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Era tutto immenso. Ogni singola parte della città era il doppio di tutto quello che avevo visto. Tutte alzammo la testa verso l'alto guardando il sole che splendeva alto sopra i tetti di Seoul con sguardi stupefatti. La luce si rifletteva sulle finestre dei grattacieli e per noi, semplici ragazze di campagna, era troppo.

"Wow... è così... così..." Irene si zittì non sapendo che dire. A quanto pare anche lei, amante della campagna e dei posti tranquilli era rimasta affascinata da quella città.

Il rumore del traffico subito fuori dall'aeroporto era molto forte e ci misi qualche secondo ad abituarmici. Le auto sfrecciavano in ogni direzione e solo dopo una decina di minuti Marianna riuscì a capire quale direzione prendere per i taxi. Dopo aver estratto un vocabolario portatile di coreano la ragazza si incamminò spingendo il carrello con le proprie valige.

"Marianna, dovremmo domandare ad un tassista..." Irene si mise di fianco a lei con un'espressione un po' preoccupata.

"Tranquilla! Abbiamo il vocabolario e google traduttore!" Sorride tranquilla.

Quel sorriso svanì subito appena si trovò davanti una cartina con la mappa della città. Prese subito il dizionario cercando di capire qualcosa.

"Ragazze, prendiamo un taxi." Mise il dizionarietto in tasca e si incamminò verso un'auto parcheggiata lungo il marciapiede.

"Sono pronta a sfoggiare le mie doti di inglese!" Sorrise e si avvicina al tassista. Prese il telefono con scritto sopra l'indirizzo del piccolo appartamentino che avevamo affittato per quei tre mesi e lo mostro all'uomo.

"Here"

Continuo a sorridere mentre io e Irene cercavamo di trattenere le risate per il suo fantastico inglese.

Il signore sembrò capire e sorrise aiutandoci a caricare le valige. Salimmo in auto e le due più giovani si buttarono sui posti dietro lasciando a me il compito di cercare di avere una conversazione con il tassista. In quegli anni passati a lavorare come cameriera non avevo avuto la possibilità di parlare in inglese, ma per fortuna al liceo era una materia in cui andavo bene.

Il signore una persona simpatica, si chiamava Kim Minjun e aveva 42 anni. Appena scoprimmo l'età sgranammo gli occhi sconvolte: al massimo gli avremmo dato 30 anni!

Nel mentre, io cercavo di capire più cose possibili da Minjun, che si era anche offerto di farmi una lista di ristoranti tipici situati nella zona del nostro appartamento. Gesto molto gentile da parte sua ma alquanto inutile, dato che mi ero persa al nome del primo locale.

Il viaggio stava durando più del previsto a causa del traffico, tanto che le ragazze dietro iniziavano a dare di matto, chi per il bisogno di andare in bagno e chi per il caldo. Ormai tutte e due avevano iniziato a parare in francese ricordando i tempi del liceo uscendo ogni tanto con un "Eh oui! C'est ça!" e guadagnandosi occhiate confuse dal povero Minjun che tanto si stava impegnando con l'inglese.

Dopo circa mezz'ora girammo e prendemmo una strada più stretta a sole due corsie e arrivando finalmente ad una velocità normale. Minjun si fermò davanti ad un palazzo e sempre sorridendo ci aiutò a scaricare i bagagli. Con fare apprensivo poi si mise a darci indicazioni su come comportarci per uscire la sera e ci diede anche il suo numero personale in caso ci servisse un passaggio. A quanto pare gli eravamo simpatiche.

Lo salutammo e andammo a suonare il campanello. Dalla porta uscì una donna anziana che subito ci parlò in coreano con scarsi risultati di comprensione. Vedendo le nostre facce confuse ci fece segno di aspettare e tornò con una ragazza della nostra età di nome Miso, che a quanto pare era la nipote.

Con un sorriso ci invitò ad entrare e andammo verso l'ascensore. Ci disse di lasciare giù i bagagli e che li avremmo portati su in un secondo giro. Schiaccio il numero 5 e tutte aspettammo di arrivare in silenzio.

Una volta che l'ascensore si fermò, smontammo, Miso aprì la porta ed entrammo nel soggiorno. Pur non essendo una casa grande, era molto luminosa e gli spazi erano gestiti bene: sulla destra si trovava il salotto con due divani grigi e una TV attaccata al muro;  sulla parete c'era una grande portafinestra che dava su un piccolo balconcino. Separata dal salotto tramite un muretto con tre colonne c'era una sala da pranzo con un tavolo rettangolare per sei persone e dietro di esso una vetrinetta con piatti, bicchieri e posate. A sinistra invece c'era una porta che portava alla cucina. Anche lì era situato un tavolo,  ma più piccolo e rotondo. Sopra il lavandino si trovavano altri piatti "da battaglia", dall'aspetto meno costoso di quelli in salotto. Seguendo un corridoio si arrivava nel reparto notte. Marianna era riuscita a trovare una casa con tre camere, piccole, ma comunque tre camere; questo voleva dire sonni tranquilli per me e Irene. Erano tutte e tre uguali e si trovavano tutte sul lato destro del corridoio. A sinistra c'era una stanza adibita a guardaroba, dato che nelle nostre stanze non era presente un armadio, una lavanderia e un bagno con una doccia spaziosa. In fondo al corridoio si trovava lo sgabuzzino con tutto quello che ci sarebbe servito in quei giorni, come prodotti per la pulizia della casa e kit di emergenza.

Dopo il giro la ragazza ci salutò e Marianna si offrì per andare a prendere le valige di tutte. l piano ora era quello di dormire per recuperare le ore perse con il fuso orario e adattarci a quello nuovo. Di certo la prima settimana non sarebbe stata facile, ma ci saremmo concesse solo un paio di giorni, perché la nostra non era una visita turistica, ma dovevamo trovare Sara, al costo di perdere ore di sonno.

-I can't love you- SVTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora