• 19 - Lacrime miste a pioggia

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"Qual'è il tuo più grande desiderio?"
"Un bacio sotto la pioggia.", rispose, "Il tuo?"

"Che inizi a piovere." - Cit.

●●

Il giorno dopo sono nell'ufficio del mio capo, seduta su una delle tre poltrone dinanzi la sua scrivania in mogano.
Il posto di fianco al mio è occupato dal pover uomo delle pulizie che ora ha il setto nasale spaccato e un occhio gonfio.

Ogni volta che lo guardo mi viene naturale fare una smorfia.

Non credevo di avergli dato un calcio così forte, e poi se fosse stato un ladro io ora sarei una vera eroina.

"Roberts, che cosa ci faceva nell'ufficio, ieri, a quell'ora?",

"Io stavo finendo di mettere a posto le cose e prima di andarmene ho guardato per l'ultima volta fuori dalla finestra. Ho visto un furgone nero, dalla quale sono usciti degli uomini con degli aggeggi in mano, che poi si sono avvicinati al custode. Quest'ultimo ha dato loro un pacchetto. Sembrava una scena di GTA!", spiego come meglio posso, anche se perfino io sono ancora incredula.

La sfiga mi viene proprio dietro a braccetto, anzi, attaccata alle mie spalle come una seconda pelle.

"Questo fatidico aggeggio che tenevano in mano gli uomini delle pulizie erano semplici mazze, semplici secchi, semplici bidoni dove buttare la spazzatura. E questo fatidico pacchetto che hai visto, conteneva tutte le chiavi di tutte le stanze dell'edificio. ", ringhia l'uomo guardandomi.

"Che cazzo ringhi a fare? Ti comportavi come un ladro. E ridevi da solo!",

Mi fulmina con l'altro occhio rimasto, e allora sbotto.

"Ti spacco anche l'altro se ti azzardi a guardarmi così.", affermo puntandogli il dito contro come fanno le madri quando stanno per picchiarti.

Improvvisamente la porta dell'ufficio del capo si spalanca e fa il suo ingresso trionfale una figura alta e slanciata.
E non mi ci vuole molto per capire che si tratti di Richard non appena il suo profumo giunge alle mie narici.

Adesso lo sistemo.
Anzi, non adesso.
Prima me ne vado, dopo lo spello per bene.

"Ora dovrei andare, se non le dispiace.", faccio forza con le mani sui braccioli della sedia e pianto per bene le scarpe sul pavimento.
Mi avvicino sempre di più a Richard,  e quando mormora il mio nome, come per chiamarmi, lo supero velocemente sbattendo apposta contro la sua spalla.

Questo era anche il mio giorno libero, perciò me la filo a casa e mi comporto come ha fatto lui.
Non lo saluto nemmeno.

"Stephanie!", come immaginavo, mi ha seguita.

E mi ritrovo sempre a dover combattere contro le mie guance che vogliono farmi sorridere.

Ma cos'hanno che non va? Dannazione non c'è nulla da ridere.

"Che c'è?", mi volto verso di lui.
Noto che ha tagliato leggermente il ciuffo che lo infastidiva sempre, e sinceramente sta ancora più bene.

"Come che c'è? Ti ho fatto qualcosa?", chiede con una scintilla di esasperazione negli occhi. Fa per passare una mano tra i suoi capelli, come se li avesse ancora lunghi, ma si accorge che non c'è bisogno di spostarli e nasconde il braccio dietro la schiena.

Per un Manhattan di troppoWhere stories live. Discover now