IL CONTROLLO (Mary)

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Camminavo nel corridoio al fianco di Elizabeth, e la speranza dentro di me era tale che mi offuscava la mente.

Arrivate nella stanza mi fece sedere su una sedia e mi fece un controllo come me lo avevano fatto gli altri. Quando ebbe finito mi alzai, ma lei mi trattenne e mi volle porre una domanda:

- Mary, tu ci vedi un po', vero? -

- Mi devo sforzare, ma se voglio riesco a vedere delle ombre. Ma è così da poco tempo, da meno di un anno.-

- E da quant'è che non fai una visita oculistica? -

- Ormai è da tanto, forse proprio un anno, diciamo che abbiamo perso le speranze -

- Mary, ti bastano degli occhiali per vedere -

Le gambe mi cedettero e mi misi a sedere di nuovo. Elizabeth rideva, contenta di aver potuto fare qualcosa per me.

- Ne sei sicura? - Chiesi. Non volevo lasciarmi prendere troppo dalla felicità, prima di essere certa al cento per cento della veridicità della sua frase. Ma ammetto che dentro di me stavano scoppiando dei fuochi d'artificio.

- Ma come è possibile? - Chiesi.

- Stai, crescendo, Mary, e può capitare qualche volta che nello sviluppo sia compresa anche la vista. -

Lei si avvicinò a un tavolo e prese qualcosa. Poi mi chiese:

- Vuoi provare? - mi porse l'oggetto che aveva in mano. Stando alle sue parole dovevano essere occhiali.

- Devo dirti che questi sono i più potenti che ho al momento, probabilmente ti servono delle lenti più spesse, ma già questi dovrebbero aiutarti a vedere un po' di più -

Esitai. Non sapevo che fare, dentro di me ero in contrasto. Una parte di me voleva prendere gli occhiali il più velocemente possibile, ma l'altra parte aveva paura di ricevere un' ennesima delusione. Avevo fatto tantissime visite prima di quest'anno e tutti i medici avevano detto che per il momento non c'era niente da fare. Avrei avuto la visita annuale entro poche settimane. Un paio di mesi dopo l'ultima visita avevo cominciato a vedere qualcosa e i miei occhi cominciavano ad avere nuovi stimoli: capivo vagamente quando era giorno e quando era notte, se mi accendevo una torcia a poca distanza dagli occhi mi dava fastidio, e cose così. Ma tutto molto gradualmente. Ma non pensavo che una cosa del genere avrebbe significato la possibilità di vedere. Avvicinai una mano tremante agli occhiali. Non vedevo bene dove mettevo la mano, perciò me li diede direttamente Elizabeth.

Li avvicinai al viso tenendo gli occhi chiusi. Poi li indossai.

Da qui in poi non ricordo granché. Ricordo di aver sentito un rumore e di aver istintivamente aperto gli occhi. James si era affacciato dal corridoio per vedere a che punto eravamo. Ma non era un' ombra, che identificavo come James solo grazie al rumore dei suoi passi. Era una persona nitida, che non avevo mai visto.

Ci misi qualche secondo a capire che in realtà era sempre James, che era lui come era per tutti gli altri che vedevano bene. Lo vidi indietreggiare allibito, poi cominciare a correre per il corridoio e tornare nel giro di tre secondi con gli altri. Gli altri. Non ci credevo. Vedevo per la prima volta mio padre, in un certo senso. Figure che mi ero fino a quel momento soltanto immaginata diventavano anche ai miei occhi persone. James, papà, Jhon, Elizabeth. Gridai e mi lanciai verso di loro. Ridevo. Piangevo. Vedevo. Per la prima volta, vedevo. E scoprivo tutte le cose come erano, e distinguevo il blu dall'azzurro e dal celeste. E continuavo a non crederci.

La figlia di Sherlock HolmesWhere stories live. Discover now