Chapter 15 - There's no place like home

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Chapter 15 – There's no place like home

    
         Benvenuti in California, una scritta corsiva gialla su un cartello blue ci dava il benvenuto nello stato californiano.
Anche se non sapevo dove eravamo precisamente, avevo il cuore in gola al solo pensiero che presto avrei messo di nuovo piede nella mia città natale, e la paura che potesse essere stata rasa al suolo era tanta.
C'eravamo fermati in parecchie stazioni di servizio e in nessuna di esse avevo trovato un quotidiano il quale parlasse di San Francisco e di una presunta desertificazione, era un buon segno, no? Speravo di tornare a casa, bussare alla porta e riabbracciare mia madre e mio padre così forte da non farli respirare, sognavo di raccontargli tutta la storia senza tralasciare i particolari, oddio forse mi avrebbero creduta pazza, però non mi sarebbe importato.
Ma poi tornai con i piedi per terra e ripensai a quella frase inquietante che mio padre mi disse tramite il mio defunto cellulare, in Casper e mi rattristii. Che cosa voleva dire? Non cercarci, non venire mai più a casa, corri più lontano possibile, altrimenti tu e Alyson morirete. Non riuscivo a togliermi quelle parole dalla testa, chiusi gli occhi, scossi la testa, mi schiaffeggiai, ma le parole erano come impresse a fuoco nella mia mente, Castiel parve sconvolto quando mi vide fare tutto ciò, ma come spiegare ad un ex Angelo cosa provavo in quel momento? Avrebbe mai capito? Probabilmente no.
L'ansia cresceva mentre i chilometri che ci distanziavano da San Francisco diminuivano e avevo una voglia tremenda di uscire da quella maledetta macchina per prendere un po' d'aria, ma non dissi nulla, cercai di controllarmi inspirando ed espirando profondamente, dopodiché Sam si accorse che qualcosa non andava e quando si voltò verso di me probabilmente arrossii perché sentii il viso andare in fiamme per l'imbarazzo.
<< Tutto ok? >> Chiese.
<< Si, sto bene...ma starò meglio quando arriviamo a San Francisco. >>
<< Oh...giusto. C'è qualcosa che posso fare? >>
<< No, non preoccuparti. >>
<< Beh, guarda il lato positivo, ti stiamo riportando a casa, il tuo incubo è finito. >> Le sue labbra si contrassero in un sorriso a trentadue denti che contagiò' anche me, ma che diversamente dal suo, il mio subito si spense.
<< Facile a dirsi. Non so ancora se ho una città o una casa e mia sorella è scomparsa, non c'è nessun lato positivo. >>
<< Già forse hai ragione, troveremo una soluzione a tutto vedrai quando arriveremo a- >> Lo bloccai.
<< Ed eviteremo anche a Lucifero di indossarti e di uccidermi, si come no. >> Sospirai nervosamente sprofondando nel sedile a braccia conserte. La speranza stava lentamente abbandonando anche me e non era una bella sensazione, mi sentivo sconfortata e depressa non vedevo una soluzione a nessuno dei problemi che avevamo, vedevo solo la fine del mondo che sarebbe avvenuta senza o con il corpo di Sam. Lucifero aveva bisogno di me, di me morta e quindi di tutto il mio stramaledetto sangue per essere capace di battere suo fratello, questo significava che avevo un modo di salvare il mondo... Ma quanto coraggio richiedeva? E quante erano le possibilità che Lucifero e Michael non si sarebbero battuti lo stesso, radendo comunque al suolo il mondo? Scossi la testa smuovendo quel pensiero dalla mente.

In lontananza le assi rosse del Golden Gate risplendevano sotto il sole ribollente californiano tipico del mese di giugno, e riflettevano la luce fino a noi. Erano le dieci di mattina quando entrammo nella caotica Market Street, si caotica.
A mia sorpresa e probabilmente anche degli altri, le strade ripide di Market Street erano più popolate che mai, c'era traffico e tantissime persone affollavano i marciapiedi ai lati della strada muovendosi furtivi tra la folla e sembrando più normali che mai.
E d'un tratto ero fuori, ero fuori da quella famosa dimensione mentale in cui ero finita un mese fa, la dimensione nella quale io ero una bambina che apriva gli occhi ad un nuovo mondo del tutto differente dalla realtà, realtà nella quale io ero semplicemente la studentessa di Science Forense all'Università' di San Francisco. Era bello essere in grado sentirsi sé stessi di nuovo.
Era tutto così familiare, così normale e così dannatamente pieno di vita.
<< Città fantasma, eh? >> Chiese Dean mentre suonava ripetutamente il clacson.
Sorrisi. Avevo voglia di scendere e correre verso casa a piedi e anche se era letteralmente dall'altra parte di San Francisco, l'avrei fatto. << È inutile suonare ripetutamente! Non si scioglierà' il traffico! >> Dissi ridendo.
<< Adesso capisci perché odio le grandi città e le autostrade? >>
Adesso capivo. Impazienza, insofferenza e totale disaccordo con caos e normalità, beh si sembra proprio Dean.
<< Mi aspettavo di trovare una scena post apocalittica, cosa è successo? >> Iniziai.
<< San Francisco era una prova, un test, probabilmente non riuscito. >> Rispose Castiel mentre guardava fuori dal finestrino.
<< E quindi? I Croats? Morti? Come l'hanno spiegato? >> Chiesi tutto d'un fiato.
Castiel fece spallucce. << Allora probabilmente Crowley si sbagliava, Morte era qui quando hanno tentando di infettare la popolazione, ma a questo punto non penso ci sia più. >>
<< Bastardo. >> Fece Dean.
Tutto questo non aveva senso e sinceramente non me ne importava, ero contenta che la mia città fosse ancora li e che dopotutto non fosse cambiato nulla, almeno apparentemente.
Sam si voltò verso di me. << Beh, già che siamo qui, vuoi che ti riportiamo a casa? >>
Non esitai a rispondere. << Sarebbe fantastico. >>
Incrociammo la Main Street e il ristorante in cui io e Blair avevamo mangiato insieme per l'ultima volta e quel maledetto vicoletto da dove era iniziato tutto, sembrava tutto così normale che quasi faceva paura. La stradina era lì, silenziose e c'erano due macchine parcheggiate, una di quelle era la Mercedes rossa decappottabile di mia cugina, il mio cuore si fermò per un secondo quando la vidi e così chiesi a Dean di fermare la macchina e scendendo, mi diressi verso di essa.
Era la solita vecchia lussuosa macchina di Blair, era ricoperta di polvere ma era decisamente la sua, c'era ancora lo strano portachiavi rosa appeso allo specchietto retrovisore, la busta oro con le scarpe che mi regalò giaceva ancora nel retro, era come se nessuno avesse cercato di ritrovare e riprendere la macchina, né mia madre, né mio padre e né tantomeno i genitori di Blair. Il pensiero mi fece girare la testa, sbandai e mi appoggiai sulla macchina.
Flashback di quello che successe un mese prima iniziarono ad invadere la mia povera mente, era come se ovunque mi girassi vedevo i due Croats che volevano attaccarmi con i loro occhi rossi e la loro tremenda furia omicida, mi coprii gli occhi e tutto intorno a me iniziò a girare vorticosamente fin quando non caddi a terra in ginocchio con ancora le mani sugli occhi. Mi rannicchiai in me stessa come per proteggermi da quel luogo, da quelle memorie, ma fu inutile.
<< Julia, tutto bene? >> Sam mi prese per un braccio smuovendomi dalla mia posizione fetale e costringendomi ad alzarmi, la mia espressione doveva essere quella di puro terrore perché Sam continuava a chiedermi se andasse tutto bene e cos'era che mi aveva spaventata così tanto fin quando non mi guardò dritto negli occhi. Avevo la testa abbassata e guardavo l'asfalto, avevo paura che se avessi alzato la testa, avrei rivisto quella scena, i Croats e Blair che veniva trascinata lontano da me.
<< Julia, guardami ti prego. >>
Scossi la testa. << Non posso. >>
<< Julia guardami per favore. >> Insistette.
Lo guardai.
<< Hey. >> Mi sfiorò il mento.
<< Portami a casa. >> Lo abbracciai e lui mi accarezzò i capelli ancora sciolti sulla schiena, dicendomi che quella sarebbe stata la prossima meta.
Quando Dean e Castiel videro finalmente tornare me e Sam, emisero un respiro di sollievo. Erano visibilmente scocciati. << Vi sembra il momento di giocare ai fidanzati quando abbiamo questioni più importanti da sistemare? >> Chiese Dean risalendo in macchina.
Sam sospirò e poi anche lui salì in macchina seguito da me e Castiel. << Dean quello di fronte è il vicoletto in cui salvammo Julia un mese fa, se ben ti ricordi. >>
<< Certo, per questo volevate- >> Lo bloccai.
<< Dean, tu non capisci, credo di essere pazza. >>
<< Benvenuta nel mio mondo, sai finalmente cosa vuol dire! >> Dean sorrise compiaciuto e divertito. Mise in moto l'Impala e ripartì.
<< Voglio uscirci fin quando sono in tempo. >>
<< Stiamo riportandoti a casa, no? >>
<< Esattamente. >>
<< Visto? Te l'avevo detto che non eri felice qui con noi. >> Disse Sam che si intromise voltandosi verso di me e mostrando un accenno di sorriso sulle sue labbra.
Non dissi niente, e neanche Dean che tornò ad essere concentrato sulla strada abbastanza sgombra della Main Street, eravamo diretti al 95 della McLaren Avenue nel quartiere Sea Cliff a ovest di San Francisco, era lì che era la mia casa. Non trovammo molto traffico ed una volta che entrammo in Sea Cliff, il mio cuore iniziò a battere come un tamburo dentro di me ed un nodo in gola mi impediva di parlare, l'ansia di vedere di nuovo la mia casa dopo un mese era tantissima e le milioni di domande sulla salute dei miei genitori stavano per ricevere una risposta e nonostante il quartiere fosse quello di sempre e c'erano sempre le solite mamme giovani che portavano i loro figli in carrozzino a spasso, era come se qualcosa non andasse.
La signora Masters era ferma al bordo del marciapiede e guardava l'Impala che si muoveva lentamente tra le case di quel quartiere, lo stesso la signora Lewis e sua figlia Elizabeth, era come se avessero appena visto un fantasma.
Mancava una curva e dietro ci sarebbe stata casa mia. Feci un respiro profondo, poi un altro e poi ancora un altro fin quando Castiel non mi guardò e mi chiese se andasse tutto bene, io risposi con un no secco.
Era una classica casa americana, moderna, su due piani, mattoni gialli e con il tetto marrone, aveva un lungo balcone che affacciava sul retro e quindi sul grande giardino che mio padre amava curare. La prima cosa che vidi fu la macchina di mio padre parcheggiata nel vialetto di casa, il prato cresciuto dall'ultima volta e le siepi incolte. La seconda cosa che mi saltò all'occhio erano dei nastri di plastica gialla che delimitavano la "scena del crimine", ce n'erano due a formare una x attaccati vicino la porta di legno d'ingresso. Dissi a Dean di fermarsi ed io come un razzo mi fiondai lungo le scale che portavano alla casa, presi le chiavi secondarie sotto una finta pietra nel vialetto e spalancai la porta e quello che vidi mi sconvolse.
Il bellissimo ingresso arredato così meticolosamente da mia madre era rovinato, c'era il piccolo mobiletto basso rivoltato su sé stesso e tutte le cose al suo interno sparse sulla moquette beige, feci due passi e intravidi il salone, anch'esso rovinato, i divani sfoderati e le due credenze spaccate praticamente in due, c'erano tantissimi fogli sparsi un po' a per tutto, la televisione aveva un buco sullo schermo e il telefono era scollegato.
Non sapevo cosa dire, non sapevo cosa fare, non sapevo cosa pensare. Era come se avessimo subito una rapina, come se qualcuno cercasse qualcosa, ma cosa? E cosa c'entrava con tutto questo?

Life as Julia Wyncestre - OriginsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora