Illusione

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Poco più di una decina di primavere erano trascorse e Markus era rimasto lì, accogliendo con gioia la furia degli elementi nell'alternarsi delle stagioni, piegandosi al vento che sembrava voler strappar via la sua pelle ruvida tanto soffiava forte a quell'altitudine.
Era felice della sua nuova vita, il tempo per lui trascorreva più velocemente dato che dormiva molto spesso, d'inverno anche per diversi giorni, cadendo in un vero e proprio letargo.
Il suo fusto era cresciuto in altezza ed in larghezza, diventando così un possente abete, ancora giovane rispetto agli altri, ma comunque un albero dalla corteccia sana e forte.
Era veramente felice quando gli uccellini facevano il nido su alcune sue innumerevoli, lunghe braccia.
Oppure quando gli scoiattoli si arrampicavano su per il corpo, solleticandolo con le loro zampette, quando veniva bagnato dalla pioggia o appesantito dalla neve, quando era scosso dal vento, quando cominciò a produrre resina, quando i conigli e gli scoiattoli facevano rifugio del suo corpo.
Ecco, quella era la sua felicità.
Non aveva bisogno di nessuno lui, né di esseri umani, né di feste, voleva solo avere a che fare con la natura. Amava vedere i primi fiori primaverili fare capolino, ma anche osservare come la brina aveva adornato le sue foglie durante le nottate invernali lo rendeva felice.
Adorava constatare la timidezza ed il timore degli uccellini che si svegliavano dopo il letargo.
Sì, questo è il massimo, sono felice e lo sarò per sempre così.
Non sentiva nostalgia della sua vita da essere umano nemmeno quando cominciava a vedere le coppiette formate dai suoi vecchi conoscenti che si avviavano a passeggio tenendosi teneramente per mano su quegli stessi sentieri calpestati da lui quando era un piccolo umano, posti che conosceva a memoria in ogni più piccolo anfratto.
Non sentiva il bisogno di tutto ciò.
Era ormai totalmente parte della natura: quando era stato triste per la morte di sua madre e di suo padre, sui quali aveva vegliato dall'alto fino ai loro ultimi istanti di vita, gli elementi si erano uniti a lui.
Aveva pianto gocce su gocce di resina e si era scatenato un acquazzone mentre il vento aveva smosso gli alberi in una danza piena di malinconia, salutando così il viaggio delle anime di coloro che lo avevano messo al mondo.
E quando aveva finito di piangere, la sua tristezza era così forte che iniziò a nevicare e continuò per diversi giorni, ricoprendo la cittadina di una fitta coltre di neve e gelo che bloccò la vita per quasi due settimane.
La natura era così, un'unica entità che non veniva divisa dalle diverse tipologie a cui i suoi figli appartenevano.
Che fossero animali o vegetali, alberi, fiori, conigli, scoiattoli, uccelli, serpenti, qualsiasi sentimento forte essi provavano la natura lo percepiva e lo esprimeva.
Così era sempre stato e così sarebbe continuato ad essere.
Questa era la cosa che faceva amare la natura a Markus: la sua istintiva dolcezza.
Tutti i figli della natura, accomunati solo dal fatto di essere vivi, si amavano e rispettavano come fratelli.
L'uomo era l'unico a non rispettare questa condizione, essendo l'unica specie che distruggeva vegetali ed animali per il proprio tornaconto, andando molto oltre grazie alla sua cosiddetta intelligenza.
Ed era l'unico essere vivente che uccideva i suoi simili.
Più volte Markus da piccolo aveva pensato che sarebbe stato sicuramente meglio se l'uomo non avesse raggiunto determinati livelli di sviluppo, da sempre aveva quella convinzione ed aveva sempre desiderato tirarsi fuori dalla società che imponeva uno stile di vita nocivo per la natura.
Era felice così, aveva cambiato radicalmente la sua vita, dissociandosi da quella razza assassina ed egoista.
Lui non voleva crescere come uomo, voleva essere parte della natura e lo era diventato sacrificando la sua umanità, senza ripensamenti.
Non voleva affatto essere considerato uno di quei mostri che uccidono e razziano, egoisti e capricciosi, volubili ed incapaci di amare.
No, non voleva essere un uomo, se ne vergognava particolarmente.
E per questo motivo era diventato un albero, meraviglioso, protettivo e rispettoso delle leggi naturali nella sua imponente immobilità.
Era felicissimo della sua condizione nonostante fosse veramente solo dal punto di vista oggettivo: non poteva parlare, non poteva muoversi, non poteva mangiare.
Non poteva esprimersi autonomamente
Eppure non era solo. La natura lo capiva, la sua vera madre lo capiva e tutti i suoi fratelli lo sostenevano e lo consolavano laddove ce ne fosse il bisogno, solo aveva un diverso linguaggio.
Questo era vero amore.
Non aveva bisogno di saper parlare e saper scrivere.
Non aveva bisogno d'essere un uomo.
Dava e riceveva amore, ed era felice così.

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