Doria

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I cavalli correvano con furia, spronati dai loro cavalieri a dare il massimo. Gli ordini erano chiari: arrivare il prima possibile. Poche erano le vie calpestabili dagli zoccoli dei cavalli e quella che presero era l'unica che portava a sud. Peuxos sorgeva su di un'alta collina, circondata da ampi boschi e campi coltivati, che si alternavano fino a raggiungere le pendici della prima collina che li separava da Doria. Il drappello di soldati, con in testa il capitano Craxos, non si fermò né rallentò, fino a quando, giunti alle pendici della seconda collina, non fece improvvisamente buio. L'ora non era ancora tarda perché calasse il sole. Guardando in alto videro enormi nubi nere prendere possesso della volta celeste. Alle loro spalle campeggiava la prima collina, che oscurava loro la vista della capitale. Pur rallentati dal buio, che ostacolava il passo sicuro ai cavalli, non si attardarono oltre. Percorsero il cammino che serpeggiava per il fianco della seconda collina, uno dietro l'altro. Il principe era alle spalle di Craxos e si guardava intorno continuamente, innervosito dal repentino cambio di clima. Nella sua baldanza, resa tale da anni di esperienza, era sicuro di poter colpire chiunque, stregone o mortale, che si fosse messo tra il suo regno e la vita. Il vento e la tempesta, però, erano veri nemici per gli eserciti e la sua esperienza glielo ricordava forte. Per un attimo la mente andò a passate cose, a quando battagliò per il futuro del Principato, ma scacciò subito quei ricordi, per concentrarsi sul più importante presente.

"Capitano", chiamò, "fa accelerare il passo. Doria è a breve".

Il capitano sventolò uno straccio rosso e partì al galoppo, seguito dal resto della truppa. Alle spalle della collina, in fondo alla piccola valle, sorgeva il villaggio. Lo videro appena arrivati in cima al percorso. Doria era al buio, circondata alle spalle da un bosco in cui scorreva lo stesso fiume che arrivava a Peuxos. Discesero la collina e arrivarono in fondo. Il drappello si aprì a ventaglio, circondando il principe, che rimase alle spalle del capitano. "Armatevi", disse Craxos, e quelli sguainarono piano le spade. "Attenzione", aggiunse.
Proseguì portandosi solo sue soldati. Dopo un po' altri due si inoltrarono nel buio, l'uno affianco all'altro, e poi ancora due. Passarono lunghi minuti, il cui silenzio non venne rotto da nulla se non dal rumore del vento. Persino i cavalli, seppur stanchi, respiravano piano, senza sbuffare. Una figura tornò verso di loro. "Sembra tutto pulito", disse il soldato. "Alcune case sono andate a fuoco, ma la maggior parte del villaggio è intatta. Tra le finestre abbiamo intravisto solo cadaveri".
"Altro?", rispose Darco, impaziente.
"Mio Signore, abbiamo individuato il mulino col granaio di cui ci aveva parlato la zingara. È l'edificio più grande, era completamente vuoto. Il capitano la attende lì".
"Molto bene", rispose Darco. Il principe partì, seguito dal soldato che gli aveva parlato. Il resto dei militari aveva altri ordini, discussi prima di partire.
Ci misero poco ad arrivare al granaio. All'esterno, un soldato stava togliendo le selle ai cavalli. Gli venne incontro, aiutandolo a scendere. Entrò nel granaio, illuminato all'interno da due torce appena accese, dove Craxos prese subito la parola. "Signore, per ora le parole della zingara, da voi comunicatemi, risultano veritiere. Il granaio e il mulino sono proprio dove detto da lei e nelle case non sembra esserci anima viva". Il tono era sommesso. "Da quello che siamo riusciti a vedere sembrano effettivamente stati aggrediti da qualche bestia. Ma dalle finestre non siamo riusciti a vedere molto, con la poca luce delle nostre torce". Il viso di Darco si rabbuiò. Aveva sperato fino all'ultimo che quell'attacco fosse dovuto a mano umana. Le parole del capitano gettavano una reale ombra oscura sugli avvenimenti narrati dal racconto della zingara. Strinse i pugni racchiusi nei guanti neri. "Bene. Nonostante ciò, domani mattina proseguiremo all'ispezione del villaggio. Per ora non saltiamo a conclusioni. C'è altro?".
"I soldati seguiranno il piano come concordato. Tre di loro risaliranno la collina, disponendosi in un punto favorevole, altri due resteranno di guardia fuori dal villaggio. Ho messo loro due di guardia qui fuori", disse il capitano indicando i soldati che stavano legando i cavalli all'interno del granaio, "mentre noi rimarremo qui all'interno col soldato Jennai", indicò il soldato che aveva parlato poco prima al crincipe.
"Molto bene", disse ancora Darco. "Prepariamoci per la notte".
Con i cavalli nel granaio che mangiavano tranquilli il fieno e riscaldavano con il fiato l'ambiente, il principe Darco e il capitano Craxos, più l'attendente Jennai, si appollaiarono sul soppalco. Non accesero fuochi, né prepararono giacigli comodi: avevano disposto di dormire in armatura, spade alla mano. Nonostante l'alto livello d'allarme, però, Darco volle che tutti riposassero il più possibile per essere pronti al meglio alla giornata di domani. Si sentiva sicuro del fatto che gli aggressori, che dalle prime osservazioni sembravano essere proprio i Grandi Lupi avvistati da Rakèl, non si sarebbero fatti vivi quella notte. Troppo pericoloso attaccare nello stesso luogo. Chiunque si sarebbe aspettato almeno l'invio di esploratori, con il rischio di incappare poi in una vera e propria rappresaglia da parte del principe. Tuttavia la rivelazione dell'identità del nemico aveva acuito ancora di più il senso d'allarme e di pericolo nel Signore di Peuxos. Un evento inaspettato come quello poteva avere mille cause diverse, estremamente banali come tremendamente oscure, ed egli cominciava a pensare di averle sottovalutate.
Ricordò ancora, per tutta la notte, scene della guerra di cinque anni prima. La fame e il freddo delle trincee si alternavano alla sua ultima battaglia. Si rivide conficcare la lancia nel petto del suo nemico, mentre il Barone scagliava fulmini veri e propri dalle sua mani rinsecchite.
L'alba arrivò in fretta, con il rombo del vento che preannunciava tempesta. Quando il capitano si svegliò, trovò il principe con lo sguardo fisso nel vuoto.
"Mio Signore...", accennò timidamente, non essendosi mai trovato a svegliarsi al cospetto di Sua Maestà.
"Capitano", lo interruppe Darco, "forse ho commesso un errore. Ho come l'impressione che avrei dovuto muovere forze maggiori per questo pericolo", il tono della sua voce era bassa, stranamente poco energico. "Tu cosa pensi?", chiese.
Il capitano rimase senza parole. Il principe voltò lo sguardo verso una piccola finestrella, da dove facevano capolino i primi raggi solari. Craxos mai si sarebbe spettato di essere trattato da pari a pari dal principe, né che la sua opinione venisse presa in considerazione. "Puoi parlare", aggiunse Darco, come capendo la titubanza del capitano nel rispondere. Gli occhi neri si fissarono in quelli verdi. Il capitano per un lungo attimo soppesò le parole, per poi si lasciarsi andare, così come aveva fatto durante l'interrogatorio al soldato Demin.
"Credo che abbiate fatto bene, Vostra Maestà. Questa è senz'altro una missione che richiede discrezione, pertanto l'impiego di un gruppo così piccolo di soldati mi sembra più che adatto".
"Lo pensavo anche io", rispose dopo qualche istante il principe.
All'improvviso si alzò, e diede ordine di prepararsi.
Jennai si riscosse e i tre uomini aprirono le porte del granaio. Trovarono le sentinelle ad attenderli, in piedi, senza apparenti segni di stanchezza per la guardia notturna. All'esterno l'aria era fredda, nonostante il sole che aveva preso posto tra le nubi grigie. L'aspetto cupo del cielo non prometteva nulla di buono. "Se viene a piovere tutte le tracce spariranno", disse Darco. "Capitano, vediamo di darci una mossa".
"Tu, va a chiamare gli altri all'entrata e segnala alle vedette sulla collina il nostro stato", comandò il capitano a una delle sue sentinelle. Non aspettarono molto e quando la sentinella tornò, lo fece con gli altri due soldati.
Nel frattempo, tutti avevano dato uno sguardo sommario al villaggio: ovunque guardassero, scorgevano graffi sui muri, macchie di sangue a terra, tracce di trascinamento.
"Cominciamo l'esplorazione", annunciò il capitano Craxos.
"Insieme. E armi alla mano", aggiunse il principe. Il gruppo si mosse compatto, con spade, lance e balestre impugno. Il piccolo e sventurato villaggio aveva un'aria anonima, simile a quella di tanti altri tutti uguali. Le case, in legno, paglia e argilla, si ammassavano l'una sull'altra. Il granaio, vicino al mulino, dava su un piccolo torrente. Il muro dell'edificio era bianco sporco e, voltandosi, videro che era l'unico senza tracce di alcun tipo. Le case di fronte, invece, mostravano tutti i segni di un'aggressione. La balestra della vedetta toccò la porta ed egli cercò di spingere.
"È bloccata, Capitano", disse dopo qualche attimo.
"Aiutalo", comandò, semplicemente Craxos, all'altra vedetta. Il soldato si avvicinò e spinse insieme al suo compagno. La porta cedette di botto.
Dopo i primi secondi di allarme, un odore nauseabondo investì i loro sensi.
"Copritevi la bocca!" urlò il capitano. "Indietreggiamo!".
Anche dall'esterno, e a qualche passo dalla porta, riuscirono a vedere l'interno della casa. Tre corpi giacevano a terra, orribilmente sfigurati, sventrati, a pezzi. Il principe afferrò uno straccio postogli dal Capitano e se lo legò intorno alla bocca, come stavano facendo tutti.
"Cosa facciamo, Capitano?", chiedevano quelli, con la voce ovattata dai panni.
"Prudenza. Entriamo con prudenza". Il capitano si fece avanti e si portò una delle due vedette. Fece segno agli altri di rimanere indietro. La tensione era al massimo. Le mani del principe Darco stringevano con tale forza la spada da non sentire quasi più i muscoli le braccia. Lo sguardo era fisso sulla schiena del soldato che era appena entrato nella casa, seguendo Craxos.
Non ci misero molto. A vederli, il principe abbassò la spada e gli si avvicinò.
"Sono tutti morti", disse il Capitano, scordandosi dell'etichetta.
"La situazione è strana", aggiunse. "E' chiaro che sono stati sbranati da animali feroci. Ma i loro corpi sono in avanzato stato di putrefazione. È impossibile che dopo un solo giorno siano ridotti così".
Il viso del principe rimase immobile.
"Forse è meglio se dà un'occhiata, Signore".
Il principe abbassò ancora la spada e si fece avanti.
Appena varcata la soglia, il tanfo si fece più forte. Lo sguardo di Darco spaziò in fretta all'interno della sala d'ingresso: piccola, tipica delle costruzioni dei contadini. Ovviamente, furono i corpi riversi a terra ad attirare la sua attenzione. Uno più grande, quello di un uomo, era rivolto col viso al pavimento. La schiena era aperta, le viscere sparse sul pavimento. Gli altri due erano di una donna e una bambina, ridotti allo stesso modo. Erano visibilmente gonfi, il sangue nero già rappreso sui vestiti e i visi, ma non solo. Le pareti erano chiazzate di macchie nere e rosse. Segni di graffi completavano un quadro chiaro: Rakèl aveva detto la verità. I Grandi Lupi avevano attaccato il villaggio. Il principe si chiese come mai una popolazione che si era sempre mantenuta pacifica aveva compiuto un tale massacro. Forse si trattava davvero di reietti. Fece ancora qualche passo in avanti, con difficoltà. L'aria era completamente irrespirabile e il Capitano aveva ragione: un giorno non bastava a rendere un corpo morto così decomposto. Sembrava che avessero passato intere settimane in quel modo. Stringendosi con una mano il panno sul viso, si chinò sul cadavere dell'uomo. Notò le ferite frastagliate e piccole macchie di colore verde scuro sulla pelle. Si rialzò e con la spada rivoltò il morto. Una forte ondata di odore fetido gli colpì il viso, spingendolo ad allontanarsi. Con gli occhi lacrimanti, guardò la faccia dell'uomo: pallida e gonfia, dagli occhi e dal naso sgorgavano rivoli di liquidi dai colori innaturali. Darco non aveva mai visto nulla del genere. Le azioni da fare, però, gli balzarono chiare in mente.
Si voltò e uscì fuori dalla casa. Fece grandi passi e si strappò il panno dal viso. Quasi fu sopraffatto dai conati di vomito.
"Quali sono gli ordini, Signore?", chiese uno. I soldati gli si erano subito fatti intorno. Darco li guardò e capì che era chiara anche a loro la situazione.
"Chiudete la porta", disse, prendendo grandi boccate d'aria. "Che nessuno ci entri".
"Capitano", chiamò. "Qualcuno li ha avvelenati", disse subito, senza lasciargli il tempo di rispondere. "Le tracce sui loro corpi... non le ho mai viste. Ma la sostanza che ho visto sul corpo dell'uomo, mi sembra chiaro che c'entri qualcosa"
Tentennante, il capitano rispose, "può essere così, Signore. Ma dovremmo far studiare quella sostanza al Mago di Corte. Immagino che lei voglia farlo, Signore".
"Immagini bene. Vorrei. Ma quale ti sembra il rischio di portare corpi morti in quello stato e delle sostanze sconosciute al castello?"
Il tono del principe sembrava quello di un rimprovero e il capitano si voltò a guardare i suoi soldati chiudere la porta e bloccarla con una lancia, prima di rispondere.
"Un' epidemia", sussurrò.
"Esatto", rispose il principe. "Non sappiamo nulla di quella sostanza, rischieremmo di avvelenare altri. No, non porteremo quei corpi al castello".
"Adesso copritevi tutti i volti con degli stracci", comandò. "Entreremo in tutte le case e lo faremo in fretta! Non toccate i corpi o, se dovete farlo, utilizzate lance o spade! Voi due!", urlò poi, indicando i due che erano stati di guardia la notte. "Accendete un fuoco. Più tardi ci servirà".
Così il gruppo proseguì in una forsennata esplorazione di tutte le case nel villaggio. Usavano prudenza, ma allo stesso tempo proseguivano in fretta. La paura del principe per un'epidemia superava quella della più atroce delle guerre. Mentre guardava i soldati rivoltare cadaveri, confermandogli la presenza dei liquidi di colori ora verde, ora viola, gli tornavano alla mente le battaglie guidate in passato. Ricordava chiaramente giorni difficili, di fame e agonia, dove l'esplosione di epidemie aveva annientato interi villaggi. Un ultimo ricordo lo riportò alla battaglia finale, a colui che aveva affrontato per ultimo, per salvare ciò che restava del suo Principato. Si chiese se non ci fosse un altro mago oscuro dietro quegli eventi.
"Avremmo dovuto portarlo con noi", sussurrò. Ad un'occhiata interrogativa del Capitano, Darco spiegò "Kriante". Craxos fece solo un segno d'assenso col capo. Forse aveva davvero sbagliato. Forse aveva agito davvero con troppa fretta. Gocce di sudore gli solcarono la fronte, mentre prese coscienza del fatto che quello era uno degli avvenimenti che capitano una volta nella vita degli uomini.
Quando all'avvicinarsi all'ora di Suno tutte le case erano state ispezionate, Darco diede l'ordine.
"Bruciate il villaggio".
Restarono a guardare le fiamme divampare, divorare ogni singola casa. Nemmeno il granaio dove si erano rifugiati era fu risparmiato, così come il mulino.
Darco pensò che Rakèl avrebbe dovuto piangere i suoi morti nel ricordo, senza poterli seppellire, e un senso di tristezza lo prese per un attimo, strappandolo alle sue preoccupazioni.
Il principe e i suoi soldati guardarono per ore ardere l'incendio. Le fiamme rosse si specchiavano in ognuno dei loro occhi, mentre il fumo nero ondeggiava, salendo verso il cielo. Fu il rombo delle nubi in tempesta a riscuoterli. Videro le grosse nuvole grigie accavallarsi, com'era stato il giorno prima.
"Contattate le sentinelle sul colle. Ditegli di scendere".
All'improvviso fu urtato. Un cavallo lo aveva spinto. Gli animali presero ad agitarsi e i soldato che li tenevano per le briglie fecero non poca fatica a mantenerli fermi.
"Capitano, le vedette non rispondono ai segnali", disse allarmato un soldato. Aveva preso una torcia e la stava agitando. Dalla macchia verde di alberi che si stendeva sul fianco della collina non proveniva alcuna luce.
"Continua a chiamarli", ordinò il capitano Craxos. "Signore, il villaggio ormai è abbattuto. Vuole ripartire subito?".
"No. Aspetteremo l'estinzione dell'incendio. Voglio esaminare le rovine, dovesse rimanere qualcosa dopo".
Craxos ebbe l'impressione che il suo principe stesse esagerando nella prudenza, ma non disse nulla.
"Potremo rifugiarci alla cascina dei pescatori", propose il giovane Jennai. Non c'erano cadaveri quando l'abbiamo esaminata", aggiunse.
"Sono d'accordo", rispose subito Darco.
"Andiamo".
"Tu continua a segnalare alle vedette...", disse il capitano, quando il principe lo interruppe.
"Non farlo", disse Darco. "Se non hanno risposto, sono già morti", aggiunse, sguainando la spada. A quel gesto non ci fu nulla da aggiungere. Armi alla mano, si avviarono tutti per la via indicata dal soldato Jennai.
La cascina era piccola, poco più che quattro tavole di legno messe in piedi. Vi sistemarono i cavalli all'interno e ci fu spazio per il solo principe. Gli altri si sistemarono a semicerchio, davanti a lui. A due passi, un piccolo molo in legno marcio dava sul fiume. Due barche sbattevano tra loro, creando un rumore caratteristico che si andava espandendo nell'aria. Le corde che le tenevano ancorate erano allentate. Erano state tre, la mattina del giorno prima, su di una si era imbarcata Rakèl, per fuggire. Il principe le guardò un attimo, prima di rivolgersi nuovamente all'incendio. Il fuoco andava ormai estinguendosi, nessun edificio rimaneva più in piedi.
All'improvviso cominciò a piovere.
"Bella fortuna. Avesse cominciato prima, avrebbe spento il rogo". Le parole del capitano non erano false, ma il tono scanzonato voleva allentare la tensione fra i soldati.
Nessuno aveva detto nulla sulla dichiarazione del principe riguardo le vedette. Darco aveva avuto l'impressione che tutti avessero compreso. Forse le avevano prese i lupi, forse lo stregone visto da Rakèl o forse chissà quale altro male. In pochi minuti non riuscirono a vedere oltre il loro naso, tanto era densa la pioggia e tutti si cominciarono a sentirsi stranamente in allarme. Il principe sentiva il suo cuore martellargli all'interno del petto, sotto l'armatura nera con sopra il simbolo di Peuxos. La mano impugnava con forza e ferocia quella spada che lo aveva accompagnato in battaglia e, ora come allora, ebbe la sensazione di trovarsi in una morsa che stava per chiudersi. Un altro lampo nella memoria lo riportò per un breve istante alla sua battaglia finale; al mago che aveva scatenato fulmini e tempeste, alla sua mano che guidava la lancia attraverso il petto di quel folle. Lo sguardo vitreo dello stregone indugiò un solo istante in quelli dell'allora Generale, che invece osservava fulmini partire dalle mani scheletriche del suo avversario. Ricordò nitidamente la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di meraviglioso e terribile insieme. Allora, la morsa si era chiusa, rivelandogli cose che pochi uomini avevano visto nella Storia. 'Molte cose oltre l'umana natura abitano il Mondo. Ma per un uomo, incontrarne anche una sola è cosa rara', le parole che Kriante pronunciò quel giorno gli risuonarono nella mente.
Delle ombre si fecero avanti attraverso la foschia. Il respiro di tutti si fece più corto. I soldati, chi con balestre, chi con lance e torce, si misero in posizione d'attacco. Il principe fece qualche passo avanti e impugnò la spada con entrambe le mani. Le ombre basse presto rivelarono per ciò che erano: i Grandi Lupi.
Un brivido attraversò la schiena del principe. Allarme ma anche sollievo, nel poter constatare che i sospetti di Kriante si erano rivelati fondati. I lupi erano 'reietti', magri e rachitici, non raggiungevano la cintola di un uomo. Gli occhi erano rossi come il sangue e dalle fauci aperte colavano rivoli di sostanze verdi e viola.
"Fermi dove siete! Se mi capite, non avanzate!", urlò il capitano. I Grandi Lupi, così come gli umani, erano dotati di ragionamento e parlavano la lingua comune. La richiesta del capitano fu esaudita e i lupi si fermarono a pochi passi dal gruppo.
"Che cosa siete?", chiese all'improvviso il principe, con voce chiara e ferma. I lupi non risposero. Per lunghi attimi, solo il rumore della pioggia riempì l'aria. Forse questi non sanno parlare, pensò Darco.
"Fermi dove siete. Se mi capite non avanzate. Che cosa siete". Una voce li raggiunse, piatta e senza tono. Un'altra ombra si fece avanti, attraverso la foschia. Apparve un signore alto, elegante, il suo viso era candido come la neve, le sue vesti dorate e finemente dettagliate; sul capo dai capelli color platino portava una corona d'argento. La figura pareva emanare una leggera luce opalescente, sembrava essere un sogno materializzato. L'uomo avanzò silenzioso, mentre le gocce di pioggia parevano non toccarlo.
Craxos, impavido, si lanciò in avanti.
"Fermo! Chi sei?". L'uomo, con assoluta tranquillità, afferrò la punta della lancia del capitano e la spezzò. Non ci fu il tempo di reagire, l'essere si avvicinò a Craxos, rapido come un fulmine, e lo prese per la gola. Lo sollevò in aria con una sola mano.
"Basta!", urlò il principe. I lupi presero a muoversi e ringhiare, i cavalli ad agitarsi, spaventati. Darco fece qualche passo avanti, andando incontro all'uomo dorato. I soldati al suo fianco erano pronti alla battaglia.
"Hai attaccato tu il mio villaggio?", chiese, puntandogli la spada contro. "Non so quale stregoneria tu abbia usato, o se è merito dei Grandi Lupi che hai con te, ma questo è un atto di guerra! Palesa le tue intenzioni!".
Gli occhi neri del principe si fissarono in quelli azzurri, quasi bianchi, dell'uomo vestito d'oro.
I lineamenti del viso erano così perfetti da parere alieni, eppure aveva del tutto l'aspetto di un umano.
"Principe", sussurrò l'essere. Gettò il Capitano a terra, come un fuscello, e si fece avanti. "Principe", disse ancora e sul suo viso si aprì un immenso sorriso.
"Principe, noi siamo pari!". L'espressione sul volto di Darco si fece sorpresa.
"Noi, siamo pari", disse ancora, in tono vacuo, facendo un passo avanti. "Fermo", intimò il principe. Il sorriso dell'uomo dorato si rimpicciolì un po'.
"Avete dimenticato i vostri Signori", disse l'uomo. Il suo tono, stavolta, era molto meno vacuo. "Voi. Voi uomini avete dimenticato. Vi siete fatti Principi e Signori della terra, dimenticando chi è davvero che la governa".
"Le tue parole per me sono un mistero!", gli rispose pratico Darco. "Non ho idea di chi tu sia". I lupi intorno sembrarono ridere a quelle parole. Guardandoli, Darco vide ancora il liquido verdastro colare dalle loro bocche.
"Hai manipolato questi reietti. Hanno avvelenato la gente del mio villaggio, del mio Principato. Sai cosa hai fatto, ne hai coscienza?".
Il principe Darco cominciava a pensare che quell'essere non avesse del tutto compreso la gravità della situazione. Continuava a guardarlo fisso negli occhi e il suo sguardo gli pareva a tratti presente, a tratti assente, diretto chissà a quali pensieri.
"Sono tornato!", disse, come ignorando le parole del principe. Agitò le mani nell'aria, facendo sventolare le lunghe maniche dorate. "Sono tornato in questo mondo dopo eoni. Un immensità di tempo per voi, solo qualche attimo, per me". Lo sguardo di Darco non mutò, rimase duro e dubbioso. L'uomo continuò a parlare, questa volta con più chiarezza.
"La mia gente ha calcato questa terra all'alba dei tempi. Luce e ombra eravamo e solo ciò potevamo essere. In esilio, ho cercato e ricercato ancora come tornare, ma come avrei potuto? Era un aiuto ciò che mi serviva!". Allargò le braccia, come pregando quell'aiuto al principe stesso.
"E l'ho avuto. Era a ciò che mi serviva quel villaggio. Dovevo pagare i miei debiti". Un nuovo sorriso apparve sul suo viso, ancora più terrificante del primo.
"Loro mi hanno dato una mano", disse amorevolmente, indicando i lupi. "E io, in cambio, ho fatto loro dei doni".
"Li hai resi più letali", disse Darco con rabbia, capendo immediatamente a cosa si riferisse.
"Gli hai donato un morso letale".
"Voi uomini avete balestre e spade", gli rispose l'uomo dorato, come comprendendo i pensieri del principe.
"C'era un nome che ci avevate dato, non lo ricordi? Io sì. Ritorna alle storie e ai racconti di quand'eri bambino...".
"Adesso basta!", lo interruppe Darco. Alzò la spada e così fecero i suoi soldati. I lupi ripresero a ringhiare.
"Ti sei dato il nome Principe. Ma io so qual è davvero il tuo nome", l'essere alzò una mano verso Darco, candida e sottile. "Generale!". Un ricordo annebbiò la mente del principe, in modo doloroso e inaspettato. Si ritrovò in guerra, quando lo chiamavano ancora 'Generale', e sembrò che tutta la fatica di quei momenti gli si riversasse addosso in quell'istante. Sentì la fame e la pioggia, il freddo e la morte. Si ritrovò al capezzale del vecchio Principe di Peuxos e le sue parole gli risuonarono nelle orecchie. "Viva il Principe", sussurrava, morente.
Darco cadde in ginocchio, lasciando andare la sua spada.
"Attacchiamo!", urlò il capitano. Ancora a terra, sfoderò un pugnale e lo infilò nella testa di un lupo, ma altri due gli furono subito addosso. I dardi delle balestre colpirono con precisione mortale gli animali, che caddero, ululando, ma non ci fu il tempo di ricaricare. I soldati sfoderarono le spade e si difesero dai lupi rimasti. Due di loro si fecero addosso al principe, ma furono sbaragliati dai guerrieri intorno a lui. Darco ritornò in sé e riafferrò la sua spada. Nel breve istante che ci mise a rialzarsi, due dei suoi uomini attaccarono il nemico. Egli, con assoluta calma, afferrò le loro spade. Le spezzò a mani nude, poi afferrò i soldati e li scagliò lontano. Il principe si trovò a un passo da lui. Con furia e sprezzo del pericolo, attaccò. L'uomo dorato, però, afferrò la spada del principe. Così come aveva fatto con Craxos, lo afferrò alla gola e lo sollevò in aria. Darco prese subito a divincolarsi, ma la morsa di quell'essere sembrava di marmo. Soffocando, si aggrappò alla veste dell'uomo. Il suo sguardo non emetteva né odio, né rabbia, solo un'assoluta serenità. Sembrava stesse facendo una cosa da nulla.
"Ci chiamavate Signori della Luce, Signori dell'Ombra. Ci chiamavate Alfar. Fummo anche La Unua, I Primi, nella lingua del vostro dio Suno".
Ormai a Darco non restava più fiato, gli si annebbiò la vista. Vide poi una scintilla dorata. La mano dell'uomo gocciolava quello che sembrava oro scintillante. Con le ultime forze, Darco lasciò andare il braccio dell'uomo e afferrò il pugnale legato alla cintola. Con un solo fendente, tagliò la mano che lo teneva per la gola. Le urla dell'essere riempirono l'aria, il suo sangue inondò il viso del principe, che cadde a terra, stremato. Accecato e soffocante, cerco a tastoni la sua spada. La trovò e si rialzò. Appena in piedi, però, qualcosa lo urtò alla schiena, sbalzandolo di lato. I cavalli erano stati liberati. Si rialzò ancora, pulendosi il viso dal sangue dorato.
"Signore!". Due dei suoi soldati lo trascinarono indietro. Corsero al molo e si gettarono su una delle due barche. Uno di loro tagliò la cima e spinse con tutta la sua forza la lancia contro il molo. Non ci volle molto per prendere velocità. Il fiume era in piena e la barca venne trascinata via dalla corrente.
Il principe si voltò verso la riva: decine di lupi sbucavanodall'oscurità. Avevano atterrato i cavalli e il loro signore risorgeva dallaterra, splendendo nella pioggia.

Darco - Il Principe NeroWhere stories live. Discover now