Prologo

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La paura è l'emozione più difficile da gestire. Il dolore si piange, la rabbia si urla, ma la paura si aggrappa silenziosamente al cuore

Gregory David Roberts

Quando si è bambini non si ha paura di niente, si pensa che tutto quanto sia un gioco e che niente di tutto ciò che ci circonda possa fare del male perché ci sarà sempre qualcuno che ci protegge, la maggior parte delle volte sono i papà, perché ogni bambino ritiene il suo papà un eroe e lo ritiene indistruttibile, quasi immortale. I bambini sono grandi sognatori e credono nelle cose più strane e impossibili a cui un adulto non crederebbe mai, come la Magia.I bambini ritengono che la magia esiste e che sia la cosa più bella del mondo, adorano vedere i maghi che fanno scomparire le carte da una manica e che per magia passa nell'altra oppure quando da un semplice fazzoletto appaiono fiori o improvvisamente una colomba bianca, per non parlare poi di quando tagliano a metà una persona per poi riunirla magicamente.
Per i bambini tutto questo è magico e incredibilmente fantastico, se si vuole che un bambino stia buono e tranquillo basta fargli vedere un mago e lui resterà fermo lì tutto il giorno a fissarlo e cercherà di capire come faccia quell'uomo a fare tali meraviglie.
Ma quello che loro non sanno è che quella non è la vera magia, perché la vera magia è quella che nessuno può vedere, solo pochi hanno il diritto di vederla e quei pochi che l' hanno o diventano pazzi o muoiono.
Beh ovviamente non tutti perché altrimenti il mondo magico non esisterebbe più e tutta la magia svanirebbe da questo mondo, questo sarebbe un grande problema non solo per i maghi e le streghe ma anche per i babbani stessi che nella loro ignoranza e inconsapevolezza non avrebbero nessuno a proteggerli, o perlomeno non da eventi catastrofici, ma vengono protetti da persone che ai loro occhi appaiono sconosciute e invisibili che in realtà possono anche camminare senza farsi riconoscere, possono ritrovarsi ad essere il proprio vicino di casa, il proprio migliore amico, il proprio sarto di fiducia o anche il proprio lustrascarpe. Non si saprà mai se il mondo della magia esiste oppure no, se ci sono scuole di magia e di stregoneria o incantesimi, calderoni per le pozioni e bacchette magiche; e cosa ancora più importante persone che vengono da genitori maghi come i purosangue o persone come i mezzosangue che hanno un padre o una madre mago mentre l'altro genitore babbano. Ma il vero problema è crederci o no a tutto questo? Si vuole essere stupidi babbani? Oppure babbani intelligenti? Beh una cosa è certa, i babbani intelligenti hanno più possibilità di essere notati dai maghi e poi chi lo sa, magari hanno pure la fortuna di sposare un mago o una maga avendo la possibilità di stravolgere e cambiare la propria vita.

Londra 31 agosto 1914

- Clarice, Clarice hai visto la mia giacca? - la dolce mamma urlava il nome della figlia ma ella non rispondeva perché in quel preciso istante si trovava sul tetto in un grande terrazzo ormai vecchio e abbandonato, lei era seduta sul pavimento grigio e pieno di piccoli sassolini che erano stati creati dal rivestimento ricoperto da piccole crepe che si sono create con il tempo e la mancata cura del luogo.
Lei si trovava lì appoggiata al lato destro del comignolo che teneva in mano un libro e i suoi occhi marroni erano incentrati su quelle pagine che raccontavano le avventure di Sherlock Holmes e del Dottor Watson scritte per mano di Sir Arthur Conan Doyle.
- Clarice ma dove sei? Ma mi senti? - la donna ancora urlava ma la figlia non l'ascoltava, era troppo persa nelle avventure di quel libro, quelle avventure che la facevano sognare e la facevano divertire, amava leggere i libri di Sherlock Holmes e amava ogni singola parola che il Dottor Watson scriveva sul suo migliore amico e come con una sola parola riusciva a descrivere perfettamente gli atteggiamenti, i pensieri e le analisi dell'amico; e a causa di questa sua forte concentrazione arrivava al punto che non sentiva niente e nessuno. Clarice amava stare su quel tetto, non sempre andava lì per leggere ma anche per guardare il cielo di Londra con le sue sfumature grigie e, a volte, blu scuro accompagnato dalle tante e piccole stelle insieme alla luna che illuminavano il cielo e tutta la città, non sempre era però possibile vederle, a Londra il cielo era sempre grigio e scuro e vedere le stelle era impossibile, da quando era nata sognava di vedere un giorno un cielo limpido pieno di stelle per poter vedere la stella polare oppure vedere le costellazioni che rappresentavano i segni zodiacali.
Dopo che la madre aveva urlato fino allo sfinimento salì sul tetto e la vide lì seduta a terra appoggiata al comignolo concentrata nella sua lettura
- Clarice! Ti chiamo da più di dieci minuti perché non rispondi? - la donna si avvicinò e le si parò davanti con le braccia conserte, la ragazzina vide che non aveva più la luce del sole ed alzò il viso
- Mamma...-
- Ciao Clarice, hai sentito che ti ho chiamata? - disse la donna con un tono apparentemente serio
- Perché mi hai chiamata? - disse la ragazzina con un viso decisamente confuso e perplesso
- Ti avrò chiamata si e no venti volte, quando ti chiamo vorrei che mi rispondessi -
- Scusa mamma ma stavo leggendo, non ti ho proprio sentita - la ragazzina le mostrò i suoi occhi dolci e indifesi con un pizzico di dispiacere e abbassò il viso
- Fa niente ok? Ma non lo fare mai più - la donna si addolcì, si sedette accanto alla figlia e iniziò ad toccare i suoi lunghi capelli marroni per poi accarezzarle la guancia delicata e leggermente scura
- Quando torni oggi? -
- Non lo so, tu vai a dormire se devi ok? Non ti preoccupare per me - la ragazzina piegò leggermente l'inizio della pagina e chiuse il libro per poi girarsi verso la madre
- Sai, stavo pensando che magari potrei iniziare a lavorare pure io, così do una mano in casa, non mi piace stare sempre qui a non fare niente quando tu lavori tanto - la madre le sorrise e gli diede una dolce carezza
- Tu sei piccola, non devi pensare a queste cose, devi divertirti devi farti degli amici, non devi stare sempre dentro, esci fai nuove amicizie e cerca di avere un contatto con le persone -
- Loro mi ritengono strana, dicono che sono il male in terra, e solo perché papà era un prestigiatore, non sanno neanche che lui ha cercato di fare davvero tanto per noi - il padre purtroppo era morto in un grave incidente nel tendone di un circo, morì per salvare un altro ragazzo quando lo tirarono fuori purtroppo non c'era più niente da fare.
Dopo la morte del marito la cara Genevieve aveva iniziato a lavorare ed era costretta a lasciare Clarice da sola
- Le persone non capiscono, e poi non tutte sono uguali -
- Sì che lo sono, non sai neanche quello che si prova quando cammini per la strada e ti guardano dalla testa ai piedi come se fossi un mostro o un alieno - Clarice si alzò dal pavimento, prese il suo libro e andò giù in casa per dirigersi verso la sua piccola stanza.
La loro era una piccola casa, una piccola cucina, prima della cucina c'erano delle scale che portavano al piano di sopra dove c'erano solo due piccole stanze, lungo il corridoio c'erano altre scale che portavano al tetto, il bagno era minuscolo, c'era a malapena lo spazio per il catino, la vasca, il wc ed un piccolo specchio , il pavimento era tutto legno e non dei migliori più di una volta Clarice e Genevieve si erano domandate come era stato possibile che quella casa fosse rimasta ancora in piedi dopo i tanti e forti temporali che c'erano stati a Londra in quegli anni.
Clarice salì su e andò nella sua stanza che si trovava a destra del corridoio, entrata dentro posò il libro sul letto e andò verso la finestra che si trovava alla sua destra, si sedette sul piccolo mobile che si apriva a scrigno, appoggiò le braccia nel davanzale e mise il viso sulle braccia e guardò quella giornata scura di Londra per poi guardare la città, vedeva tanti ragazzini della sua età che giocavano tra loro e si divertivano, anche se lei diceva che stava bene da sola, in realtà voleva avere degli amici, voleva avere accanto qualcuno con cui parlare e avere dei contatti.
La madre entrò nella stanza e mentre si metteva la giacca parlò alla figlia
- Sto uscendo Clarice, ce la farai da sola? -
- Me la cavo sempre lo sai - la madre si avvicinò e le diede una bacio sulla testa poi l'abbracciò
- Vedrai, tutto andrà per il meglio, non avere paura - Clarice non rispose e dopo l'ultimo bacio della madre la vide andare via lasciandola da sola.
Erano passate sì e no cinque ore da quando la madre aveva lasciato Clarice da sola e aveva perfino finito di leggere il libro di Sherlock Holmes, adesso non aveva sul serio niente da fare così andò in cucina per cercare di mangiare qualcosa, guardò dentro la dispensa e non trovò molto, quindi prese un po' di pane e lo condì con un po' di pomodoro e lattuga, si sedette ed iniziò il suo pranzo.
Mentre mangiava guardò fuori dalla finestra e vide un gufo grigio con delle strisce marroni si muoveva di continuo, lei stava continuando a mangiare sperando che andasse via ma iniziò a notare che si agitava fin troppo ed iniziò a pensare che era rimasto incastrato così decise di andare a vedere e di aiutarlo; posò il suo panino sul tavolo e si alzò, andò ad aprire la porta di casa e si diresse fuori, puntò verso il gufo e si avvicinò molto piano. Il gufo si muoveva di continuo, sembrava quasi impazzito, Clarice si avvicinò piano e notò che era rimasto incastrato tra i rami così quando fu vicina cercò di aiutarlo
- Aspetta, sta' fermo con queste ali, sto cercando di aiutarti! - con quelle ali che si muovevano di continuo era impossibile aiutarlo, così lei prese un bel respiro ed iniziò a cantargli la ninna nanna che le cantava sempre il suo papà prima di andare a dormire.
Quando iniziò a cantare il gufo finalmente cominciò calmarsi e lo poté aiutare
- Ecco visto, dovevi solo stare fermo - quando il gufo si appoggiò sula sua spalla Clarice notò che a terra, in mezzo ai cespugli, c'era una lettera ed incuriosita la raccolse
- E questa? Da dove salta fuori? - guardò il gufo e gli sorrise, iniziò ad accarezzarlo e il gufo la guardò
- Sei bello sai? Magari diventiamo amici che dici? - il gufo quando vide che la ragazzina aveva in mano la lettera prese e volò via
- Fantastico, persino gli animali vogliono starmi lontana - vide il gufo volare via e poi rientrò a casa.
Entrata dentro guardò la lettera era destinata a lei, spalancò gli occhi e aprì la bocca sbalordita, chi mai poteva averle scritto? Non conosceva nessuno, i genitori di suo padre non avevano contatti con lei da prima che lui morisse, anzi neanche si ricordava delle loro facce.
Al centro della lettera c'era un sigillo rosso con una grande H al centro e uno scudo con quattro simboli, si andò a sedere sulla sedia ed aprì la lettera

