CAP. 4

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MARGHERITA POV'S

Cominciai a dirigermi verso il conservatorio di Santa Cecilia. Avrei tanto voluto essere accompagnata da Mattia, era una giornata molto importante per me. Avrei aperto le porte di un nuovo mondo, un nuovo mondo bellissimo quanto spaventoso. Si, spaventoso. Dentro di me infatti continuava a crescere quel maledetto senso di mal essere, forse causato dalla paura di un ambiente tanto desiderato ma tanto nuovo. Mi avevano sempre fatto molta paura le cose nuove, forse a causa del mio carattere schivo e riservato. A volte preferivo starmene da sola, lontana dal mondo, rinchiudendomi nella mia bolla. Ad essere sinceri capitava spesso. Quasi sempre. Può sembrare un carattere da asociali,  a tratti da persone snob, che si allontanano dagli altri solo perché non le reputano alla loro altezza. Per ne era tutto il contrario. Ero io a non sentirmi mai all'altezza della situazione e delle persone. Sempre debole e insicura. Gli unuci posti dove poter rilegare queste mie numerose fragilità erano proprio la musica e un foglio bianco. Spesso mi capitava di chiudermi in stanza e lasciarmi trasportare nel fantastico mondo della scrittura, dove tutto mi appartiene, dove tutto mi è concesso. Dove posso essere chi mi pare e soprattutto dove non devo avere paura a mostrarlo.

Sta di fatto che farmi accompagnare da Mattia questa mattina non era il caso. Avrei dovuto cavarmela da sola.
La questione della password mi insospettiva, ma mi insospettiva soprattutto la sua reazione alla mia domanda... Mi nascondeva qualcosa. La cosa che più mi faceva alterare era questa: un fatto estraneo ai miei occhi. Sono una persona molto curiosa, ma non ficcanaso. Se la gente le cose me le vuole dire, le ascolto attentamente, immedesimandomi a pieno nel contesto. Se qualcuno mi tiene nascosto qualcosa che non mi riguarda, non faccio domande. A me in prima persona non piacerebbe avere a che fare con persone che si fanno gli affari miei.
Se la cosa però mi riguarda, cambia tutto. È mio diritto sapere, è mio diritto conoscere.

Sbuffai facendo uscire dalla mia bocca una piccola nuvoletta di vapore, formatasi a causa della fredda mattinata. Misi le mani nelle tasche della giacca e rintanai il collo dentro il colletto, per riuscire ad assorbire a pieno il calore del mio corpo. Cominciai a camminare.
Nonostante i miei 18 anni compiuti da qualche mese, ancora non ero riuscita a prendere la patatente. Cosa da segnare in stampatello rosso sul mio diario delle "cose da fare".

Mi avvia verso la strazione degli autobus e dopo aver dato una veloce controllata alle piantine e agli orari di quei numerosi e sconosciuti autobus di Roma, trovai l'autobus perfetto, che mi avrebbe portata direttamente davanti al conservatorio. Soltanto quando controllai l'orario fui colta da puro panico.

7.50
Alzai lo sguardo e vidi il mio mezzo prediletto allontanarsi lentamente. Non potevo perderlo. Non oggi, non il mio primo giorno di conservatorio. Ricordavo ancora quando il primo giorno delle medie ero arrivata tardi a scuola, a causa di mio padre. Trovare la classe ed entrare erano state le imprese più ardue. Tutti mi avevano fissata mentre mi posizionavo nell'unico banco rimasto vuoto e il mio volto si era acceso di un rosso fuoco. Mi ero ripromessa di non tardare più in vita mia.

Cominciai a correre. Ero quasi arrivata vicino alla mia destinazione quando qualcosa urtò il mio corpo, scaraventandomi per terra.

Fu un attimo.

Mi ritrovai con le ginocchia al suolo, doloranti per l'impatto appena ricevuto.


"Ahi!"


Esclamai scrollandomi le mani sbucciate che avevo posizionato per evitare un piacevole scontro facciale con il morbido cemento.


"Tutto bene?"

Una calda voce maschile mi riportò alla realtà. Alzai lo sguardo e subito un ragazzo non troppo alto, con la pelle olivastra e i capelli corvini mi porse la mano, come per aiutarmi ad alzarmi. Prima di afferrarla però osservai la mia speranza di arrivare in orario allontanarsi per le intricate strade di Roma.



"Oh no!"



Uno strano sbuffo esasperato uscì dalla mia bocca.
Subito mi ricordai di non essere sola e rialzai lo sguardo sull'ostacolo che aveva impedito la realizzazione del mio piano per non arrivare tardi.
Il ragazzo fece una faccia preoccupata, probabilmente pensando che lo strano verso proveniente dalla mia bocca. Subito lo tranquillizzai.


"Cioè, si, non preoccuparti, sto bene. Però ho appena perso l'autobus della mia salvezza"

Afferrai la sua mano sospirando. Era calda, proprio come la sua voce.


"Mi dispiace... Mi sei corsa addosso, non sono riuscita a schivarti"


Disse lui mortificato.


"Non ti preoccupare, non è colpa tua.
Ora però é meglio che vada, mi aspetta una lunga scarpinata verso il conservatorio di Santa Cecilia."


Dissi, cercando di allontanarmi il prima possibile da quello spiacevole avvenimento. Inoltre era vero: avrei dovuto fare una lunga camminata.
Lo sconosciuto però mi fermò ancora una volta.

"Aspetta! Se vuoi ti posso dare un passaggio. È anche colpa mia se hai perso l'autobus..."

Disse spostando con un piede un sassolino.




"Oh, grazie"



Abbassai lo sguardo imbarazzata. Non ero una persona che saliva in macchina con il primo che capitava, ma quel ragazzo era la mia ultima salvezza. Inoltre sembrava un ragazzo per bene, nonostante non riuscissi ad intravedere i suoi occhi coperti da due specchi scuri.


"Vieni ho la macchina qui vicino"

Disse lui indicandomi un vicolo.


Seguii il ragazzo in religioso silenzio.

IL CAPOLAVORO CHE È IN ME ||ULTIMODove le storie prendono vita. Scoprilo ora