Capitolo 3

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Quando giro le chiavi nella serratura, trattengo il respiro.

─ Ciao...? ─ dico al portaombrelli nell'ingresso.

Nessuno risponde, ovviamente.

Non so perchè mi ostino a salutare ogni volta una casa vuota.

Mamma è via per tutto il week end a uno dei suoi eventi. Penso che stavolta sia una campagna per sponsorizzare il lancio di una nuova marca di vestiti. O era trucco? In ogni caso, non è qui, e penso che non tornerà prima di lunedì sera.

Papà sarà ancora allo studio, impegnato su qualche causa persa come al solito, probabilmente. un poveraccio licenziato da una multinazionale che vuole riavere il suo lavoro, oppure una hippy a cui hanno fatto chiudere il negozio di cannabis legale. Insomma, una roba da avvocati vicini alle persone, come ama definirsi mio padre.

Comunque, i miei genitori non sono qui. E io ho intenzione di godermela.

Vado in cucina e metto nel microonde una porzione di lasagne che la nostra cuoca Martha mi ha lasciato in un piatto. Poi, in soggiorno e mi lascio cadere sul divano davanti alla TV 60 pollici HD che papà ha comprato a fine estate.

Un paio di puntate dei Simpson sono i miei compagni di pranzo.

Finito, butto tutto nel lavandino e me ne vado in camera.

Do un'ultima occhiata al corridoio e ascolto il silenzio della nostra grande casa, in cima a un palazzo storico nel quartiere di Porta Venezia.

Chiudo la porta.

Vincy mi ha appena scritto, è già online.

Accendo la Play e mi dedico al mio sabato pomeriggio senza nessuno tra le scatole.



─ Com'è andata oggi a scuola?

Sembra la classica domanda che ogni genitore farebbe al proprio figlio.

Tranne per il fatto che mio padre annota le risposte su un block notes nero, con tanto di data e orari.

Ce l'ha da quando abbiamo scoperto della malattia.

─ Bene.

─ Hai preso colpi?

─ No. ─ mento.

─ Qualcuno ti ha urtato nei corridoi o durante l'ora di ginnastica o durante le lezioni?

─ No. ─ questa è vera, se escludiamo l'asfalto del campo da calcio della scuola. Ma papà ha detto qualcuno e non qualcosa.

─ Qualcuno ti ha lanciato degli oggetti?

─ No. ─ L'asfalto non è un oggetto che si può lanciare.

─ Cos'hai mangiato?

─ Abbiamo fatto colazione insieme. ─ osservo.

Mio padre alza gli occhi al cielo: ─ Intendo durante il resto della giornata.

Glie lo dico.

L'interrogatorio, perché di questo si tratta, prosegue così.

Per inciso, mio padre non è un medico, l'ho già detto, no? Ma, da quando abbiamo scoperto della CIPA, questa scena si ripete. Ogni. Singolo. Giorno.

Siamo nella mia stanza. Tra poco si cena.

─ Possiamo ordinare cinese? ─ dico.

Mio padre sta scribacchiando sul suo taccuino e annuisce.

Le sue labbra si muovono leggermente. Gli occhi seguono veloci la penna. Non mi sta guardando.

Forse l'ho convinto.

Ti sentoWhere stories live. Discover now