32. Nuovi amici

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Lastanza da dove provengono le urla di mio padre è piccola, ci sono due lettininon fatti e i medicinali sono sparsi sul pavimento, forse dormiva qui ilmostro. Il mostro che sta cercando di mordere mio padre. Le mie mani incapacidi muoversi tremano e le mie gambe non mi tengono in piedi. Decido di muovermicontro la volontà dei miei arti e mi faccio avanti, afferro il coltello e cercodi andare dietro al mostro, ma questo fiuta il mio odore, si volta, è unbambino, un bambino bellissimo se non fosse per il sangue asciutto quasidipinto sul suo viso, e i suoi occhi grigi e vuoti.

Mi guarda come se non vedesse più una persona, ma cibo, fonte di sopravvivenza, il suo sguardo è come un ramo appuntito eppure non riesco a colpirlo, torno alla realtà solo quando apri la bocca e mostra i canini pronto a divorarmi.

Sbatto contro la parete cercando di non farmi nemmeno sfiorare dal mostro. Mi passa la vita davanti, provo a usare la braccia ma la paura fa in modo che queste rimangano ferme, qualche secondo dopo la sua faccia è distante dalla mia per un millimetro finché non si ferma, dal suo cranio esce del sangue e il piccolo mostro cade a terra. Respiro a fatica mentre il mondo intorno a me riprende il ritmo originale e a toccarmi la mano è Christian. Osservo la scena, Mackenzie mi guarda come se avesse assistito alla mia resurrezione, mio padre è seduto sul letto e fissa il pavimento come per cercare di dimenticare ciò che è successo.

"Cos'è successo?" domando a Christian ancora confusa

"Non lo so, a quanto pare lo sparo è arrivato da dietro la stanza" ricordo il sangue che esce dal collo del piccolo mostro.

"Si, è arrivato da dietro" conferma un uomo munito di zaino e fucile, il suo viso mi fa pensare a un cacciatore.

"Ti ringrazio" ho la forza di sussurrare, sono ancora appoggiata alla parete della stanza come se mi potesse aiutare a mantenere la calma.

Deve avermi sentito parlare perché sorride "sono Chad" si presenta "dovreste andarvene, i posti come questo non sono mai sicuri, quegli stronzi, ormai, sono ovunque" ha una voce molto saggia. Non riesco a vederlo come vedevo Maggie, non mi sta antipatico, perciò credo ci possiamo fidare di lui.

Mio padre si alza, sarà che tra uomini si capiscono, gli stringe la mano e ci presenta "mia figlia Carmen" indica Christian "Christian" pronuncia il suo nome duramente come se fosse un mafioso "e infine, Mackenzie" lei si sforza di sorridere e poi torniamo tutti seri alla domanda di mio padre "da dove vieni?" lo sguardo sereno di mio padre si trasforma in uno speranzoso ma anche attento dopo quello che abbiamo passato con Margareth.

Da due mesi a questa mattina mi sono sempre chiesta se al di là dei confini ci fosse qualcosa, ho sempre avuto quella voglia di sapere se fossi

sola con gli altri del gruppo ad essere viva o se ci fossero altre persone che condividessero il nostro disagio, dover vivere. Quando l'uomo parla, mi accorgo che la risposta a questa domanda è quello che ho sempre desiderato fino ad adesso.

"Viviamo in un villaggio nel sud, siamo una quarantina. Non è molto ma è già qualcosa" appena finisce di parlare tiro un sospiro di sollievo e sorrido, a quanto pare l'umanità non ha ancora perso la guerra.

"Mi sembrate persone ragionevoli, perciò saremo lieti di ospitarvi" conclude l'uomo, da dietro sbucano Anthony e Max che studiano Chad appena costui si volta verso di loro.

"Va tutto bene?" domanda Anthony

Mio padre annuisce e i tre uomini fanno conoscenza, noto subito un'atmosfera di intesa, ciò promette bene.

I due uomini decidono di fidarsi del nostro nuovo amico, usciamo dall'ospedale e l'atmosfera si fa più piacevole quando vediamo che ad aspettarci è un carro armato.

Rimaniamo a bocca aperta, io e Mackenzie prima di tutti, non ho mai visto un carro armato in vita mia.

"Dove l'hai preso?" domanda Edith come se fosse suo amico da una vita

"Beh, nelle prime settimane dell'epidemia i militari stavano facendo il giro della città e quando sono morti tutti, ho pensato -perché no? - , ho rimediato un bel po' di armi e questo splendore" spiega orgoglioso del suo lavoro.

"Con questo possiamo andare in giro senza aver paura di fare rumore" osservo.

Saliamo sul mezzo della salvezza e ci avviamo verso il villaggio. È una sensazione unica, ricordo quando avevamo tutti una vita tranquilla e avere una macchina era più che normale, mentre adesso dopo tre mesi a piedi, stare qua sopra è un paradiso. Come su un'automobile, gli alberi si avvicinano e si allontanano dalla tua visuale in pochissimo tempo e mentre stai seduto puoi ammirare le nuvole.

A fianco a me è seduta Mackenzie, come suo solito osserva con aria triste tutto ciò che la circonda, e ora che ne conosco la ragione non faccio altro che sentirmi in colpa e pensare che devo assolutamente parlarle.

Come per ogni cosa il paradiso finisce e siamo costretti a scendere dal carro, salire è stato semplice, ma scendere soprattutto per me è difficile visto che soffro di vertigini.

Ad aiutarmi vi è mio padre che mi offre la sua mano.

Il paesaggio davanti a noi è vasto, le tende sono distribuite in una fabbrica circondata da un immenso campo, il capo ci spiega tutto.

"Benvenuti a Moissone, un villaggio piccolo ma grande allo stesso tempo. Qui la protezione e la sicurezza sono le nostre priorità, abbiamo cinque cecchini per ogni lato, ognuno qui ha il suo compito: le donne cucinano, confezionano vestiti o pezzi di stoffa che possono essere utilizzati a qualsiasi scopo, inoltre se qualcuna di loro lo desidera può andare a caccia con gli uomini. Qui ognuno è libero di fare ciò che si sente a patto che non porti nessun guaio alla comunità, stiamo sempre molto attenti anche a ciò che mangiamo" lo ascoltiamo tutti molto attentamente, quando dietro di lui compare una donna col pancione.

"Chad" si rivolge prima a lui perplessa, lui le sussurra qualcosa all'orecchio e ci accoglie festosa

"Benvenuti! Siamo molto felici di ospitarvi. Io sono Agata.Voi ragazze potete seguirmi". Ci mostra le tende, ne mancano solo tre perciò dovrò dormire con Mackenzie, devo parlarle. Appena Agata ci lascia sole ne approfitto.

"Dovrei parlarti" le dico molto imbarazzata, lei mi guarda recitando la parte della finta tonta

"Beh, io non so se sia vero, l'ho pensato e non ho prove concrete per stabilirlo..."

"Parla" dice interrompendo l'introduzione che avevo studiato mentalmente per non sembrare una cattiva amica.

Le parole mi scivolano dalla bocca

"Ti piace Christian?" come se la domanda che ho pronunciato potesse rompere un incantesimo, smette di sorridere e inizia a fissare l'erba ai nostri piedi, si vergogna.

"La scorsa notte mi sono svegliata e ho sentito che in sogno...mi volevi quasi fare fuori; eri molto arrabbiata, ecco tutto" lei annuisce e ammette la dura verità "si è tutto vero, cioè non voglio ucciderti ma..." inizia a piangere e cerca di fermare le lacrime asciugandosele

"non te l'ho detto perché non volevo rovinare le cose tra noi e mi sembrava stupido che potesse succedere qualcosa per un ragazzo, vedere voi due che siete così intimi, siete una bella coppia e se penso a cosa saremmo potuti essere io e lui, non saremmo stati niente" continua a singhiozzare, mi viene una domanda che non dovrei farle, che potrebbe davvero rovinare la nostra amicizia

"tu cosa provi per lui? Quant'è grande la tua cotta?" i suoi occhi vogliono nascondermi qualcosa, mi risponde sulla difensiva "no, ti sbagli. Non è una cotta da quattro soldi come potrebbe esserlo per te. Io lo amo"

Apocalisse zombie- A un passo dalla morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora