Un mattino

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Il cielo ancora plumbeo, i raggi del sole che iniziavano a fare capolino tra le nuvole, la nebbia del primo mattino che si ritirava pigra, la rugiada che imperlava l'erba tagliata corta.
Cinguettanti uccellini volavano intrecciando le loro traiettorie a mezz'aria, felici del loro libero vagare senza ostacoli. Il loro canto a chiunque sarebbe sembrato un festoso inno alla semplicità della loro vita.
Uno di essi si separò dal compagno per planare poco più in basso, raggiungendo gli alberi che costeggiavano la piazza principale del paese. Le montagne avevano assunto un colore rosato grazie al sole che aveva iniziato la sua ascesa sulla volta celeste da poco più di un'ora.
I punto migliore da dove ammirarle era una piccola casa del colore del grano con il pittoresco tetto coperto di tegole scure, sul quale si ergeva una canna fumaria nera, sporca fino all'impensabile.

Da lì usciva una nube scura nonostante all'esterno non facesse più molto freddo da qualche giorno.
Il calore nell'aria era giunto tardi quell'anno e la vecchina che lì dimorava aveva acceso il camino da circa mezz'ora per accogliere il nipotino in una calda sala da pranzo, ove ogni mattina facevano colazione insieme prima che il bimbo si dirigesse verso la scuola. Solo dopo la nonnina avrebbe iniziato a sbrigare le faccende di casa.
Ed eccola controllare ancora che il fuoco avesse preso e rimanesse acceso per l'intera giornata, come sempre.
Si strinse nelle spalle curve, degne di una persona avanti con l'età, sormontate dallo scialle blu con stampe di candidi gigli il cui perimetro era appena ornato da un paio di fili argentei.
Lo stesso, solito scialle che indossava ogni giorno, tanto da aver assorbito il profumo dei fiori freschi con cui ornava il balcone.

Si diresse verso una piccola porta intagliata in ciliegio appoggiandosi al muro di legno, che aveva contratto un perfetto matrimonio con l'arredamento della casa.

Con le nocche sembrò quasi carezzare la superficie del piccolo uscio e l'aprì.
All'interno della stanza, seduto sul letto vi era un bambino dai capelli così biondi che alcune ciocche avrebbero potuto dar fastidio alla vista per il chiarore emanato.
Il piccolo guardava con insistenza fuori dalla finestra posta al di sopra del suo giaciglio, tenendo da una parte la tendina di cotone a quadretti bianchi e verdi. Fissava qualcosa con aria sognante, rapito a tal punto da battere di rado le palpebre.
La nonna avanzò appena, tastando con una mano il suo chignon al fine di controllare che la matita tenuta tra i lisci capelli color zucchero a velo non avesse ceduto.
Aprì la bocca a cuore smuovendo le paffute guance appena solcate dalle rughe, «Klaus, sei già lì a vedere le montagne?»
Il bimbo si voltò, guardando la vecchina, mostrando un sorriso in parte sdentato. «Stavo dando il buongiorno», cinguettò.
La vecchina drizzò la schiena per quel che l'età le permetteva, piazzando i pugni chiusi sui fianchi ormai fusi col punto vita in larghezza.

«E a me non saluti?» finse di rimproverarlo.

Il piccolo scese dal letto e zoppicò per dare un bacio sulla guancia della nonna, sporgendosi sulle punte dei piccoli piedi.

«Vieni, la colazione è pronta. Ci sono i kaisersemmeln* che piacciono tanto a te.»
Si avviò verso la cucina seguita dal nipotino, che si fermò un attimo per gettare uno sguardo oltre il vetro, sulle montagne.
Bellissime, naturali e imponenti sculture forgiate dagli elementi nel corso degli anni, dei secoli... no, dei millenni. Il solo pensiero dell'imperversare del tempo sulla roccia che veniva plasmata dal volere di chissà quale essere superiore faceva correre su per la schiena del piccolo Klaus un brivido di eccitazione.

Com'era mai potuto accadere?
La roccia era dura e più le vette s'innalzavano, più veniva a mancare l'erba, scoprendo la scultura come fosse la testa di un uomo avanti con l'età. Eppure loro continuavano a vegliare con amore la cittadina, salutandola ogni mattina al suo risveglio, quando i flebili raggi del sole tingevano il cielo e tutto ciò che la natura spettacolare aveva costruito in quel lembo di terra.
Pensando ciò il bambino era rimasto di nuovo imbambolato, perso nelle sue fantastiche fantasticherie.

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