Prologo

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Plick, plick, plick.

Le gocce di pioggia penetravano all'interno della stanza abbandonata tramite il soffitto marcio. Se si guardava più attentamente, dai vari buchi di cui era tempestato si potevano scorgere anche le assi del tetto. Alcune delle gocce cadevano dentro secchi posizionati sotto le perdite più massicce, altre contro il vecchio pavimento in legno marcio e altre ancora colavano lungo i muri crepati. Soprattutto, cadevano sul corpo della giovane ragazza, spaventata e rinchiusa in quel luogo decadente e dimenticato.

Plick, plick, plick.

La ragazza si chiese se lei stessa non sarebbe stata dimenticata, sepolta in una fossa da qualche parte nella foresta vicina. Magari era ciò che si meritava. Magari era tutto un disegno ideato da qualcuno al di sopra di lei, nonostante non avesse mai creduto in nessuno dio. Magari.

Plick, plick, plick.

Un rumore continuo, preciso, pedante. La ragazza, che in una situazione migliore avrebbe avuto dei folti capelli castani, presentava una zazzera di capelli sporchi e disordinati. Qualcosa in lei faceva pensare a un animale selvatico, gli occhi grigi illuminati da uno sguardo ferino, perso chissà dove. Era seduta su una vecchia sedia, l'unico pezzo di arredamento nella stanza spoglia, e teneva le mani sulle cosce, strette in una preghiera silenziosa. Aveva le labbra screpolate, il viso magro e scarno segnato dalle privazioni, più spigoloso di quanto non lo fosse normalmente. Le mani erano rovinate, la pelle secca e irritata, le dita lunghe e dalle unghie mangiucchiate. Indossava una felpa nera, logora, di diverse taglie più grande. A completare quell'aspetto aspetto anonimo e trasandato vi era una chiazza rossa, grossa e irregolare che le macchiava l'incavo tra il collo e la mandibola. Era abituata a coprirla con la vecchia sciarpa che ora giaceva a terra, zuppa e abbandonata.

Nella stanza non era sola. Di fronte a lei un ragazzo sulla ventina la osservava, seduto sul pavimento. In viso aveva un sorriso divertito.

Lui indossava una maglia azzurra, sporca di fango sul lato inferiore, che riportava il nome di qualche band poco conosciuta. I capelli biondi, in condizioni nettamente meno disastrose in confronto a quelli della ragazza, erano raccolti in un codino. Aveva i tratti morbidi e gli occhi di un verde spento. Da un lato della bocca gli usciva un rivolo di sangue, ma lui non ci faceva caso. La pelle olivastra delle braccia era innaturale. A osservarlo meglio, tutto in lui era innaturale. Non si sarebbe potuto dire il perché, ma aveva qualcosa di disturbante, motivo per cui lei gli aveva concesso solo pochi secondi prima di distogliere gli occhi da lui.

Plick, plick, plick.

Il ragazzo si alzò in piedi, pulendosi il sangue con il dorso della mano, senza abbandonare quel sorriso. La ragazza continuava a guardare lontano, tremando leggermente. Il biondo aprì le braccia, ridendo. La ragazza non lo aveva mai sentito ridere così. Lui non era mai stato così. Ciò che le si mostrava di fronte non era che un guscio vuoto, un corpo che ospitava la "cosa" che le stava dinanzi. Chiunque avesse posseduto quel corpo prima, ora era morto. A quel pensiero si morse il labbro inferiore, i sensi di colpa che le toglievano il respiro.

«Ce l'abbiamo fatta, Tyché!» Il tono di voce le era estraneo. Non aveva nulla a che fare con quello chiaro del ragazzo con cui aveva parlato per anni. 

«Beh? Cos'è quella faccia triste? Siamo liberi!»

Il vento freddo che entrava dal soffitto le passava sotto i vestiti, facendola rabbrividire. Ricordò l'inverno rigido appena passato: avevano bazzicato da un posto fatiscente all'altro, tutto per coronare i sogni del ragazzo che la ragazza chiamata Tyché aveva amato più di se stessa.

E che aveva inavvertitamente ucciso.

«Ti prego, sono in pensiero. Amore mio, perché non mi guardi in faccia?» 

Defeated God || Ticci TobyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora