18- Rimorso

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Il viaggio di ritorno era sembrato eterno. Il padre era rimasto in silenzio tutto il tempo e Sabrina aveva avuto timore di respirare troppo rumorosamente al suo fianco sul carro. La neve caduta al suolo attutiva lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli e contribuiva a rendere l'atmosfera ancora più tesa e spettrale.

Sabrina avrebbe voluto trovare qualche argomento di conversazione per alleggerire il frangente e sciogliere il capitano, ma non ne era stata in grado. Si ripeteva che non aveva colpa: Jonathan era uno sconsiderato e non avrebbe dovuto mettersi ad amoreggiare con una ragazza in quel modo, però non poteva nascondere il fatto che suo padre non l'avrebbe probabilmente mai scoperto senza il suo intervento.

Si era comportata in maniera indegna: il codice silenzioso che aveva sempre unito i due fratelli era la complicità, che li faceva correre in aiuto uno dell'altro coprendosi a vicenda. Lei era stata accolta, seppur con riluttanza, in quel patto e l'aveva tradito. Adesso se ne rendeva conto: i suoi fratelli avrebbero avuto molto da raccontare al padre sul modo in cui si comportava quando era sola con loro, eppure non l'avevano mai fatto... tutte le punizioni se le era meritate da sé, senza alcun aiuto o indiscrezione da parte dei due.

Era stato un atto davvero ignobile ed era molto preoccupata: se i suoi fratelli l'avessero soltanto sospettato, l'avrebbero messa definitivamente in un angolo. Rabbrividì al pensiero: stare in quel posto era già abbastanza difficile, se fosse rimasta sola non avrebbe avuto più alcun conforto. Forse avrebbe dovuto dire al padre che si era inventata tutto, cercare di rimediare, ma non sapeva cosa fosse successo di preciso là fuori: se il capitano li aveva visti scambiarsi tenere effusioni a sua volta, ci sarebbe stato ben poco da fare.

Angosciata, rimase rigida e in silenzio per l'intero viaggio.

«Sabrina, vai pure a prepararti per la notte; voi, invece, seguitemi» disse asciutto il capitano, aiutando la figlia a scendere dal carro e rivolgendo un'occhiata severa ai ragazzi.

I due lo seguirono fino al suo alloggio e rimasero dritti e immobili, mentre il genitore si slacciava la giubba e con un sospiro si appoggiava alla parete senza guardarli.

«A volte mi chiedo cosa ho sbagliato, che cosa non ha funzionato per far sì che vi venga in mente di comportarvi in un modo tanto superficiale» esordì con voce carica di delusione.

Jonathan si sentì male: era riuscito a scontentarlo ancora; mentre Robert era mortificato pur senza considerarsi davvero colpevole. Stava solo chiacchierando con una ragazza, non aveva fatto nulla di sconveniente, eppure il padre lo stava mettendo sullo stesso piano del fratello, molto più audace.

Il capitano si scostò dalla parete e li fronteggiò: sembrava stanco piuttosto che arrabbiato.

«Sono stato giovane anch'io e capisco che siate attratti dalle donne, ma non è questo il modo. Jonathan, mi sembra che avessimo già fatto un discorso simile in passato, te lo ricordi?»

«Mi avevate detto di guardarmi da un certo tipo di donne, ma la ragazza di stasera non era paragonabile a...» balbettò incerto.

«Ma tu l'hai insultata e trattata come se lo fosse!» lo interruppe il padre con foga.

«Ma io non intendevo...»

«Taci! Ringrazia il cielo che sia stato io a intervenire e non suo padre. Potevi rovinare la reputazione di quella ragazza se vi avesse visto qualcun altro, e spero davvero che nessun altro vi abbia sorpreso.»

Jonathan riprese a fissarsi la punta degli stivali, teneva le mani in tasca e le stringeva a pugno per calmarsi ed evitare di rispondere ancora.

«Tu, Robert, cosa ne pensi? Stavi anche tu per condurre la tua ragazza in qualche angolo buio per sedurla?»

Polvere alla polvereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora