era stato dato dai giovani, ragazzi anche della mia età. Che ci trovavano in quegli assassini, non riuscirò mai a spiegarmelo. Come se non bastasse, avevano iniziato anche a darmi la caccia, giusto per confermare i miei dubbi sulle parole di Joel. Feci per proseguire, quando la canzone nelle mie orecchie si interruppe, lasciando di nuovo spazio al silenzio. Ah merda! Sbuffando, mi tolsi un auricolare, tentando di capire perché quel dannato affare non funzionasse. Proprio in quel momento, il rumore di un mattone frantumato mi fece scattare allerta. Immediatamente, mi accucciai a terra, con la pistola stretta nella mano destra. Avanzando, mi accostai ai resti di una parete di pietra. Stavo decidendo se fosse meglio prendere l'arco, quando vidi un'ombra proiettata davanti a me. Con terrore, mi accorsi che impugnava un machete. Senza pensarci due volte, mi girai di scatto. Dalla mia pistola, partì un colpo.

The Last of us - Dead Hearts Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora