Icecream

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Se c'era una cosa che Victoria amava - ed erano relativamente poche -, quella era il gelato: il gusto fresco che le si scioglieva in bocca, il sapore dolce mischiato alla candida panna che, puntualmente, le sporcava il naso, il cono croccante... Sí, Victoria amava quel dolce e per lei era una sofferenza non poterlo mangiare nei mesi più freddi, motivo per cui appena un timido raggio solare minacciava di venire fuori, lei già correva alla gelateria. Esattamente come stava facendo quel pomeriggio, perché era in ritardo. Quando arrivó, Harley era già lí e non se ne stupì, come poteva, egli abitava poco distante da lì e quando voleva - ma solo quando voleva - sapeva essere estremamente puntuale e precisino. Gli si avvicinó cercando di riprendere fiato dopo la corsa. Accidenti, non era più abituata a fare grandi sforzi. -Dammi solo... Un... Secondo...- Il ragazzo sorrise, tirando fuori le mani che prima affondavano nelle tasche del pantaloncino color terra per aggiustarsi la maglietta della divisa. -Hai solo 5 secondi, perché dopo voglio sclerare come si deve.- disse poi, allargando il sorriso. Victoria a volte si domandava se non gli dolesse il viso a forza di sfoggiare sorrisi a trentadue denti, che erano, doveva ammetterlo suo malgrado, incredibilmente attraenti. Fece dei respiri profondi e lo abbracciò. -Tu a che gusto lo prendi?- gli chiese, certa che bastasse quello per far partire il rosa in uno dei suoi soliti sproloqui che terminavano con un "cosa vuoi che sia a confronto con l'immensità degli oceani?" Harley era, infatti, a dispetto delle apparenze, un gran golosone. -Uh, o pistacchio e caffé, o nocciola e pralinato- elencó, contando sulle dita affusolate e abbronzate.

Intanto stavano entrando nel negozio.

La rossa si sfregò gli occhi e sospiró, prima di sollevare il volto e osservare fiaccamente quanto la circondava.

Le tende avevano smesso di frusciare, e il negozio era piombato in quella immobilità in cui erano vagati i suoi pensieri nell'ultima mezz'ora, senza che tuttavia trovasse in sé la forza di agire e scuotersi di dosso quel torpore.

Il suo sguardo si posò su un vaso di fiori freschi posati sopra un pianoforte, da cui si era appena staccato un petalo che volteggiando brevemente si era poi adagiato sui tasti, restando il bilico tra un do e un si bemolle.

Quel lieve movimento aveva suscitato in lei, per un breve istante, il desiderio di sollevarsi da quella poltrona su cui si era appena seduta, per sedersi allo sgabello del piano e sfiorare i suoi tasti, le sarebbe tanto piaciuto suonare quello strumento.

Ma un altro particolare catturò il suo sguardo in quel momento, e si portò involontariamente una mano al cuore, quasi a voler inconsciamente scacciare quell'amore che vi avvertiva.

Una maglia della Raimon, abbandonata a terra, evocò nei suoi pensieri i contorni di un volto, un volto tanto familiare che avrebbe potuto tracciarne il profilo anche ad occhi chiusi, un volto che ora era a pochi passi dal suo.

-Che hai?- le domandò una voce, con lieve incrinazione.

La rossa si ritrovò a sbattere le palpebre - rigorosamente struccate -, un paio di volte prima che il suo cervello mettesse in funzione i neuroni necessari per formulare una risposta.

-Niente, ero solo sovrappensiero- rispose, aprendosi poi in un sorriso rivolta al ragazzo al suo fianco.

Harley fece per dire qualcosa, forse voleva chiederle cosa stava pensando, o forse aveva intenzione di dire una delle sue solite filosofie - del tipo: qualunque sia la cosa a cui stai pensando, pensa che inconfronto all'immensitá oceanica è nulla -, ma alla fine le chiese semplicemente come voleva il gelato. E Victoria lo apprezzó non poco. Forse perché tutto quello che una semplice maglia da calcio era capace di scatenare in lei - una tosta come lei - non era nulla inconfro a niente.

You call my nameWhere stories live. Discover now