1.

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Sento le gambe pesanti, inutili di compiere un passo in aggiunta. Strascico con non curanza i piedi.

In un semplice gesto, per un amaro attimo, percepisco il mio corpo sollevarsi da un enorme peso.
Fisicamente posso definirmi soddisfatta perché, leggera, mi poso sulla superficie quiete.

Picchietto le unghie sulle lenzuola del mio scomodo letto.
Lo sguardo cade sulle pareti spoglie e bianche, le mie narici catturano l'inconfondibile appretto e candeggina: eau de cologne.

Allungo le braccia e afferro il mio blocco da disegno; inizialmente abbozzo i contorni con pugno estremamente delicato. Sfumo prestando la ben che minima attenzione, soqquadro il foglio in posizioni differenti.

Scuoto la testa freneticamente.

Definisco con maggiore precisione, soffermandomi sulle stelle appena nate all'interno del mio capolavoro.
Capolavoro per modo di dire.
Non sarò mai brava come Will o Abby.

Le labbra si increspano in un sorriso sadico.
Sarebbe tremendamente bello poter sfiorare quelle fonti di luce con un dito, illuminare il cielo vasto dalle varianti di colori mozzafiato e perdermi nel mistero.

La mano tradisce il mio operato, permettendo alla matita di sfuggire dalla mia stretta e cadere al suolo.
Il rumore dell'oggetto a terra mi risveglia, scuotendomi in modo non garbato.

Mi ricongiungo alla cruda e nuda realtà.

Sarebbe così bello realizzare i sogni. Mi piacerebbe lottare per poterli raggiungere.

Dopo tutto quello che la fibrosi cistica mi ha tolto, ero fermamente convinta che l'amore mi avrebbe fatto rinascere.
Perché è così che funziona, così si vede nei film, così si legge nei libri.
Però no, ha distrutto tutto.
Ha spezzato le mie speranze, ha stroncato anche il più insignificante residuo che mi era rimasto.

<<Non si rimurgina sul passato.>> Dicono.
Cosa fare allora quando il cuore chiede informazioni?
Cosa si dice per spiegargli che c'è un vuoto in più?

Dovevo stare bene, dopo il trapianto.
I miei polmoni sono stati destabilizzati.
Non respiro aria in prestito.
Dovrei essere contenta del risultato dopo tutte le rinunce che ho dovuto fare, compresa la gita a Cabo.
Ma, da quella clinica, ne sono uscita vincente solo io.

Ho visto mia sorella in un sogno.
Ho visto Poe in un ricordo.

Hanno tentato di farmi ragionare, di farmi tornare a casa.
Non ne ho voluto sapere.
L'ospedale è il mio posto.

Julie distoglie lo sguardo quando passa davanti alla camera di Will.
Barb continua a ripetermi che doveva andare in questo modo.
Perché io ce l'ho fatta e lui...
Lui non è stato altrettanto fortunato.

La voce si spezza, i miei occhi si riempiono di acqua salata.

A quale prezzo corro veloce come fantasticavamo insieme?
A quale prezzo le cure e le terapie senza risultati?
A quale fottuto prezzo quei metri di distanza?

Guardo il soffitto passando le mani sui capelli.
Persino portarli raccolti mi rievoca a lui, a quanto gli piacessi scombinata.
Stringo a me Toppa, l'orsacchiotto di peluche.
Mi sento persa.
Questa volta non ho manie di controllo.

Proprio ora che posso vivere davvero, non ho nessuno per cui far sì che ne valga la pena.

Mi mordo il labbro inferiore mentre fisso il carrello delle medicine.

Non riuscivo a guardarlo negli occhi, quelle due sue pozze d'acqua azzurra.
La sua pelle pallida mi faceva rabbrividire.
Il suo modo di spostare all'indietro i capelli mi scaturiva solo nevoso, credevo fosse troppo pieno di sé.
Dovevo solo aiutarlo con le cure, niente del resto era nei piani.
Innamorarmi non era nella mia lista delle cose da fare.
Ma il suo sorriso... il suo sorriso mi mandava in crisi.
Stavo affogando in un oceano troppo profondo per i miei standard.

<<Non dirmi che la prima volta che ti sei innamorata di qualcuno, ha anche lui la fibrosi cistica.>>
La voce del mio migliore amico mi risuona nella mente.
Vorrei fosse qui, vorrei che Poe fosse qui per guardarmi e restare in silenzio.
Quel silenzio che valeva da abbraccio.
Al pensiero frustrante che non abbia mai fatto combaciare i nostri corpi, le nocche mi diventano bianche e le unghie perdono sangue.
Mai potrò dirgli che gli voglio bene.
Mai.

Mi manca quel bambino colombiano.
Mi manca quella ragazza che me lo ha fatto conoscere, in grado di disegnare divinamente.
Mi manca quel ragazzo che mi ha ridotto la funzionalità polmonare più di quanto già fosse scarsa.

Poe.
Abby.
Will.

Perché mi avete lasciata sola?
Perché non siete qui vittoriosi che ne sono uscita a testa alta?
Perché non sono con voi...?

Una lacrima scende cauta dalla mia guancia, macchiando la forza che mi impongo di possedere nell'animo.

<<Stella.>>
Mi alzo come scottata e volto le spalle per non far notare la mia palese vulnerabilità.

<<C'è una lettera per te.>>

Asciugo il segno evidente della mia fragilità e incurvo la testa interrogativa verso la donna dal camice azzurro.

<<Non c'è il mittente.>>

<<Probabilmente è di mamma, o di papà.>>
Alzo le spalle e tendo la mano verso il foglio di carta color crema.

<<Grazie.>>
Lei mi guarda, sospira ed esce.

So perfettamente che questa sistemazione non sarà eterna, a breve dovrò lasciare il luogo dove ho vissuto per ben dieci anni.

Apro poco interessata l'oggetto destinato a me, sarà forse qualche promozione o pubblicità.
Non è dei miei genitori.

"A Stella.
Ho perso tempo a raccontare bugie.
Mi sono perso nei tuoi occhi e sono ri-nato tante di quelle volte dentro di essi, ogni volta che il tuo sguardo ha incrociato il mio."

Corrugo la fronte e chiudo la porta.
Mi siedo sul letto lasciando dondolare le gambe nel vuoto.
Riprendo la mia lettura, dopo un minuto di confusione.

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