La casa

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I rumori del quartiere erano sempre gli stessi, per le strade sempre gli stessi ragazzini poco cresciuti con i piedi scalzi a lanciarsi le scarpe, i palloni che scivolano in strada e le auto che strillano, i clacson e il loro inquinamento acustico e le risate dell'infanzia. La dolcezza della crescita. Jimin viveva in questo mondo idiallico, in cui non si pensa mai, in cui tutto segue la via del destino e del caso, come variabili casuali senza probabilità. I capelli castani naturali gli sventolavano d'avanti agli occhi mentre correva sulla bici sgangherata e gridava, gridava risate sincere. Aveva diciassette anni e una forza vitale incredibile, un sorriso che stregava e le guance paffute, un fisico inviadiabile dato dai giochi e dalla danza e l'allegria che solo un adolescente poteva avere. Taehyung lo seguiva in sella allo skate regalato da poco dal padre e cercava di afferrarlo. Jimin gli aveva lanciato un arancia marcia addosso e ora cercava di vendicarsi, nel frattempo Yoongi aspettava sotto l'ombra di un melo che gli copriva gli occhi dal sole, con i capelli neri come la pece e gli occhi castani e affilati. Non era tipo da giochi e da corse lui. Ma comunque ogni pomeriggio si incontrava con gli altri due, prestava la sua presenza come se gliel'avessero chiesta, ma sentiva questa necessità. Sentiva che non c'era nulla che gli appartenesse di quei pomeriggi, non gli piaceva stare all'aperto e soprattuto non gli piaceva l'allegria smisurata di Jimin e la sua foga, ma tutto passava in secondo piano quando il sorriso quadrato di Tae si rivolgeva anche per poco verso di lui. Soffriva di dubbi e colpa Yoongi per iniziare ad amare ciò che non avrebbe dovuto. Aspettava che il tempo gli desse il permesso, che alla tv comparisse la notizia che si, poteva amare il vicino di casa un po' stralunato dai capelli biondi ossigenati fatti in un attimo di pazzia nel lavandino di casa mentre i genitori erano a lavoro, che bussava alla sua porta ogni pomeriggio alle quattro. Poteva baciarlo sotto il melo che lo copriva, poteva acarezzargli il viso quando era triste per un brutto voto, poteva picchiare Jimin perchè gli aveva lanciato un arancia rischiando di ferirlo, poteva sentire il suo odore di doccia e profumo rubato al padre quando il sabato sera avevano giusto il languore per un kebab, senza pomodori e senza cipolle con doppie patate.

Vicino al loro quartiere c'era questa gande magione, questa casa strana e triste che attirava lo sguardo dell'assenza e della malinconia. Si sentiva paura al solo respirarne l'essenza e un brivido correva sulle spalle osservando quelle vecchie tende. Il solo cortile ispirava qualcosa di dolce, le piante erano sempre perfette e aveva una bella siepe e delle rose. Ogni tanto queste diminuivano di numero come se in quella casa ci fosse qualcuno interessato a quei fiori. Jimin ci passava al fianco almeno due volte al giorno, per andare con Tae e Yoongi a scuola e il pomeriggio quando facevano un giro in bici.

"Per me non c'è nessuno te l'ho detto cazzo." Tae se ne lamentava perchè non lo ammetteva ma aveva una paura fottuta.

"io ti dico che c'è qualcuno. Qualcuno di spettrale." rispondeva Jimin ogni santa volta. Perchè ci credeva. Aveva paura, lo spaventava a morte ma sapeva che in quella casa qualcosa o qualcuno ci viveva. Lo aveva.. visto.

"Si, la solita solfa dello spirito cazzo Jimin basta" gli gridava indispettito il maggiore dei tre che nonostante volesse darsi un tono aveva una fifa tremenda.

"Non ho mai detto fosse uno spirito." Perchè si, Jimin non credeva fosse un fantasma.

Era un pomeriggio normale, come gli altri. Era solo e tornava da scuola. Tae era rimasto con Yoongi in giro per negozi, mentre lui aveva lezione di danza. Mentre faceva la stessa solita strada e lanciava sempre il solito sguardo alla vecchia maggione lo vide. Da una finestra un ombra di un uomo che fissava l'esterno. Era riuscito a vedere solo i contorni di quella persona ma nonostante la visuale fosse oscurata dalla distanza e dalle tende Jimin non riuscia a smettere di guardare. Gli sembrava che la figura vestisse di nero, ed era in piedi alla finestra, i capelli gli cadevano sugli occhi. Non potè vedere i lineamneti di quell'uomo ne altri particolari ma potè giurare che non riusciva a smettere di guardare. Gli sembrò ad un certo punto che l'essere guardasse dalla sua parte. Non distoglieva lo sguardo, mai. Jimin non voleva esserne intimidito, era un tipo orgoglioso, ma quello sguardo.. Alzò un braccio, scosse la mano a mo' di saluto e sorrise come era solito fare con ogni essere umano sulla faccia della terra.

"Cazzo, non sai nemmeno se ti sta sul serio guardando, potrebbe osservare il giardino o la strada.." si sentiva così stupido eppure.. aveva quella sensazione, quel sospetto, come un brivido..

Poi però la fugura sparì dietro la tenda e Jimin non la rivide mai più. Nessuno gli toglieva dalla testa che quell'uomo fosse.. drasticamente abbandonato.

"Se continui con la fissa della casa giuro che io me ne vado." Cosi i tre continuarono a camminare lontano ma Jimin, come ogni giorno, lanciava un secondo o un terzo sguardo alla fnestra nella speranza che l'uomo in nero si ripresentasse.

Non le vedo piùWhere stories live. Discover now