" Cara Miss.Clark siamo lieti d'informarla che lei è stata ammessa alla scuola di mangia e stregoneria di Hogwarts"

Quando lesse quella lettera si sentì presa in giro e scoppiò in lacrime, erano sicuramente stati i ragazzini che la ritenevano una strega da bruciare al rogo così prese la lettera e la bruciò, corse in camera sua e si buttò sul suo letto piangendo per quasi tutta la giornata.
Quando Genevieve tornò a casa la chiamò ma non rispose e pensò che magari fosse di nuovo su nel tetto, ma non c'era così andò in camera della sua e la trovò lì sotto le coperte che singhiozzava
- Clarice? Clarice che succede? - la madre si avvicinò alla figlia e la fece girare verso di lei
- Mamma andiamo via da qui ti prego! -
- Ma che dici? Che è successo? -
- Andiamo via! - si buttò tra le braccia della madre e pianse come una bambina di cinque anni che aveva perso il suo giocattolo preferito.
Genevieve rimase con lei finché non prese sonno per poi lasciarla sola.
Non aveva mai visto suo figlia ridotta in quello stato, la morte del padre l'aveva segnata ma mai avrebbe pensato che sarebbe arrivata fino a questo punto, aveva paura che potesse fare qualcosa di stupido dopo quella giornata, ma lei sapeva che doveva essere successo qualcosa per ridurla in quello stato, ma cosa? Doveva capire che cosa era successo, purtroppo era troppo stanca per capirlo così si fece un bel bagno caldo e poi andò a dormire.
L'indomani Genevieve non doveva lavorare così preparò la colazione, aveva pensato che una bella tazza di latte caldo l'avrebbe fatta sentire meglio, Clarice scese le scale strofinandosi gli occhi con le mani, quando la madre la vide notò che aveva ancora gli occhi gonfi, aveva pianto fin troppo quella notte
- Buongiorno amore mio come ti senti meglio di ieri? -
- Un po', ma non cambio idea -
- Ma amore non possiamo andare via, è questa casa nostra, noi viviamo qui -
- Questo posto è un incubo! -
- Ma hai i tuoi amici qui -
- IO NON HO AMICI! SONO SOLA LO CAPISCI?!?!? - Clarice urlò per la prima volta in vita sua e Genevieve ne rimase sconvolta, non aveva mai sentito urlare la figlia in quel modo, mentre le due parlavano sentirono i versi di un gufo e si girarono solo che stavolta non era solo... qualcuno bussò alla loro porta, Genevieve si alzò ed andò ad aprire, si trovò davanti un uomo alto vestito elegante, con un lungo cappotto e un cappello in testa
- Salve sto cercavo Clarice Clark, vive qui? - quando Clarice sentì che quell'uomo la stava cercando il suo cuore iniziò a battere fortissimo e le mancava quasi il respiro, si alzò immediatamente dalla sedia e si nascose dentro il ripostiglio dei detersivi e da lì non disse neanche una singola parola, non si sentì neanche un piccolo respiro. Intanto Genevieve era di fronte l'uomo
- Chi è lei? - gli domandò cercando usando un tono forte e duro
- Oh mi scusi, sono un maleducato non mi sono presentato, io sono Rowan e sono un supplente della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, sono qui per portare con me Clarice - fece un leggero inchino e le sorrise, Genevieve vide quegli occhi marroni scuro che quasi andavano sul nero e quel sorriso inquietante che non le davano fiducia, chi era quell'uomo? Che cosa voleva da Clarice? Perché la cercava? Tante, ma tante, domande e nessuna risposta e Genevieve non aveva neanche il tempo di pensarci.

La prima auror mezzosangueWhere stories live. Discover now