chapter one

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Ma ciao miei stupendi lettori! Benvenuti nel terzo e ultimo capitolo di questa trilogia, sequel di "the last drop" e "the temper " (che, fra l'altro, vi consiglio di leggere prima di affrontare questo). Ció a meno che non vi piaccia essere costantemente confusi. Bando alle ciance, iniziamo!

Basta, sono stufo!" esclamò John, pestando rumorosamente i piedi sui diciassette scalini che lo separavano dal suo appartamento mentre si sbottonava la camicia.
"Cosa?" domandó tranquillamente Sherlock da dietro di lui, tentando ingenuamente di raggiungerlo saltando i gradini.
"Sono stufo!" ripetè John. Era troppo frustrato per formulare un pensiero logico, figurarsi dirlo a voce alta.
Quando giunse sul pianerottolo apri la porta in legno con un calcio ed entró. Sfilandosi la camicia dai pantaloni, la tiró via furiosamente e la gettó nel cestino lá accanto. Fantastico. Gli piaceva anche quella camicia.
"Dovrai essere un po' più specifico, John."
"Sono irritato."
John si diresse verso il lavandino e cominció a strofinarsi vigorosamente le braccia e le spalle sotto l'acqua corrente. La sua mente corse subito alle numerose volte in cui aveva compiuto un gesto simile dopo un'operazione.
"Questo lo vedo, ma ancora non capisco perché. È stato un bel caso dopotutto."
"Un bel caso?" ripetè John con una voce leggermente stridula mentre chiudeva l'acqua. Qualche goccia scivoló dai suoi gomiti per cadere a terra. "Il testimone mi ha vomitato addosso!"
Sherlock, che nel frattempo si era tolto la giacca e l'aveva appoggiata su una delle due poltrone, lo raggiunse a passi larghi fin sulla soglia della cucina. Sembrava completamente indifferente alle lamentele del coinquilino.
"Perché dovrebbe importarti? Abbiamo appena risolto un caso ed è stato relativamente divertente."
"A te non importa sicuramente, ora che hai indosso i tuoi stupidi vestiti puliti!"
John uscì dalla cucina urtando la spalla dell'altro con una forza forse un pelino eccessiva e si mise lasció cadere in poltrona. Chiuse gli occhi, respiró profondamente e fece del suo meglio per controllare l'irritazione. Quando ebbe raggiunto uno stato di temporanea calma li riaprì, per trovarsi davanti  il coinquilino anch'egli in poltrona.
"John?" chiese in tono piatto.
"Cosa?" mormoró il dottore, improvvisamente molto consapevole di stare indossando solo una canottiera in cotone leggero ed un paio di jeans. Anche se non era più allenato come un tempo, correre per i vicoli londinesi rincorrendo assassini o solamente malcapitati testimoni gli aveva decisamente fatto un favore, per non menzionare quei chili di troppo persi un paio di settimane prima a causa della malattia. Magari non era al suo top ma, ehi, chi lo era? Sherlock, rispose una saccente vocina in qualche angolo della sua mente.
"Sei consapevole del fatto che hai del vomito anche sui pantaloni?"
John guardó in basso: in effetti il malato era riuscito a mandare alcuni schizzi che arrivavano fino alle ginocchia.
"Farei meglio a, uhm, toglierli allora."
"Sarebbe la scelta più logica."
"O forse potresti togliermeli tu."
John sperava con tutto sè stesso che quel tentativo non sarebbe andato a vuoto, imbarazzandolo ancora di più. Puntó lo sguardo sul viso del detective, cercando nei suoi occhi una qualsiasi espressione, positiva o negativa che fosse, ma non trovó nulla.
"Perché dovrei? Sei perfettamente in grado di farlo da solo."
Il soldato lasció cadere la testa sullo schienale della poltrona con un sospiro esasperato.
"Lascia perdere, Sherlock."
"Lascia perdere cosa?"
"Lascia perdere tutto!" sbottó John "Dopotutto sei bravo a ignorare le cose, no?"
Appoggió i gomiti sui braccioli e si sporse fino ad incontrare le iridi grigie dell'altro. "Dimmi, perché ti sei scomodato a baciarmi se non avevi alcuna intenzione di farlo nuovamente una volta tornati al mondo reale?"
A parte una minuscola contrazione nell'angolo destro della bocca, l'espressione di Sherlock non tradiva alcun sentimento.
"Il mondo reale?"
"Sai che intendo, una volta che fossimo guariti e avessimo ricominciato ad occuparci dei casi."
Sherlock si fermó e aggrottò le sopracciglia.
"Ti ho baciato da allora."
"Sì, qualche bacetto qua e là, ma sono sempre stato io a prendere l'iniziativa."
"Conta lo stesso."
"No invece. Intendo baciarsi davvero, il bacio da 'devo sbatterti al muro prima di svenire'"
"Quindi ammetti che ti ho fatto svenire." commentó Sherlock con un sorrisetto.
John lo fuminó con lo sguardo.
"E intendo farlo di nuovo." aggiunse in tono calmo.
"Ah davvero?" chiede John sarcasticamente.
"Sì, davvero."
"Hai una data in mente, dovrei segnarmelo sull'agenda?"
"Davvero usi ancora le agende?"
"Non è questo il punto, Sherlock." ribattè a denti stretti, passandosi le dita ancora umide fra i capelli. Probabilmente anch'essi erano indecenti ma in quel momento era troppo nervoso perché gliene importasse qualcosa.
"Avevamo un caso e comunque non ti stavo ignorando, anzi mi sono assicurato che partecipassi alla risoluzione come prima di-"
"Lo so, ma non è di questo che sto parlando. Non hai- non abbiamo- per l'amor del cielo, ci siamo a malapena toccati per settimane!"
"Sedici giorni."
"Sherlock, giuro su Dio-"
"Pensavo capissi che il lavoro ha la precedenza. Pensavi davvero che ti avrei spinto contro un muro sulla scena del crimine con una mano su-"
"No e non ti sto chiedendo di farlo!" lo interruppe John, che stava cercando disperatamente di non rendersi ulteriormente ridicolo diventando paonazzo "Lo capisco, per te vengo dopo il lavoro. Mi sta bene."
"John, aspetta-"
"No, sono serio. Mi sta bene. Ti conosco, non mi aspettavo nulla di diverso. Ció che conta è che io figuri da qualche parte fra le tue priorità, non importa se non sono la prima. Però almeno la notte potresti stare con me."
"Non dormo molto durante i casi, lo sai. E anche quando lo faccio, preferisco che sia sul divano dove posso in qualunque momento svegliarmi e tornare a ragionare."
John affondó la faccia nelle mani, deglutendo per mandare giù il groppo che aveva in gola.
"Va bene. È solo che non vedo come possa funzionare."
"Cosa?"
"Questo." rispose indicando prima sè, poi il coinquilino. "Non funzionerà."
Alzó gli occhi verso Sherlock appena in tempo per vederlo irrigidirsi, gli occhi perdere qualsiasi traccia di calore umano.
"Vuoi andartene."
"Cosa? No! Certo che no. Perché dovresti pensare una cosa del genere? Intendevo solo questa... relazione."
Non era ciò che voleva, ovviamente, ma era amareggiato, scontroso e sessualmente frustrato fino all'esaurimento.
Sherlock esaló un respiro a lungo trattenuto, ma il sorriso appena sbocciato gli morì sulle labbra nel sentire queste parole. Lentamente posó gli occhi turchesi a causa della luce serale sull'uomo davanti a lui e li fece scorrere: nonostante fosse ormai abituato a questa sorta di interrogatorio silenzioso, John si sentiva comunque una cavia nelle mani di uno scienziato sadico. Come se lo stesse vivisezionando, più che osservando, leggendo e dividendo pezzo per pezzo i suoi segreti più reconditi.
"Perché avresti voluto una relazione, comunque?" chiese per rompere il silenzio.
"Lo sai perché. Ti ho persino fatto una lista. Forse dovresti leggerla di nuovo."
"L'ho letta abbastanza."
In realtà, "abbastanza" non cominciava neppure a definire la quantità delle volte in cui John l'aveva riletta: ogni sera, da quando avevano ricominciato a lavorare, l'aveva tirata fuori dal cassetto in cui Sherlock l'aveva poggiata e studiata con attenzione. Sapeva che era un atteggiamento un po' da ragazzina, ma per qualche strano motivo continuava a trovarsi sul letto di notte, solo e paranoico, con l'infamato blocco-appunti in mano. Dopo una settimana le parole avevano perso il loro significato originale, diventando ricche di doppi sensi e messaggi nascosti. Probabilmente a quel punto avrebbe saputo recitarle a memoria.
"Bene, allora capisci." affermó Sherlock finalmente appoggiandosi allo schienale, come se per lui la conversazione si potesse chiudere lì. John si mordicchió il labbro inferiore; sapeva che se voleva essere ascoltato l'unica opzione era essere brutalmente onesto.
"No, non capisco. Ho l'impressione... ho l'impressione tu abbia iniziato questa relazione solo per impedirmi di vedere chiunque altro." Sherlock sgranó gli occhi. "È vero, io- Se non possiamo comportarci come se fossimo in una relazione quando stiamo lavorando e dopo tu cadi in quei periodi neri durante i quali non ti si può neppure parlare, non vedo quando potremo farlo. Non ci baciamo, tocchiamo o cose del genere quindi perchè disturbarsi? Perché non rimanere amici e basta?" John sentiva un acuto bruciore alla gola nel concludere il proprio discorso, sebbene grazie al cielo la voce non gli si fosse spezzata.
Sherlock sembrava star contemplando quelle parole molto intensamente, le dita incrociate e gli occhi che balzavano da un lato all'altro della stanza. Per la prima volta il biondo desideró di stare indossando qualcosa di più coprente, che gli impedisse almeno parzialmente di sentirsi così irrimediabilmente esposto.
"Cosa devo fare?" chiese infine Sherlock staccandosi dallo schienale della poltrona come se si aspettasse che l'amico gli avrebbe chiesto di buttarsi giù dalla finestra. Era determinato e vagamente inquietante.
"F-fare?"
"Sì. Per convincerti delle mie intenzioni. Deve esserci un modo."
"Vuoi davvero?" domandó John incredulo. A dire la verità, si aspettava che il detective avrebbe rinunciato a quella farsa nel
momento in cui lui avesse cominciato a fare delle richieste.
"Pensavi che mi sarei arreso?" chiese bruscamente.
"Beh, immagino di sì..."
"Sbagliato."
John sospiró.
"Bene, quindi non ti arrendi. Allora... uhm..."
"Cosa vuoi?"
Il soldato tacque, non sapendo bene cosa dire. Non è che avesse una lista a portata di mano.
"John?"
"Sì, scusami. Sto pensando, va bene? Uhh..."
"Aiuterebbe se ti baciassi?"
John deglutì sentendo un cocente bruciore affluirgli alle gote.
"Non farebbe di certo male." ridacchió imbarazzato.
In un istante Sherlock si alzó in piedi, annullando la distanza fra di loro due. L'altro non si mosse e rimase a guardarlo negli occhi mentre il detective si piegava per avvicinarglisi. Facendo scivolare il ginocchio fra le gambe di John, il detective si sporse in avanti fino a toccare col naso il viso dell'altro.
"Come vuoi che ti baci?" domandó con voce roca.
"Uhm... correttamente?"
"Questo l'avevo intuito, ma vuoi che sia lento?" a dimostrazione fece sfiorare le proprie labbra con quelle di John, il quale si sentiva completamente paralizzato, sbalordito dalla delicatezza e dall'intimità di quel gesto. "O forse un po' più profondo?". Con queste parole gli si avvicinó ulteriormente cingendoci le spalle col braccio. Le loro bocche si unirono e John si accorse con meraviglia che combaciavano perfettamente, come due pezzi di un puzzle.
Questo bacio era molto diverso da quello leggero e provocante che si erano appena scambiati, era deciso e disperato. Non appena le loro lingue si toccarono un brivido percorse la spina dorsale di John; e questa volta non poteva neppure incolpare la febbre, pensó. Con dita tremanti trovó il bordo della maglietta di Sherlock e vi si aggrappó con una forza che non credeva essergli propria.
Dio, gli era mancato tutto questo. Si erano baciati solo un paio di volte, per cui tutto era ancora nuovo, eccitante, sorprendente e a dire la verità a volte se ne sentiva sopraffatto.
Eppure, proprio mentre era sul punto di lodare l'amico per le sue abilità di gran baciatore, un sonoro quanto inatteso beep risuonó dalla tasca dei pantaloni di quest'ultimo.
Sherlock si ritrasse immediatamente e tiró immediatamente fuori il cellulare.
"Non osare."
"Ma potrebbe essere Lestrade con un caso!"
"Lestrade puó aspettare."
Fremendo d'impazienza, John non attese neppure che rimettesse il telefono a posto e subito spinse le proprie labbra contro quelle dell'altro, cercando di ritrovare quella passione di pochi attimi prima.
