Capitolo uno: La ragazza nuova

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«Ok. Capelli a posto, vestiti puliti, carta di credito nello zaino... Sono pronta a combinare un bel guaio.» mi incoraggiai allo specchio, sorridendo con la carta di credito di mio fratello Liam in mano.

«Liam mi ucciderà.» esclamai uscendo di casa con l'intenzione di prendere la corriera che portava al centro commerciale. Volevo inaugurare la mia estate nella nuova città con dello shopping, e quale modo migliore se non da sola, non usando la propria carta ma quella del proprio fratello, che soffre di attacchi di rabbia ingestibile, e senza l'approvazione della madre? Tutti, ovviamente.

Mi sedetti sul sedile della corriera, posando lo sguardo su due ragazze. Una era una chioma di capelli rossi fuoco vivente, con la faccia cosparsa di lentiggini, e l'altra era un po' più graziosa. Aveva i capelli marroni, tenuti corti fino alle spalle, e una camicia blu forse leggermente grande.

La mora era apparentemente rigida, come se avesse paura che un serial killer potesse attaccarla da un momento all'altro, lì, nella corriera.

Sorrisi allo stupidissimo pensiero che anche potessi farmi un'amica, che sarei potuta uscire d'estate e non divertirmi da sola.

Ecco, era questo il mio obbiettivo: farsi delle amiche.

Così mi presentai.

«Ehm... ciao. Mi chiamo Natalia e... sono nuova. Mi chiedevo se... oh mio dio, sono così stupida... posso?» chiesi indicando il terzo posto vicino alla mora. Quest'ultima si voltò verso la rossa, come a chiedere l'autorizzazione. La rossa annuì, sorridendo.

Ricambiai il sorriso, sedendomi.

«Maxime, chiamami Max.» si presentò la rossa, allungando la mano che strinsi.
«Eleven,» aggiunse la mora «Mi chiamo Eleven. Ma tutti mi chiamano El.» imitò la sua amica, e strinsi anche la sua mano.
«Il tuo nome è davvero Eleven? Cioè, è Undici?» chiesi scettica, osservando El.

«Intende che noi la chiamiamo Eleven, ma il suo nome è Jane. È una specie di soprannome, il suo» mi spiegò Max, guardando dal finestrino.
«Allora Natalia, dove sei diretta?» chiese ancora Max.
«Il centro commerciale. Io... ho la carta di credito.» dissi sventolando la carta blu davanti agli occhi delle due ragazze.

«Forte, anche noi andiamo lì. Hey, ti va di venirci con noi? Così hai una scusa per farti due amiche.» propose la rossa.
«Io... ehm... certo. Si, andiamo insieme.» acconsentii, sorridendo. Non ero mai stata una che prende iniziative, io. Anzi, di solito non parlavo mai, balbettavo solo monosillabi. Ma Max mi trasmetteva una strana sicurezza, come se con lei potessi liberarmi di tutti i pesi del mondo.

«Allora, El» cercai di fare conversazione con Eleven, dato che non aveva spiccicato parola per tutto il tempo «ti piace qualche ragazzo? C'è ne sono di ragazzi carini qui ad Hawkins?» El Si irrigidì.
«Oops, tasto dolente.» commentò divertita Max, sorridendo ancora.

«Oh... scusami tanto El, non ne avevo idea, davvero, io volevo solo parlare con te, non...»
El mi bloccò con un gesto vago della mano, sorridendo. «Va bene.» mormorò raggiante, facendomi sospirare di sollievo.
L'autobus si fermò, in modo che mi alzassi e spronai le altre due.

Max mi imitò, mentre Eleven sembrava scettica, ma scese comunque.

«Troppe persone. Non è permesso.» sussurrò la mora, ma non capii cosa intendesse.

«Padre possessivo» si giustificò la rossa, correndo verso l'entrata.

«Da dove cominciamo?» chiese Max guardandosi intorno eccitata. Alzai le mani. «Io sono nuova, guida tu.»
«Benissimo, allora dobbiamo provare tutto!» annunciò prendendoci per mano e trascinandoci verso un negozio di vestiti.

«Ragazze vi dispiace se prima guardo i gioielli e poi vi raggiungo?»
«Come mai?» chiese El.
«Mi hanno sempre affascinata.»
mi giustificai e, dopo che le altre annuirono, corsi verso la gioielleria.

Vidi che non era vuota: c'erano tre ragazzi. Uno era moro, con la faccia un po' rotonda. L'altro era di colore, e l'altro ancora aveva i capelli di un colore strano. Non era biondo, ma nemmeno castano. Ramati? Fatto sta che era adorabile.

«Quanto costa quell'orsetto lì?» chiese il ragazzo con i capelli neri.
«Trecento dollari» rispose il gioielliere indifferente.
Scoppiai a ridere senza un'apparente motivo. Davvero, era molto buffo.

«Che hai da ridere tu?» chiese il ragazzo di colore. Alzai le mani a mezz'aria in segno di resa.
«Wow, sei irascibile.» continuai a ridere. Notai che il ragazzino con i capelli ramati sorrideva.
«Non sono irascibile» sputò il ragazzo.
«Uh, è comunque un bel nome. Il mio è Natalia, piacere Irascibile

Lui si innervosì più di prima, il moro che non ascoltava rapito da non so quale gioiello e la chioma ramata sembrava sul punto di scoppiare a piangere dal ridere.
«Non mi chiamo irascibile. Mi chiamo Lucas.» sbottò.
«Facciamo passi avanti! E tu?» chiesi al ramato. Lui si indicò, poi smise leggermente di ridere.

«Will Byers» cercò di dire in mezzo alle risate.
«Woah, quel Will Byers? Quello sui giornali?»
Lui abbassò la testa, mormorando un si.
«Ho sempre voluto incontrarti! Insomma, sei una specie di supereroe!Will Byers, tornato da non si sa quale posto dopo aver inscenato la sua morte. La fantascienza mi ha sempre affascinata.»

Lui sorrise. «G-grazie. Io non...» balbettò. Sorrisi e raggiunsi le ragazze.

💫🌈🌻👃

Sinceramente non credevo che El fosse tanto cazzuta da piantare in asso il suo ragazzo in quel modo.

Eppure l'aveva fatto; fuori avevamo incontrato di nuovo il gruppetto della gioielleria, salutandoli con la mano.
«Ciao Irascibile!» esclamai al ragazzo, Lucas. Lui strinse i pugni, ma vedendo la rossa si rilassò.
«Eleven!» esclamò Mike, il moro con la faccia rotonda.

«Byers» salutai il ragazzo, che mi rivolse un sorriso timido.

Mike e Lucas inventarono un mucchio di frottole su come fosse possibile il fatto che si trovassero al centro commerciale nonostante la nonna del primo stesse male, così El aveva esclamato «Ti pianto in asso!»

Ci battemmo tutte il cinque e salimmo allegre sul bus, ignorando le lamentele dei ragazzi in bicicletta.

Cosa diavolo avevo fatto?

→we are the proof of love. •w. b.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora