Oggi piove

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Setteequarantasei, il mio sonno viene turbato da rumori provenienti dalla stanza accanto, mia madre, come tutte le mattine, si prepara per andare al lavoro; setteequarantasette, il bambino dei vicini di sopra si sveglia e piange, setteequarantotto: "Oggi piove, portati l'ombrello", seguito dalla chiusura della porta; setteequarantanove, non capisco nulla; setteecinquanta, dal mio maledettissimo cellulare proviene un suono fastidiosissimo, che sovverte il mio riposo, la stramaledettissima sveglia.

Mi strofino gli occhi, alzandomi, inciampo nella bottiglia d'acqua per terra, fa troppo rumore per uno che si è appena svegliato.

Scelgo dei vestiti decenti dall'armadio, "Blu e grigio stanno bene, no? Ma si dai." A stentoni arrivo in bagno, mi lavo la faccia, mi rendo conto che la mia barba è cresciuta parecchio, forse dovrei tagliarmela, no troppa fatica, è solo una perdita di tempo, lo farò un altro giorno, tra l'altro, non rende più virile? "Ok cretino! Che tempo fa oggi?" "Oggi sono previste precipitazioni, con una massima di venti gradi, ed una minima di tredici", giusto "Oggi piove" devo ricordarmi l'ombrello.

Vado in cucina, armadio, Nesquik, frigo, latte, credenza, tazza, mescolo il tutto e infilo nel microonde, dueminutiezerozero, come faceva quella canzone? Bah, non ricordo, mi verrà in mente più tardi. Sul cellulare messaggi, mail e notifiche varie, non ho voglia di rispondere ora, lo farò sul bus. "Bip, Bip, Biiiiiiiiip" mannaggia che fastidio questo microonde, fa un casino impressionante, capisco che il latte è caldo, ma potrebbe dirmelo con più calma.

Poggio il telefono in equilibrio tra un limone e il tavolo, faccio partire youtube, chissà se c'è qualcosa di interessante oggi. "Nuovo video shock", uno più palloso dell'altro. Mentre pulisco la tazza nell'acquaio penso: Che ora si è fatta? Ottoeventidue, a che ora è il pullman? Ottoequarantacinue. Che ore sono ADESSO? Ottoeventitre. Mhmm ho ancora qualche minuto. Denti, mi scordo di pettinarmi, deodorante e via, pongo il PC nella sua custodia e poi nello zaino, mi rendo conto che mi resta poca acqua, la riempo, perfetto, tutto pronto.

Ultima occhiata allo specchio, anche oggi ho fatto un buon lavoro, presentabile come tutti i giorni. Infilo il giacchetto, la sciarpa, e ripenso "Oggi piove", giusto, ma quale prendo, quello grande o quello piccolo? Quello più piccolo, che magari se la vedo, possiamo stare sotto lo stesso ombrello, vicini.

Snodo le stramaledette cuffiette, come al solito annodate, come sanno fare solo loro. Non sia mai che incontro qualcuno che conosco e che devo avere una conversazione. Musica alla mano e via, chiudo le due serrature della porta e cominciamo questa passeggiata di tre minuti e cinquantasette. Non sta piovendo, maledico i meteorologi. Sebbene non sia prestissimo, le ottoetrentanove, le persone che mi circondano sembrano degli zombie, probabilmente come me, in costante carenza di sonno, pietrificati dal vento e in ritardo per il lavoro. Arrivato alla fermata del pullman, c'è molta gente, come al solito, forse doveri cambiare fermata, prendere quella prima, così troverei sicuramente un posto per sedermi; ma no, troppa fatica, farsi minuti in più di camminata per stare seduti, non ne vale la pena.

Nell'attesa, mi guardo intorno, oggi lei non c'è, ma che giorno è? Venerdì. Ah è normale che non ci sia, non iniziamo alla stessa ora.

Il pullman arriva con il suo imponente numero in digitale "Quattordici", caspita è il migliore, il più rapido per portarmi all'università, il numero "uno" di solito ci mette molto più tempo, circa quarantacinque minuti, ma questo, meno della metà, sono così contento di averlo scoperto, e di non sorbirmi ore ed ore di tragitto giornalmente in mezzi pubblici.

Oblitero il mio abbonamento, vado verso il fondo e trovo il mio posto libero, non è proprio il mio, ma appena lo vedo mi ci metto; è leggermente più grande degli altri posti, ciò lo rende più comodo, ma il motivo per cui lo scelgo è che non ha posti a fianco, non devo condividere un posto ristretto con uno sconosciuto, è il mio posto.

Qui posso stare tranquillo, guardare il fiume dai vetri e pensare di essere in un posto diverso che in una scatola di latta con altre duecento persone. Le canzoni che passano a ripetizione sono sempre le solite da qualche mese, non ho nessun abbonamento a servizi di streaming per la musica, costano troppo, quindi ho la mia piccola playlist che mi ascolto giornalmente, conosco a memoria tutte le parole delle canzoni, se fossi solo canterei a squarciagola, ma avendo pietà di chi mi sta attorno evito di rompergli i timpani con la mia voce stonata.

Assuefatto dai miei pensieri non mi rendo conto che il pullman è già arrivato a destinazione, noveeventi, mhmm, più lento del solito. Oggi inizio alle noveetrenta, di solito arrivo con molto più anticipo, mi siedo sui divanetti e cerco di non pensare a tutto il tempo che spreco nell'aspettare.

Aspetto per i pullman, per i professori che entrino in classe e facciano lezione, aspetto l'ora di pranzo, aspetto, aspetto, ancora ed ancora; la mia giornata non è altro che un attesa che si protrae fino a sera, fino al momento in cui mi stendo sul mio letto comodo comodo, e sono libero.

Noveeventinove, il professore mi passa davanti, mi saluta, e mi invita ad entrare in classe, lo seguo, togliendomi le cuffie sento i discorsi dei miei compagni, parlano francese, mi ricordo che sono in Francia, già da un anno e passa, tuttora non me ne rendo conto, penso sempre in italiano, con mia madre pure, questo fa di me un alieno forse, una persona estranea da me stesso.

Faccio lo switch, inizio a pensare in francese, altrimenti non capirei nulla della lezione, e sarebbe altro tempo perso.

La giornata passa veramente lentamente, ho molte pause tra una lezione e l'altra, dovrei forse studiare, iniziare uno dei tanti lavori da finire entro la fine del semestre, e invece passo il mio tempo ad osservare, guardo cosa fanno i passanti, come si atteggiano, con chi parlano, quando incrocio lo sguardo con qualcuno che conosco faccio un piccolo gesto con la mano e accenno un sorriso, menomale che nessuno si ferma a chiacchierare, non saprei cosa dire, non faccio nulla di interessante, tanto vale rimanere in silenzio c'è un termine inglese che rappresenta veramente l'essenza di queste conversazioni "cheap talk", adoro questa parola, perché non esiste un unica lingua in tutto il mondo, sarebbe più facile parlare tra di noi umani.

Arriva la sera, sono le diciottoeventidue, l'ultimo corso della giornata è finito da due minuti, ma la professoressa ancora non se n'è accorta e restiamo in silenzio questi minuti in più. Ho appena perso il primo pullman, mi toccherà aspettare per il prossimo.

Finalmente libero, mi dirigo verso la fermata, ritrovo la mia cara amica, sono contento di vederla, tutti i giorni mi risolleva il morale, assieme a lei ci sono anche le sue tre amiche, non le conosco molto bene, ma mi stanno tutte ugualmente simpatiche, è proprio quando sono con loro che mi rendo conto che il tempo è veramente relativo. Dopo quarntacinque minuti, percepiti tre, arrivo, e finalmente posso parlarle, rimaniamo soli, facciamo un pezzo di strada insieme, non so cosa dirle, ritorno ai miei pensieri, mi rendo conto che non piove, mi sono portato l'ombrello a presso tutto il giorno e non piove, che delusione.

Ancora una volta il tempo è volato, senza rendermene conto, ho perso l'occasione per parlarle, anche solo per sentire il suono della sua voce. Arrivo davanti a casa mia, la saluto, con un sorriso dolce ricambia, già mi manca.

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⏰ Last updated: Oct 28, 2019 ⏰

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Brevi Storie: Un Toscano in FranciaWhere stories live. Discover now