42. L'inizio della fine parte 2

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Il tempo scorre lento nella cantina, l'atmosfera è silenziosa e pesante.

"Carmen" sussurra Agata, mi giro di scatto presa dall'adrenalina.

Fruga nella tasca del suo cardigan con la bambina in braccio e mi porge una foto

"Se io e Chad non dovessimo farcela, ti prego di dare questa a nostra figlia un giorno quando sarà grande e chiederà di noi" ha il viso bagnato e dagli occhi rossi si può notare le tracce delle lacrime, penso che stia piangendo in silenzio da un po'.

"Agata, non fare così...vedrai che ce la faremo" provo a consolarla

"Io non ci credo, li senti gli spari? Chi potrebbe mai sopravvivere a un attacco simile? Siamo più donne che uomini e non sappiamo combattere" la abbraccio forte perché sospetto che questa sarà l'ultima conversazione tra di noi.

"Andrà tutto bene, hai la mia parola" mi stringe la mano e dopo qualche secondo dopo aver poggiato la testa sul muro si addormenta. Apro la mano e osservo la foto: l'immagine raffigura Agata e Chad nel giorno del loro matrimonio, felici e innamorati. La sistemo nella tasca della mia giacca.

Siamo finiti in questa situazione, chiusi in una cantina. Cosa posso fare io? Non sono di certo l'eroina che salva tutti quanti. Ho paura.

La paura mi accompagna sin dall'inizio e adesso è più forte di prima. Tutte le vite di queste donne insieme ai loro bambini sono a rischio.

Dopo un paio di ore i rumori iniziano a morire piano piano, come se la fabbrica non fosse mai stata abitata. Comincio a pensare di poter scappare con tutti quanti e trovare un posto sicuro dove stare, da qualche parte, lontani da ogni pericolo, tanto il mio gruppo se è ancora vivo riuscirà a trovarmi sempre. Ma la maggior parte delle volte i sogni sono ben lontani dalla realtà e questo lo so da sempre.

Decido di alzarmi e avviarmi lentamente verso la porta. Le donne mi guardano stranite mentre i loro bambini sono adagiati sui loro corpi in un sonno profondo, faccio loro il segno del silenzio e appoggio l'orecchio alla porta. Non sento alcun rumore.

"Possiamo andarcene?" domanda una di queste, nei suoi occhi posso scorgere un lampo di speranza

"Non lo so, non sento rumori sospetti ma mi sembra una trappola. Credo che convenga aspettare ancora qualche ora" rispondo

"I bambini hanno sonno, e quando si sveglieranno avranno fame. Qui non c'è nulla da mangiare" protesta un'altra all'angolo.

"Va bene, aspetteremo ancora una mezz'oretta e poi ne riparleremo " mi risiedo al posto.

Continua ad esserci silenzio, perciò decidiamo di alzarci

"Mi raccomando, i vostri bambini devono stare dietro nel caso dovessero sparare" apro lentamente la porta, non vedo nessuno in giro perciò faccio segno alle donne di scappare.

L'edificio è vuoto e silenzioso, il pavimento è ricoperto da una cinquantina di corpi, cosicché mentre fuggiamo ne pestiamo alcuni per sbaglio. Le pareti sono dipinte di spruzzi di sangue e il pavimento anche. Cerco con lo sguardo delle armi e tra i cadaveri compare un fucile, lo prendo da terra e corro verso l'uscita.

Mentre ci avviamo proiettili volano per aria, disegnando lacrime di disperazione sulle facce delle donne mentre i loro corpi vengono trafitti come buchi nella sabbia insieme ai figli.

Tra le donne a terra trovo Agata, intenta a tamponarsi la ferita sul petto da cui il sangue esce limpido

"Agata!" soffoco le lacrime

"C-ca-car" prova a pronunciare il mio nome, piange disperatamente

"Non è importante, ehi, guardami! Sei stata forte!" non riesco più a trattenermi e scoppio in un pianto disperato

Apocalisse zombie- A un passo dalla morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora