Ti ho sentito, solo un po'

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Ti vedevo e sentivo il tuo nome essere nominato tra tanti. Non ti conoscevo, non ti vedevo, eri un estraneo, tra i tanti che non mi avrebbe nemmeno notato. Ti immaginavo e quando ti incrociavo nei miei pensieri, ti osservavo un po', quasi immaginandoti. Il tuo nome era un sussurro, un invito a pensarti, a chiamarti un po', ma nella mia distrazione mi dimenticavo di te e del tuo ruolo nella mia vita. Eri diventato un pensiero che si ripresentava saltuariamente ed io ti accoglievo. Distante da te anni, non curante che i nostri pensieri si potessero intrecciare nei nostri silenzi. Abbiamo provato che anche le cose non dette, le parole silenziose, avvicinano gli sconosciuti.
Eri alle mie spalle, non ti ho visto, i nostri sguardi non si erano sfiorati eppure non c'era alcuna distanza tra di noi. Abbiamo condiviso le stesse dimensioni, senza guardarci, abbiamo condiviso le stesse amicizie per anni, senza mai incrociarci. Abbiamo condiviso gli stessi interessi, ma quando entravo io tu uscivi. Sempre di spalle, ad un soffio l'uno dall'altro, ma mai abbastanza vicini da poterci guardare e sorriderci. Continuando a non conoscerti, la mia vita proseguiva, seguendo i miei capitoli vuoti, incapaci di essere narrati. Di che cosa avrei dovuto parlare? La mia profondità nasce da una solitudine costante, forse anche per questo il tempo e lo spazio hanno fatto in modo di non farci incontrare. Io dovevo imparare e tu dovevi crescere. Perché farci questo? Perché separarci?
Eri alle mie spalle in quel bar semi vuoto, ma ho fatto l'errore di voltarmi e tu eri lì. Il brillio del tuo castano chiaro aveva trovato il mio, sigillandosi. Come se le nostre menti si fossero riconosciute tra tante, io sapevo chi eri tu e tu sapevi chi ero. Dimenticandoci di essere due sconosciuti, ci siamo presentati e la tua voce ha distrutto l'immagine che avevo di te. Mi ero creata una figura totalmente estranea dalla persona che eri davvero. Come stanchi da una maratona, ci siamo rivolti la parola incapace di credere in quella realtà che avevamo stravolto nel solo guardarci e lo sentivamo, era tangibile come il freddo di quella giornata, era cambiato qualcosa. Come se due pezzi di un ingranaggio perfetto avessero iniziato a funzionare diversamente e noi due eravamo loro un po' grezzi, quasi arrugginiti, ma capaci di distinguerci nonostante il nostro funzionamento. Eri di fronte a me, incerto, quasi spaventato per essere andato contro corrente, ma eri abituato a seguire un flusso tutto tuo, vero? Lo sapevo, lo si leggeva tra le rughe invisibili del tuo volto abbronzato. La mia voce tremava, ricordandomi le interrogazioni delle superiori, osservai quel volto. Sentivo i brividi addosso, come se stessi tornando a quelle sensazioni che solo l'adolescenza ti permette di provare. Stavo recuperando un tempo ormai perduto ed eri solo seduto davanti a me, privo di filtro. Nella tua autenticità, mi hai permesso di essere la persona che non ero mai con nessuno. Scavavo dentro di me per permettermi di vedermi, volevo che fosse così. Io avevo imparato a farlo e avrei tanto voluto che anche gli altri lo iniziassero a fare, osservarmi. Vedermi perché avevo imparato ad esistere e se il tempo e lo spazio ci avevano tenuti separati non è forse anche per questo? Eri sicuro di vedermi davvero? Io non riuscivo a riconoscere il mio riflesso tra tanti, come avresti potuto tu. Se non ci fosse stato quell'incontro, io e te saremmo rimasti quei due pezzi sconosciuti. I nostri pensieri si sarebbero potuti incontrare ed incrociare, ma non io e te. Perché questo male? Mi sorridevi timido, come se volessi nascondermi il tuo sorriso. Io mi perdevo nei tuoi racconti, dimenticandomi di parlarti di me. Eri curioso, mi ponevi domande per avvicinarmi a te nonostante fossimo diversi ed era bello. Era bello essere diversi nonostante, in qualche modo, avessimo le stesse funzioni. Tu come mi immaginavi? Io ho sbagliato a farlo, non mi ero mai creata aspettative, non avrei nemmeno immaginato di vedervi davvero, i nostri incontri erano aldilà della realtà. Averti di fronte sembrava qualcosa di così irreale da spaventarmi, come se stessi sbagliando qualcosa che mi avrebbe poi distrutto ed è stato così. I nostri sguardi ci avevano sigillato all'interno di una dimensione nostra e l'avevamo distrutta. Eravamo riuscita a distruggerla nonostante non avessimo edificato nulla, ma avevano squarciato il nulla. Eravamo vicini, ma più distanti di quanto non lo fossimo mai stati in realtà. Sentivo le tue parole come se fossero bisbigli spazzati via dal vento, non mi raggiungevano. Le canzoni che mi lasciavi ascoltare ingenuamente, hanno creato uno spazio tutto loro dentro di me. Abusivamente quelle emozioni erano rimaste incastrate tra le mie vertebre, eri stato subdolo, maligno, mi hai nutrito così tanto da pensare di lasciarmi andare, fare in modo che potessi morire di fame. I tuoi mostri ritornavano ed io dovevo combatterli per te, io che non ero stata capace di uccidere i miei. Ero uno scudo, ero solo orecchie e sentimenti per te. Io che mi stavo annullando, sentendo le mie emozioni prendere forma nella mia mente, non c'era più spazio per i pensieri, per le riflessioni di cui avevo davvero di bisogno. Mi invadevi e mi seppellivi, ragionavo con i sentimenti e mi consolavo con i rimasugli delle mie emozioni che tu continuavi a calpestare. Te ne accorgevi e ci passavi sopra, hai poi preferito dimenticare. Mi parlavi di te, come una finestra aperta lasciavi che io sbirciassi al tuo interno, hai fatto in modo che osservassi con attenzione ogni cosa e poi, inaspettatamente hai chiuso quella finestra, ferendo le mie dita ancora incastrate. Il tuo egoismo non ti ha allontanato da me, ti ha ucciso. Ha annullato la tua persona, incolpandomi. Dicendomi che la mia insistenza aveva portato a quello che abbiamo vissuto insieme. Colpa di quello sguardo, della sua autenticità, della persona che io avevo pensato di avere di fronte a me. Sì, ero convinta di conoscerla abbastanza, ma ero sempre stata a mentire, soprattutto con me stessa. Le mie bugie diventavano la mia realtà ed io avevo smesso di stupirmi e di prendermela con me. Guardavo lui e quello che stavamo imparando a costruire, poi tutto è iniziato a caderci addosso. Ricordando quei testi delle canzoni che mi ero poi memorizzata, vedevo le macerie espandersi, coprendo le parole che c'eravamo detti, ricordi condivisi. Coprendo quei pensieri che si erano intrecciati da sconosciuti. Tutto ciò che reputavo prezioso, era scomparso in un solo attimo. Quei pochi giorni che avevamo condiviso, nutrendoli con il nostro tempo, non erano più dei ricordi da rivivere. Era andato tutto perduto. Ti ricordo come un'essenza, un fantasma che vaga al mio interno incapace di uscire. Ti ricordo e fatico a disfarmi di te. A che cosa ti leghi? Che cosa devo fare per dimenticarti? Come mi hai insegnato a lasciarti andare a vederti fuggire via, insegnami a dimenticarti. A cancellarti come se fossi una linea di troppo tracciata a matita, basterebbe una gomma e scompariresti, per sempre. Mentre scrivo di te, ripercorro ciò che adesso non esiste più, sento il mio cuore pulsare come non succedeva da anni. Vorrei che uscisse dal mio petto, senza farlo più rientrare. La mia pelle non ti hai mai percepito e le mie labbra non ti hanno mai baciato, la tua voce era un sibilo e le tue parole vane. Sei tutto questo, sei sempre stato tutto questo. Ma il tuo fantasma è legato ai testi di quelle canzoni che non riesco più a dimenticare, a quelle melodie che canticchio mentre cucino, che scorrono nella mia playlist quotidiana. Sono agganciata a quel mistero che ci rendeva quasi unici, la corsa contro lo spazio e contro il tempo, noi contro corrente. Noi, che incontrandoci, avevamo cambiato la direzione dei venti e delle correnti dei mari. Allontanandoci non avevamo messo a posto nulla, lasciando il mondo nel caos, io ho seguito la mia strada e tu la tua. Io mi sono voltata, tu no. 

 

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Nel silenzio della quarantena, ho voluto innamorarmi.

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