Capitolo 27

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L'ultimo giorno trascorso a Los Angeles fu malinconico. Quando al mattino mi svegliai, mi resi conto che, ancora una volta, il giorno seguente avrei dormito in un altro letto. Avevamo il volo nel primo pomeriggio, per cui metà della mia mattinata la trascorsi nel preparare le valigie, cercando di mettere in ordine le cose, per quanto mi fosse possibile.

Perché quando partivo riuscivo ad infilare tutte le cose in valigia, ma al ritorno sembrava non entrarci più niente? Quello era il mio dubbio esistenziale.

Dovevamo essere in aeroporto per le due, motivo per cui corsi a lavarmi prima che potesse farlo mio fratello. Mangiai una cosa al volo, pregando con tutta me stessa di non ritrovarmi un altro bambino iperattivo nel sedile posteriore.

Subito dopo pranzo, sentimmo il campanello suonare. Mia madre sembrò innervosirsi di colpo, portandosi una ciocca dei capelli perfettamente lisci dietro l'orecchio. La guardai torva, lei guardò me con un sorriso nervoso. Mio fratello, che invece guardava entrambe, dopo essersi reso conto che non saremmo andate ad aprire, si sbracciò al cielo e sbuffò. Il campanello suonò ancora.

"Arrivo, arrivo." Borbottò Carter, infastidito, e si avviò alla porta.

Mia madre si sollevò in piedi, non seppi esattamente per quale motivo lo feci anche io. L'unica cosa che sapevo era che mia madre, in quel momento, era terribilmente nervosa, così tanto da non rendersi conto di picchiettare insistentemente con le sue unghie laccate di nero sul legno lucido del tavolo nella cucina.

"Cosa nascondi, madre?" Le chiesi, sollevando un sopracciglio. Lei sembrò rinsavire per un momento, scuotendo la testa e tornando a guardarmi.

"Credo che dovremmo raggiungere tuo fratello." E velocemente si avviò verso l'ingresso. La seguii a ruota, e trovai Carter, la porta aperta, e un uomo oltre la soglia. Se ne stava fermo, con un sorriso imbarazzato e un mazzo di fiori tra le mani.

"Sta cercando di invitarmi al ballo?" Mio fratello disse verso l'uomo, mia madre si irrigidì d'un colpo.

L'uomo aveva due profondi occhi cristallini, non era molto vicino ma potevo vederli benissimo. Erano così di ghiaccio da sembrare quasi bianchi. Quasi non si distinguevano dal resto dell'occhio, se non fosse stato per il contorno estremamente blu della pupilla. I suoi capelli erano castani, leggermente tirati all'indietro.  Indossava una camicia bianca di lino, arrotolata fino ai gomiti, e un pantalone elegante blu notte.

Tirò un sorriso verso mio fratello, poi puntò lo sguardo dapprima verso mia madre, poi verso di me. Deglutì visibilmente, il suo pomo d'Adamo si mosse.

"Dico davvero, serve qualcosa?" Mio fratello richiese, e fu allora che mia madre si intromise.

"Vieni, Steven. Accomodati pure."

Mio fratello si voltò velocemente verso di lei, l'uomo entrò in casa e si rifugiò vicino al fianco di mia madre.

Dapprima confusa, vidi successivamente uno sguardo che si scambiarono. Un semplice sguardo che fu sufficiente, per me, a capire. Mio fratello, invece, beata la sua ignoranza, guardava i due con aria scombussolata.

"Non ero sicura che fosse un bene fare questo passo ora, ma c'è un bambino nel mezzo, e voi state per partire di nuovo per il college..." mia madre disse. Si toccò la punta del naso, nervosa e imbarazzata. Mi rividi così tanto in lei che quasi mi spaventai.

Grazie a quella frase, Carter capì. Chiuse la porta principale, ponendosi al mio fianco: sembrava quasi una scena di guerra, due contro due.

"Lui è Steven." Mia madre continuò, con voce traballante. "Il-il mio... il... lui è..."

Born to be yoursWhere stories live. Discover now