PROLOGO

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Kate aprì gli occhi di scatto, sollevandosi con i gomiti puntati su uno spoglio materasso, senza lenzuola né copriletto. Sbatté più volte le palpebre e si guardò intorno col respiro affannato, la gola e le labbra fastidiosamente riarse e la fronte madida del sudore freddo di chi è reduce di una serata trascorsa a svuotare bottiglie e pacchetti di sigarette.

Gli occhi chiari si posarono sulla finestra aperta dinanzi al lei, che dava su un panorama mozzafiato della città da cui provenivano il tepore di un vento caldo d'estate e la luce accecante del mattino ormai inoltrato. Schermò il viso con una mano per proteggersi da quel fastidioso bagliore che invadeva la stanza, così diverso dall'inquietante penombra onirica da cui era appena risalita e, dopo aver stropicciato le palpebre, si liberò finalmente di quel sentore di sonno, assimilando la consapevolezza d'essere nel suo nuovo appartamento.

Si mise seduta sul candido materasso che odorava di nuovo, ricordandosi come si era lasciata andare al sonno la sera precedente, senza neanche avere la forza di sistemarlo almeno con un paio di lenzuola e un cuscino, ormai stremata dalla fine del trasloco e dai festeggiamenti.

Osservò l'ammasso di scatoloni stipati in un angolo e si lasciò ricadere a peso morto, sbuffando all'idea degli altri mucchi altrettanto grandi che l' aspettavano sparsi per ogni stanza della casa.

Ci pensò il trillo acuto del cellulare, perso chissà dove tra la miriade di cianfrusaglie sparse per la stanza, a ricordarle immediatamente che era ritardo e, oltre che a farla sbuffare di rassegnazione, già conscia dell'identità della persona all'altro capo del ricevitore.

Si sollevò a fatica dal letto e prese a frugare di malavoglia tra gli scatoloni, fino a individuarne la sagoma sommersa tra i vestiti lanciati in un angolo la sera precedente.

«Ehi» mugugnò, senza neanche controllare il display prima di rispondere. Tre sole persone potevano chiamarla a qualsiasi ora del giorno e della notte. Due di queste erano probabilmente impegnate a superare il traffico. La restante invece, rispondeva al nome di Jazmine Neibrow, al secolo, la sua migliore amica.

«Finalmente!» la sentì esclamare, con una punta d'esasperazione. «Ma dove diavolo eri?!»

 Kate sollevò un angolo della bocca nell'accenno di un sorriso, per poi biascicare una giustificazione più o meno veritiera: «Scusa, dormivo.»

Lei emise uno sbuffo contrariato. «Sei ancora a letto?»

«Sì, mi sono alzata ora.»

«Avevi detto che non avresti ritardato!» la sentì protestare mentre, senza ascoltare il resto dei suoi classici borbottii, si distendeva di nuovo supina sul materasso, fissando lo sguardo sul soffitto imbiancato di fresco.

«Ho fatto tardi ieri» provò a spiegarsi, interrompendo la sua filippica e una smorfia di eloquente disappunto nacque sul suo viso, «e poi non succede nulla se ritardo di una quindicina di minuti.»

«Non puoi permetterti altri casini, lo sai» rispose lei, ridacchiando appena per l'ostinata contrarietà che Kate continuava a mostrare nei confronti di quella situazione. «Dì piuttosto che hai avuto un impegno urgente.»

«Te l'ho detto, quindici minuti non hanno mai ucciso nessuno.»

«No, ma potrebbero influire sulla tua condotta che non è delle migliore. Esiste una cosa che si chiama 'rispettare le regole', te l'hanno mai detto?»

«Dove sei?» le domandò, tentando nuovamente di porre fine all'inutile tentativo di farla sentire in colpa.

«Davanti all'università. Tu tra quanto arrivi?»

«Sette minuti più o meno. Dovrei essere lì tra poco» si soffermò per un attimo, probabilmente per controllare l'ora sullo schermo, ed aggiunse: «La lezione inizia tra dieci minuti, no?»

«Ti vengo a prendere» si propose subito l'amica.

«No, lascia stare» ribatté però lei, lasciandola interdetto. «Hai qualcosa d'importante da fare oggi.

 «È solo una stupida presentazione del mio progetto» la rassicurò perciò, senza nascondere l'insofferenza nella sua voce.

«È importante, Jaz» le disse, calcando l'intonazione su quel nomignolo e facendo nascere sulle labbra dell'amica un sorriso sincero. «Cerca di non essere la solita.»

«Mi auguro che tu arrivi in tempo e non finisca di nuovo in presidenza.»

«Mi hanno ridato la macchina» le ricordò lei, con la medesima voce autoritaria, e le fu impossibile trattenere un mugugno scocciato.

«Lo so, non combinare altri casini.»

 Kate si massaggiò le palpebre e fece schioccare la lingua. Voleva bene a Jazmine ed era seriamente felice di averla come amica, ma era altrettanto appurato che la bionda sapeva essere una vera piaga quando ci si metteva.

«Ci proverò» borbottò allora, semplicemente per farla contenta. La sentì sospirare per l'esasperazione, dato che la conosceva troppo bene.

«Devo staccare. Ci sentiamo più tardi» dichiarò, sovrastando l'eco delle voci che si sentivano in sottofondo.

«Ok» replicò lei semplicemente, aggiungendo uno sterile "ciao", prima di riattaccare.

Una mano andò a far scorrere le dita tra i capelli lisci, forse ormai un po' troppo lunghi, di un castano così scuro da sembrare cioccolato fondente. Ci giocherellò un po' distrattamente e andò a ritroso con la mente nei ricordi, alla volta in cui, quando era ancora un bambina, un vecchio pittore che dipingeva per strada per guadagnare qualche spicciolo l'aveva invitata ad avvicinarsi per farsi ritrarre e le aveva detto che, quella tonalità di castano, prendeva curiosamente il nome di "ombra".

 Kate all'epoca non ci aveva fatto poi così tanto caso, ma nel tempo quella specie di strana profezia si era come avverata nella sua vita, proprio come una sagoma scura. C'erano fin troppe zone buie dentro di lei, posti in cui aveva perfino paura di avventurarsi, temendo di essere colpita dalla vertigine e di cadere, riaffondando ancora una volta giù.

Eppure quel quadro lo conservava ancora. Non aveva mai smesso di portarlo con sé, ovunque andasse, incapace di separarsi da quella che un tempo era stata la sua immagine; tanto che qualche volta si ritrovava a chiedersi che fine avesse fatto il vecchio artista dallo sguardo troppo profondo e scuro, rabbrividendo per la sciocca idea che questo fosse stato in grado di vedere dentro di lei e in ciò che l'aspettava nel futuro.

Si riscosse come per svegliarsi da un brutto sogno, portando una mano a stropicciarsi la faccia, quasi volesse scorticarsi via di dosso quei pensieri, sollevandosi a fatica dal letto e dirigendosi verso il bagno.

Non era proprio tempo di ripensare al passato, non era il momento giusto per rimuginare su cose che avrebbe dovuto relegare nel fondo della sua mente, nascoste dal buio, molto tempo fa.

C'era la sua vita che continuava a scorrere inesorabile, e lei non poteva perdere tutti quei momenti per guardarsi indietro. Doveva solo inseguirla a perdifiato e afferrarla al volo, una volta per tutte.


Teach me, Prof!Where stories live. Discover now