Sherlock fece lo stesso, ma John sentiva, più che vedere, che c'era qualcosa di meccanico nei suoi movimenti. Quando sentì il rumore dei tasti, tuttavia, non poté impedirsi di spingere via l'uomo sopra di lui.
"Cosa?" ruggì questi.
"Questo prova solamente che non funzionerà!" gridó John in tutta risposta, incrociando le braccia sul petto.
"Non prova assolutamente niente. Hai detto che capivi quanto è importante il lavoro per me.
"Il fatto che tu non capisca perché sono arrabbiato non fa che darmi ragione!"
"Non essere sciocco."
John sentiva il bisogno impellente di urlare e dovette sforzarsi davvero tanto per contenerlo.
"Lascia che ti spieghi allora. Sherlock, perché mi hai baciato?"
"Per dimostrarti che razza di idiota eri per voler mantenere la nostra relazione a livello platonico."
"Bene, ma che bravo!" commentó acidamente John "Ora, perchè avevo suggerito di mantenere la nostra relazione a livello platonico?"
"Perché sei un idiota."
"No. Perché pensavo che non ti saresti mai preso del tempo da dedicarmi."
Sherlock si passó le dita fra i ricci ribelli.
"E cosa hai fatto tu quando ci siamo baciati per la prima volta in due settimane?"
John avrebbe potuto giurare che riusciva a vedere gli occhi del moro illuminarsi ogni volta che arrivava ad una soluzione, e questa era una di quelle volte.
"Ho risposto a un messaggio di Lestrade."
"Sì! L'ha capito! Qualcuno chiami la Regina, nominiamolo cavaliere!" esclamó il soldato gesticolando maniacalmente.
"Non sfottermi."
John sospiró stringendosi nelle spalle. Forse era stato ingiusto.
"Va bene, scusami. Ma ora capisci? Non può funzionare."
"No."
"No? Non capisci?"
"Sí, capisco. No, non sono d'accordo. Può ancora funzionare."
"Non vedo come."
"E se... e se promettessi? Ti sono sempre piaciute le promesse. Prometto di dedicare del tempo a noi." giurò Sherlock con una mano sul cuore.
John scosse la testa.
"Mi spiace ma non penso di poterti credere."
Gli parve che un lampo di delusione attraversasse gli occhi del suo interlocutore, ma fu talmente veloce da non poterne essere certo.
"Un'altra dimostrazione allora."
"Dovrebbe essere una davvero buona, dopo il tuo ultimo tentativo."
"Oh, per l'amor di Dio, dimmi solo cosa vuoi che faccia e lo farò. Non rendere le cose più complicate di quanto non lo siano. Giuro, cercherò di-"
"Voglio che andiamo in vacanza." irruppe John prima di poter propriamente elaborare l'idea. Sherlock non manifestò alcuna reazione.
"Vuoi che andiamo in vacanza." ripetè in tono piatto.
"Sì."
"Io non vado mai in vacanza."
"Esatto. Voglio che tu, Sherlock Holmes, faccia un viaggio con me in un posto di mia scelta senza telefono, senza casi, senza scene del crimine. Solo tu e io. Per tre notti."
Il dottore stava provando la stranissima sensazione che le parole uscissero dalla sua bocca senza passare prima per il cervello.
Un lungo, pesante silenzio calò sul salotto; la tensione era palpabile.
Quando finalmente Sherlock parló, John rischiò di cadere dalla sedia per lo stupore.
"Va bene."
"Cosa?"
"Ho detto va bene. Partiamo insieme."
"Non puoi essere serio."
"Al contrario, non potrei essere più serio. Dove vuoi che andiamo?"
"Uhm... beh, io..."
"Non dirmi che non ci hai pensato!" si lamentò Sherlock, che sembrava star cominciando ad annoiarsi.
Così John disse la prima cosa che gli fosse venuta in mente.
"Cornwall! Andiamo a Cornwall, ho sempre voluto visitarla. E stiamo vicino alla spiaggia."
"È Maggio!" protestò Sherlock.
"Non mi importa."
"Ed è a sei ore da qua."
"Cornwall oppure niente." ribattè John più testardo che mai.
Sherlock rimase a fissarlo per un istante, probabilmente perso nei propri calcoli, ma ben presto un sorriso cominció ad affiorargli sulle
labbra.
"E Cornwall sia."
John sorrise a sua volta, domandandosi in cuor proprio in cosa si stesse cacciando.

The first trip Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin