Parte 7 - Il regno delle ombre

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Koros aprì gli occhi, le lenzuola morbide accarezzavano il suo corpo e profumavano di buono. Era il profumo di Ade, che nel suo regno aleggiava ovunque e che la sera prima lo aveva tanto inebriato da farlo cadere tra le braccia di Morfeo.

Una debole luce filtrava attraverso la finestra, che si affacciava su una delle tante valli nebbiose del regno. Koros si sorprese di sentirsi riposato, di aver dormito un sonno profondo senza sogni, ma anche senza incubi. Iniziava il terzo giorno della sua prigionia. Si mise a sedere, avvicinò le ginocchia al petto e tentò di raccogliere le idee. Gli vennero in mente gli occhi di Ade, profondi, tristi, il suo profumo, poi quelli di sua madre, quelli di Apollo. Sua madre doveva essere disperata.

Un'idea si fece strada nella sua mente. Ecate era la dea che avrebbe potuto aiutarlo, nonostante il giorno prima avesse tessuto le lodi di Ade. Avrebbe potuto imparare da lei le arti magiche e poi...

Un pugno sulla porta lo riscosse. «Chi è?», domandò incerto.

«Io», si limitò a rispondere la voce dall'altro lato della porta.

Koros riconobbe Ade. «Cosa vuoi?», domandò, mentre convulsamente infilò una tunica. Non era bianca come quella che indossava prima del rapimento, ma dal color della notte.

Ade aprì la porta. In mano aveva un mazzo di narcisi e rose, lo sistemò in un grande vaso di argilla. Koros rimase affascinato dai colori sgargianti dei fiori, una nota stonata in quel regno cupo. La zaffata di profumo gli fece quasi girare la testa. Fu tentato di accarezzarne i petali, di affondarvi il naso, ma poi gli occhi caddero sul narciso che aveva strappato alla terra il giorno in cui Ade lo aveva portato lì, ancora sgargiante, abbandonato sulle lenzuola. L'entusiasmo si smorzò. Temette che i fiori fossero incantati, un nuovo mezzo con il quale Ade tentava di offuscare la sua mente e tenerlo avvinto a sé.

Ade gli sorrise. «Ti piacciono? Qui non potrebbe entrare niente di vivo, ma per te ho fatto un'eccezione».

«Sei un folle se credi di potermi comprare con un mazzo di fiori».

Ade estrasse uno stelo dal mazzo e lo avvicinò al suo volto. «Senti come profumano».

Con un gesto violento Koros allontanò la sua mano, il narciso cadde sul pavimento. «Portali via, non li voglio».

«Perché? So che ti piacciono».

«Non voglio niente da te!», gli urlò Koros.

Ade lo attirò a sé con le braccia. Koros sentì sotto i suoi palmi il petto solido del dio, il suo calore che era in grado di confonderlo proprio come l'effluvio dei narcisi.

«Sei sicuro?», gli soffiò Ade sulle labbra. «Il modo in cui le tue pupille si dilatano e la tua pelle si riscalda quando ti sono vicino suggeriscono il contrario».

«Ti sbagli», mormorò Koros, incerto. Si era sempre domandato cosa fosse la passione, perché gli altri ne parlassero come uno sconvolgimento dell'animo e l'idea di provarla con Ade lo terrorizzava.

Ade incatenò i loro sguardi, ma non se lo avvicinò ancora né provò a baciarlo. «Preparati, oggi vedrai come funziona il mio regno».

Ade lo aspettò fuori. Dominò l'impazienza e il desiderio che Koros gli suscitava. Sarebbe stato così facile per lui prenderlo nel talamo con la forza, ma l'ultima cosa che voleva era fargli del male. Voleva essere amato, e avrebbe fatto di tutto pur di dimostrargli che poteva fidarsi.

Quando Koros lo raggiunse si recarono sulla sommità di una collina brulla, che Koros non aveva mai visto. Sotto di essa scorreva il fiume su cui venivano traghettate le anime. Più in là il corso d'acqua si apriva in una biforcazione: un ramo scorreva verso il Tartaro, l'altro verso il fiume Lete, a cui le anime si abbeveravano per dimenticare la loro vita terrena ed entrare nei Campi Elisi. A decretare quale strada dovessero prendere le anime era il sovrano degli Inferi.

Ade (gay version)Onde histórias criam vida. Descubra agora