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Mark si stava cambiando negli spogliatoi, dopo un estenuante allenamento. Non che normalmente in campo "pettinassero le bambole", però quel giorno Nathan, supportato dagli altri, aveva calciato di quelle bordate... L'ultima, in particolare, quella che in teoria avrebbe dovuto essere la più semplice da parare perché a fine della sessione dei rigori la stanchezza si faceva sentire, ancora gli bruciava sui palmi delle mani, molto arrossati. Però, quando aveva calciato, gli aveva accennato un sorriso di sfida, prontamente ricambiato da uno dei suoi sghembi. Si ricordava perfettamente lo sguardo di Nathan e le emozioni che vi aveva viste amalgamate al suo interno. Un miscuglio di sfida, superiorità,  bruciante passione nei suoi confronti ancor prima che per il calcio, e sicurezza. Era lo stesso sguardo che gli aveva rivolto circa tre mesi prima, quando ancora non stavano insieme.

Posó i palmi contro l'asta del suo armadietto, nel tentativo di raffreddarli.

-Ti sei fatto male?- gli chiese una voce calma, quasi femminile, con una lieve intonazione nervosa, ansiosa.

Voltó la testa lentamente, perché sapeva perfettamente l'identità della figura che gli faceva compagnia.

Avrebbe potuto riconoscere ovunque la voce di Nathan, tutto di lui era come impresso nella memoria del giovane Evans.

Mark gli rivolse un sorriso, le ciocche castane che, libere dalla fascia arancione, gli ricadevano scomposte sulla fronte imperlata di sudore, e scosse la testa.

Poi stese la mano sinistra e vi battè il pugno destro in un gesto automatico, il quale gli veniva spontaneo ogni volta che doveva rassicurare qualcuno, che fosse un suo compagno di squadra o sua madre.

Lo faceva anche ad ogni partita, specialmente le più toste da vincere, subito prima di darsi da fare e parare un goal.

Era un po' come il suo augurio personale.

L'azzurrino non badó a quello, però.

Adoravano, senza averlo mai ammesso esplicitamente, il silenzio che si creava tra di loro. Non era pensante o imbarazzante né, tantomeno, ostile. Era un silenzio piacevole, nel quale si scambiavano sguardi, con cui comunicavano.

Loro e nessun altro. Loro e i loro cuori. Loro e il loro amore.

Non erano mai stati tipi da troppe moine, bacini, bacetti e cose simili. Sì, erano persone fisiche, ma in un modo particolare. In un modo... Tutto loro. Faticavano a esprimersi con le parole, soprattutto Nathan. Non era mai stato né un tipo loquace, né tantomeno un tipo che ripeteva fino all'asfissia che amava qualcuno.

Mark poteva sì essere logorroico se si trattava di qualcosa che teneva particolarmente a cuore, ma non era mai stato un romaticone.

-Usciamo insieme oggi?-chiese all'improvviso il capitano, prendendo alla sprovvista l'altro.

Era raro che gli chiedesse di uscire, tant'è che il loro primo appuntamento era stato più che altro un incontro accidentale.

A tale proposta, però, l'ex corridore non poté che annuire.

-Andiamoci in divisa, però- aggiunse Mark, cominciando a muovere verticalmente la mano destra per farsi vento -Fa caldo.-

Nathan annuì, avviandosi verso il suo armadietto per prendere la divisa, visto che era appena uscito dalla doccia e indossava solo l'asciugamano. Gli allenamenti negli ultimi tempi erano davvero pesanti e molto spesso dopo di essi aveva davvero bisogno dell'acqua calda che gli scioglieva i muscoli.

Solo che quando aprì l'armadietto rimase per un attimo interdetto del suo contenuto, sbatté le palpebre, credendo per un attimo di aver sbagliato. Si guardò in giro, contando tutti gli armadietti che distavano da quello di Mark al suo e, sì, quello che si trovava davanti era il suo, il contenuto però no, per niente.

You call my nameWhere stories live. Discover now