Tutto buio tranne te (Ottobre 2019)

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Buio

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Buio. La prima cosa che avevo visto dopo essermi svegliato era stato buio.

In verità per me "buio" era diventato solo un nome, una parola formata da quattro lettere. Forse la più chiara espressione del mio stato di esistenza.

Prima del sonno quella parola avrebbe indicato assenza di colore, assenza di calore. Ma ora non ricordavo nemmeno più il significato di non vedere qualcosa se non oscurità; che per me non era altro che l'unica vera tinta che il mio universo poteva assumere.

Alcune volte mi mancava ancora non riuscire a ricordarmi più il sapore dei raggi aranciati dell'alba estiva su Siracusa, mi mancava anche il viso di mia madre e riuscire a correre senza il terrore di cadere a terra.

Ma avevo perso la vista da molto tempo, troppo piccolo per ricordare che significasse un cielo adombrato di nuvole. Che cos'erano le nuvole?

Ogni cosa nella mia esistenza era buio, un buio che non riuscivo a scrollarmi di dosso, un buio che non aveva senso se non per chi stava fuori di me.

Sospirai e tastai con le dita il bordo del letto, dove Angelica aveva lasciato ben piegata la giacca di lana. Lei diceva sempre che ero fin troppo pessimista quando si parlava della mia vista, ma la verità era che ero solo realista. Non cercavo più una miracolosa cura, ma solamente di adattarmi a un mondo fatto per quelli che ancora riuscivano a guardare in faccia le persone.

«Tommaso, ti serve una mano?»

La voce di Angelica penetrò nella stanza d'improvviso, fendendo la distanza che ci separava in un secondo. La prima cosa che avevo sempre notato di lei era il tono vellutato e vivace della sua voce. Sferzava l'aria con la sua risata buffa e quando piangeva singhiozzava piano per non farsi sentire.

Ci eravamo conosciuti cinque anni prima, senza l'aspettativa di rimanere assieme. Il nostro primo incontro era una delle poche cose che ricordavo chiaramente e riempivo con sfocate reminiscenze e colori di prima dell'incidente. Immaginavo che lei mi avesse notato molto prima di rivolgermi la parola e fosse rimasta a osservarmi curiosa tra le macchinette e i sedili tutti vicini della sala d'aspetto, fino a quando quella sua fastidiosa incapacità di rimanere ferma in un posto l'aveva portata accanto a me, immobile in un angolo del reparto ospedaliero. Aveva il passo pesante e l'avevo sentita arrivare molto prima che si presentasse, e allora per la prima volta avevo immaginato di riuscire a vedere anche solo per un'ultima volta il viso di una persona.

Angelica era diventata la mia migliore amica prima ancora che riuscissi a capacitarmene, con quella sua capacità intrinseca di scivolare nella vita degli altri delicatamente. Eravamo passati dall'essere compagni universitari a coinquilini del tutto poco funzionali quasi in un soffio.

«No» risposi lentamente, afferrando un lembo della giacca ed alzandomi in piedi.

«Sei sicuro? Perché hai chiuso la camicia vagamente male». Angie rise e sentii la sua presenza farsi più vicina. Cercai con le mani il bordo della blusa e la trovai scalata di un bottone.

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