Before the Winter Solder

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[Why did you smiling?]

«Come sta il mio ragazzo?» la voce rauca e sarcastica di Rumlow risuonò con un basso eco nella cella in cui Bucky era tenuto prigioniero.
Le missioni del Soldato D'inverno venivano eseguite in vari periodi alterni, certe volte erano frequenti e numerose, e altre invece gli lasciavano così tanto tempo libero da essere sottoposto a continui controlli ed esperimenti da parte dell'hydra.
Bucky era stato rianimato dall'ibernazione da molto tempo ormai, trasformato nel perfetto mercenario in cui tutti aspiravano. Da circa un anno e mezzo era stato affidato sotto il controllo di Brock. C'era stata freddezza all'inizio, d'altronde, un uomo creato per uccidere, torturato e sottoposto a trattamenti strazianti non aveva molta familiarità con altri individui. Poi tutto cambiò quando un tardo pomeriggio d'inverno -Bucky lo poteva capire dal familiare gelo che soffiava tra le pareti spoglie- come era ormai di routine, era rientrato da una missione. Aveva ucciso dieci uomini dello S.H.I.E.L.D., ma purtroppo una donna dai capelli rossi lo aveva colpito, e Bucky rischiava una forte cancrena alla gamba, dove una scarica di proiettili gli aveva fatto perdere molto sangue. Era un super soldato sopravvissuto ad una caduta durante la seconda guerra mondiale, ai cosiddetti medici dell'hydra non importava poi granché di incidenti simili. Se la sarebbe cavata, avevano asportato i proiettili e ricucito la ferita, tutto accompagnato dalle urla di dolore di Bucky, cosciente e privo di qualsiasi tipo di antibiotico o antidolorifico.
Lo avevano chiuso nella sua cella, una piccolo stanza dalle pareti color muschio priva di finestre, con un materasso al centro e nulla più. Urlava, mugugnava, gemeva perché quella dannata ferita pulsava in maniera insopportabile, i punti sembravano filo spinato attorcigliato sotto pelle, e la medicazione era già zuppa di sangue. Dopo anni, per lui ormai nessun tipo di dolore era insopportabile. Era vero che la maggior parte delle volte poteva essere straziante, intenso, regolare, bruciare e gelare le carni allo stesso tempo. Il dolore era capace di immobilizzarlo o farlo contorcere. Ma di una cosa era certo Bucky, pur di attaccarsi disperatamente a quella vita straziante, il dolore veniva sopportato, a denti stretti ed in silenzio, diventando così un'abitudine.
Ma quella volta era diverso, in verità, gli faceva più male la realtà che la ferita. Mentre uccideva senza pietà quei volti estranei e nemici, dalla finestra del palazzo di vetro in cui aveva fatto irruzione, l'ex soldato americano scorse da lontano l'immagine su di un manifesto di un uomo vestito di blu, con uno scudo su di uno sfondo a stelle e strisce. Il cuore si strinse in una morsa improvvisa, e i suoi occhi associarono quell'uomo famoso e strumentalizzato dalla società a qualcuno di dannatamente familiare. Non fece in tempo a leggere il titolo del cartellone, probabilmente era la pubblicità di qualche evento o cose simili, ma fu proprio quell'immagine che lo distrasse dai colpi di pistola della donna chiamata Vedova Nera.
Urlò nella sua prigione perché pensò per la prima volta a qualcosa di concreto, pensò alla sua vita. Si domandò se anche lui avesse avuto dei genitori come i bambini che scorgeva durante le sue vedette in città, si domandò se anche lui avesse avuto una persona fidata e intima, magari era stato come le coppiette di adolescenti che passeggiavano allegramente per le strade delle città, spensierate ed ignare del pericolo che avrebbe potuto incombere grazie alla sua presenza. Pensò a quell'uomo dagli occhi azzurri sul manifesto, e si stupì quando si accorse di aver ricollegato tutti quei pensieri a lui. C'era un filo conduttore con quel personaggio? Perché stava reagendo così dopo le numerose scene ben più disturbanti a cui aveva assistito?
Aveva ormai ucciso un numero indeterminato di persone, senza provare il minimo rimorso, e adesso stava piagnucolando come un animale ferito per colpa di un manifesto.
Rumlow era di guardia. Bucky piangeva e urlava così forte da farsi sentire persino oltre la porta blindata. Brock pensò per alcuni minuti a ciò che avrebbe potuto fare per farlo smettere, se avesse continuato ancora, qualcuno sarebbe andato dal soldato e lo avrebbe di certo fatto tacere con le maniere forti. Aprì il pesante portellone della cella, chiudendolo rumorosamente alle sue spalle ed inginocchiandosi frettolosamente di fronte a Bucky, rannicchiato in posizione fetale con la testa fra le mani.
Brock gli afferrò la divisa nera, scuotendolo da una spalla, attirando la sua attenzione. Bucky lo fissò ed iniziò a tremare come una foglia. Gli occhi rossi, gonfi di lacrime, il viso deturpato dal dolore e dalla stanchezza; i capelli lunghi erano incollati alla fronte per colpa del sudore, e le labbra carnose erano diventate viola e gonfie. La perfetta macchina per uccidere dell'hydra era diventata un fragile uomo sotto shock, indifeso.
«Ti prego non farmi del male.» lo gemette con le labbra umide e fra i singhiozzi, alzando le mani e continuando a tenere le ginocchia salde al petto.
Rumlow trattenne il fiato. Aveva visto agire il Soldato D'inverno in diverse occasioni, e spesso lo aveva temuto, lo spettacolo che gli si stava presentando davanti era patetico quanto penoso. Nei confronti di Bucky nutriva tenerezza e pietà.
Gli prese il capo fra le mani e spinse il suo corpo massiccio verso di se', in un abbraccio intimo e speciale. Poggiò le labbra sulla testa di Bucky e strinse con più forza il suo corpo, sgualcendogli i vestiti.
«Smetti di piangere, non ti faccio nulla.»
I gemiti di Barens erano ancora irregolari e incontrollabili, così violenti che avrebbero potuto stroncarlo.
«Ci penso io a te da questo momento in poi, capito? Nessuno ti metterà più le mani addosso finché ci sarò io, te lo prometto. Hey, guardami» gli afferrò il viso umido fra le mani e lo portò alla sua altezza, notando che finalmente Bucky aveva smesso di piangere e stava riprendendo fiato.
«Mi hai capito?» ripeté autoritario. Il soldato annuì ingenuamente, provocando in Rumlow un sorriso sereno.
«Bravo il mio ragazzo.»
E da quell'episodio, il rapporto tra la guardia ed il mercenario si era evoluto ogni giorno di più. Da un'amicizia segreta, certe volte, i gesti di Rumlow erano diventati più intimi e sfacciati.
Bucky non capiva, e non opponeva nemmeno resistenza. Stava in silenzio, a fissare il vuoto. Brock lo radeva, gli disinfettava le ferite, gli lavava i capelli e gli portava razioni speciali di cibo. Ma in cambio, l'uomo voleva qualcosa che solamente l'ingenuità di Bucky poteva dargli. Certe volte erano dei baci un po' troppo spinti, altre volte ancora delle toccatine provocatorie, e solamente due volte Rumlow si era dato da fare seriamente con Bucky. Gli sarebbe piaciuto farlo altre volte, ma quando coinvolgeva il soldato nell'atto, si rendeva conto che esso non esordiva in nessuna reazione, come se fosse estraneo a tutto, e ciò a Brock non piaceva, pensare che l'unico a godere fosse solamente lui.
Quella mattina entrò con il suo solito sorrisetto da duro nella cella di Bucky, trovandolo ancora addormento. Si avvicinò a lui per svegliarlo, ma si accorse, con stupore, che il ragazzo stava sorridendo nel sonno. Non l'aveva mai visto sorridere, mai.
Stranito, lo scosse per un braccio facendolo svegliare di soprassalto, e cancellando quel dolce sorriso. Barnes trangugiò la sua collazione pastosa ed insapore, seduto sul bordo del materasso sporco con Brock di fronte a se.
«Perché sorridevi?» gli chiese.
«Cosa?» alla domanda dell'uomo Bucky si accigliò freddamente.
«Mentre dormivi hai sorriso, cos'hai sognato?»
Bucky rimase in silenzio, come era abituato a fare, ma stavolta aveva una motivazione per farlo. Cercò con tutto se stesso di non sorridere ancora, intimorito dalla reazione che avrebbe potuto avere Rumlow. Ripensò al meraviglioso sogno che aveva fatto quella notte. Era da tanto che non dormiva così bene, da anni ormai il suo inconscio era tempestato da incubi orribili e ricordi traumatici, rivivere un sogno privo di cattiveria e paura era un evento più unico che raro.

Era in una piccola stanza da letto, con le pareti chiare e la luce del sole che entrava attraverso le finestre di legno. C'era un odore familiare fra le lenzuola che lo coprivano, e notò, in prima persona, che il suo braccio sinistro era normale, identico all'altro. Alzò lo sguardo, e di fronte ai suoi occhi vide comparire la figura dolce di un ragazzo biondo. Era magro, con una canotta bianca che gli stava larga, e due occhi azzurri straordinariamente chiari e belli. Lo sconosciuto sorrise timidamente, trasmettendo a Bucky la sua stessa felicità, una sensazione ormai estranea al soldato.
Il minore si sporse in avanti, e baciò Bucky sulle labbra, che non oppose resistenza.
Era bello.
Era dolce.
Era familiare.
Era semplicemente rassicurante.
Spesso Bucky aveva cercato di togliersi la vita, domandandosi cosa ci fosse dopo la morte, e sopratutto, se uno come lui meritasse un'eternità serena o dannata. Pensò di essere morto, finalmente. Perché quella stanza doveva essere per forza il paradiso.
«Ho sognato un angelo.» la sua voce fredda ruppe finalmente il silenzio, e Rumlow si fece sarcastico e provocatorio;
«Oh, un angelo? E com'era fatto?»
«Non aveva le ali, ma sembrava avere il potere di potermi proteggere ad ogni costo.»
Rumlow scattò in piedi e scrollò le braccia, in maniera altezzosa.
«Ringrazialo la prossima volta che lo vedi, di sicuro é lui che ti ha tenuto vivo fino ad ora.»

And I always hope to return to Brooklyn ||Stucky||✔Where stories live. Discover now