L'agnello

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Lo avevano chiamato miracolato. Gli avevano dato dello sfortunato. Del sopravvissuto. Il bruciato, aveva sentito dire da due infermiere dall'orribile uniforme rosa stinto. Qualche sussurro scambiato dietro la porta socchiusa, oppure frasi di incoraggiamento dette al suo orecchio, o almeno a quell'agglomerato di carne che gli somigliava. Gli pareva incredibile di poter sentire ancora. Così come di poter muovere la mascella, per quanto, bendato come fosse, riuscisse appena a rantolare suoni inarticolati.
Gli occhi... beh, quella era un'altra questione. Uno era completamente andato, l'altro ancora vedeva le fiamme circondarlo, ridenti, sprezzanti, fameliche, desiderose di mangiare tutto di lui, fino all'ultima striscia di carne.
Spesso, la notte, nel reparto, veniva svegliato dalle sue stesse urla, versi animaleschi e terrorizzati, che richiamavano l'infermiera di turno ormai già pronta col sedativo. Alla fine però lo trasferirono in una camera vuota, perché non svegliasse più nessuno di soprassalto.
In qualche modo, il silenzio, l'essere solo, lo tranquillizzò più del restare in mezzo alla gente, alle infermiere, ai malati e ai loro parenti. In verità il suo appiglio alla realtà era ben poco saldo, gli capitava spesso di scivolare nuovamente in quell'inferno rosso. Di sentire le fiamme baciare la sua pelle, accarezzarla, bruciarla, incenerirla, fino a renderla polvere.

Ma è buono, diceva una vocina dentro di lui. Il fuoco purifica. Il fuoco è un dono.
Tu lo possiedi. Usalo.

Poi una mano gli carezzava la guancia e un sorriso bianco e malevolo si apriva nel buio, un sorriso che non era il suo. E non importava quanto forte stringesse le palpebre, lui lo vedeva comunque.

Ash ricordava il piacere, la sensazione dell'erba morbida sotto le piante di quei piedi piccini piccini, e se anche ogni tanto incontrava qualche sasso aguzzo, bastava versare qualche piccola lacrima e poi riprendere a correre. E tutto andava a posto.
Era una vita semplice, quella del lui bambino, e i momenti più felici erano raccolti tutti lì, nel parco di zia Keren, in quelle settimane estive dove era lontano dalla scuola, da i suoi pochi doveri di bimbo, da sua madre. Anche stare lontano da sua sorella, nonostante tutto l'amore che provasse per quella cosina rosa e "dall'ugola d'ore", era una liberazione.
V'erano solo lui, la zia e il sole.
Chiudeva gli occhi, sdraiato su una roccia rovente, immaginandosi lucertola, drago, sasso a sua volta. E il calore lo cullava, fino a quando non rientrava nella grossa villa, ubriaco di sole. Sua zia lo accoglieva con un sorriso, scuotendo la testa.
-Aspetto con piacere il giorno in cui rientrerai in casa tutto bruciato. Come il carbone che ti porta la befana- lo minacciava, agitandogli contro il cucchiaio. E lui rideva, scappando da quel nemico non tanto nemico.
Eppure non accadeva mai: il sole era suo amico e viceversa. Nella sua mente di bimbo, mai gli avrebbe fatto male. Aveva eletto il giallo a suo colore preferito, in suo onore.

L'estate, il sole, gli scherzi di zia Keren.
Poi era arrivato lui.

Lasciava che il calore gli scivolasse sulla pelle, in un vero e proprio bagno di sole.
Gli occhi chiusi, le braccia e le gambe aperte, completamente arrendevole, fedele adepto di una religione che condivideva solo con se stesso.
Poi un'ombra aveva oscurato tutto; un'ombra rossa, scoppiettante.
Aveva aperto gli occhi, ritrovandosi davanti un paio di occhi dalle iridi scarlatte e un sorriso appuntito. Appartenevano a un bambino che doveva avere la sua età, ma Ash non li aveva, quattro cornini sul capo, neri e piccoli, che spuntavano chiaramente dalle ciocche del rosso più puro.
I due rimasero a osservarsi per diversi istanti e quando, infine, il visitatore fece un passo indietro Ash si ritrovò nuovamente accecato dalla luce e sussultò, finendo per socchiudere gli occhi.
-Chi sei?- domandò, nessuna paura in corpo. Vi era il suo amico, sopra di lui, il suo guardiano. Il sole l'avrebbe protetto e, se necessario, raccontato quello che accadeva ai suoi raggi, mandandoli a chiedere aiuto per lui.
-Ashbel*- rispose il piccolo sconosciuto.
L'amante del sole aggrottò le sopracciglia, guardandolo confuso: -Quello è il mio nome, non può essere anche il tuo- spiegò, pacato. O almeno credeva. Sua madre gliel'aveva spiegato; era il nome di suo nonno, arrivato da qualche paese dell'est, rispetto all'Inghilterra, quando ancora era giovane. Una ricca borghese e cristiana l'aveva sposato, nonostante la pelle scura e la sua religione. Il suo essere musulmano però era scomparso presto, anzi, alla figlia maggiore, May, madre di Ashbel Junior, quel gene non era proprio arrivato. Laica fino al midollo, il nome che aveva inizialmente scelto per il suo primogenito era stato Albert, in onore del genio vissuto un secolo prima, ma dal momento in cui il suo vecchio era mancato giusto qualche giorno prima del parto, e per farle un dispetto, a suo dire, aveva finito per dare il suo nome al neonato. La soddisfazione, per May, stava nel ripetere più volte il nome di Ashbel, mentre lo sgridava, quasi si stesse riferendo al padre mancato. Le ultime tre lettere, però, nell'uso comune erano state abbandonate in favore di un più breve soprannome.
Questa era la lunga storia del nome dell'adoratore del sole, ma a lui in quel momento importava più sapere quello di colui che, per un istante, gli parve un nuovo compagno di gioco. Non importava che quella fosse proprietà privata e che fosse la prima visita inaspettata a cui assisteva. Magari aveva trovato qualcuno con cui godere dei raggi del suo amico e guardiano.
-Vecchio Fuoco, ti ho trovato- continuò a sorridere l'altro, ignorando sia la sua domanda sia la sua osservazione. Quindi gli gettò le braccia al collo, mentre la bocca di Ash si schiudeva in una piccola 'o' sorpresa. Alla fine il bambino decise di rispondere all'abbraccio, anche se con molta meno convinzione.
-Non sono vecchio- fece notare dopo un po', prima che l'altro scivolasse indietro. Lo sconosciuto alzò una mano a carezzargli la guancia arrossata dal sole e dal caldo, prima di fargliela scivolare sul petto, all'altezza del cuore.
-Il tuo corpo no. Ma la fiamma che ti anima sì. È lei, che danza e brucia da secoli- disse semplicemente.
Un battito di ciglia e scomparve, lasciando solo Ash nell'enorme giardino. A rispondere alle sue domande fu, però, solo il canto delle cicale.

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⏰ Last updated: Dec 04, 2019 ⏰

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