Capitolo 2

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Ho parlato al mio cuore.
Nella vita tutto diventa come un sacchetto e, se sbagli la presa, lui ti soffoca.
Mi sono interrogato tante volte sulla mia natura: sono strano? Sono uno scherzo della vita? Mi sono innamorato. Amo un uomo. Ho amato e amo tutt'ora un uomo che non è come me e forse non mi guarderà mai nel modo in cui lo faccio io. Non penserà mai niente di tutto quello che invece mi passa per la testa nel letto, di notte. Lui è uno normale, un uomo a cui piaccio le donne.
L'ho guardato di nascosto mentre chiacchierava con mio fratello, lo spio ogni giorno, mi contorco sulla sedia ascoltando la sua voce, hai capito cuore? Ascolto la sua voce e sento il suo respiro sulla mia pelle.
Immagino le sue mani, quelle che ogni tanto vengono ad accarezzarmi la testa, le immagino sulla mia schiena e poi giù, sui fianchi, le sento stringere in una carezza possessiva.
E mentre ascolto la sua voce che canticchia una canzone durante il tempo in cui gioca a carte con Carlos, immagino come le sue probabili parole d'amore apparirebbero sulle sue labbra e se le sussurrasse proprio a me.
Vaneggio sognando quel respiro, quelle parole, quelle mani. Mi eccito e m'innamoro.
Poi i suoi occhi si posano nei miei e santo cielo, lui riesce a vedere che qualcosa non va, è capace di scorgere un barlume di emozione nei miei occhi.
Distoglie lo sguardo serio posandolo altrove, come se quel contatto lo bruciasse.
Cuore, perché mi faccio male? Perché continuo a desiderare quelle mani?
Perché ci sono sentimenti che non posso soffocarli con un sacchetto, ci sono sentimenti però che possono soffocarmi.
E' così che vivo, come se non stessi respirando bene, perché di tanto in tanto appare quella sagoma scura e carismatica, invade i miei giorni senza fare un passo, se ne va a spasso con mio fratello e nella mia casa lanciandomi tutto quell'argento che ha negli occhi.
Perché continua a guardarmi in quel modo? Certe volte penso che lo faccia consapevole. Usa gli occhi come una forchetta e scortica la mia crosta di difesa, cerca di far uscire un po' di quello che nascondo di me, qualcosa che sente legato in qualche modo a lui.
Magari sono solo paranoie che ho messo nel giardino della mia anima quando lui è venuto per la prima volta, annaffiandole ogni giorno con stupide fantasie.
Io sono così banale, i miei gesti scontati, la mia semplicità quasi irritante.
Più o meno ho passato gli ultimi mesi insieme a tutte queste seghe mentali, oltre quelle che faccio regolarmente ogni giorno. A dire il vero il polso inizia a farmi male, inoltre l'estate è arrivata da un pezzo e mio fratello con il suo amico sono soliti bere birra e stare mezzi nudi in casa, inconsapevoli quanto quello spettacolo che mi presenta Jared mi mandi gli ormoni in fiamme.
Mi sono rinchiuso in camera, disteso sul letto con i risultati dell'anno stretti sullo stomaco e spiaccicati dritti dritti su un foglio bianco, testimone egregio di quanto studiare sia per me una noia incredibile.
Sono rinchiuso qui dentro già da molte ore, evitando deliberatamente quella persona che mi distrugge e consuma senza saperlo.
Mi piace parlare con le persone, spiegarmi, lasciare fluire le parole più stupide dalla bocca e ridere davanti una tazza di caffè bollente. Mi piace ascoltare e raccontare i miei blocchi a chi mi sta di fronte, per farlo sentire meno solo, per snodare tutto quel casino che sembra la vita; in certi giorni i dolori sembrano colpire solo noi, appaiono unici quando invece c'è una buona parte della popolazione terrestre che si sente esattamente come noi, che a volte basta solo raccontare per sentirsi bene.
Non necessariamente capire ma solo dire ad alta voce i nostri dubbi.
Questa sera invece ho davvero desiderato che qualcuno venisse al mio fianco e mi raccontasse qualcosa per farmi sentire meno strano e fuori posto.
Invece finisco sempre a chiacchierare da solo con me stesso, dimenticando che fuori dalla mia testa c'è un mondo con delle persone, che il caldo mi sta sciogliendo e forse devo avere soltanto più coraggio di battermi per la mia libertà, di vivere per quello che sono realmente e non per quello che piace e fa stare bene gli altri.
Vorrei provare per un giorno a essere come tutti gli altri.
Eppure ogni volta che faccio questi pensieri la bocca mi si riempie d'amaro; in fondo sto facendo un torto a me stesso. E' come se tradissi la mia stessa vita dicendo certe stupidaggini. Ma è naturale, no? Desiderare quello che non si è. Specialmente alla mia età uno ci cade facilmente in questi giochetti. Che male faccio a farlo? Fantasticare non è peccato, non è un reato, non è una colpa... eppure è proprio così che mi sento.
Colpevole come un condannato a morte.
Bussano alla porta e sussulto così duramente che per poco non scivolo giù dal letto.
E' mamma, quindi deve essere parecchio tardi.
«Sonny, perché sei rinchiuso qui dentro? Vuoi per caso ucciderti? Dio benedetto, che caldo!» Entra e fa quello che più gli aggrada, come sempre. Apre di più la finestra e avvolge la tenda in un nodo, ed ecco che un piacevole cambio d'aria rende la stanza più respirabile.
Ecco perché la lascio fare quello che gli pare. Riesce a ottenere sempre qualcosa di buono con i suoi gesti.
Viene a sedersi vicino a me.
E' ancora nel suo completo elegante color crema. Mamma usa un abbigliamento molto aggraziato nel lavoro che fa, dice che una buona presentazione è il primo passo verso un contratto sicuro.
Non so come faccia a portare scarpe infernali come quelle, alte e con uno spillo su cui reggersi.
Nah.
«Carlos mi ha detto che stai facendo l'eremita da qualche giorno. E' successo qualcosa?» Dice levandomi pelucchi inesistenti dalla maglia, mentre la sua fronte si arriccia formando alcune rughe.
«No.»
«Che cosa stringi qui?» Dice toccando il foglio stretto sul mio stomaco. Mollo la presa lasciandoglielo prendere.
«I risultati della scuola» dico quando ha giù il foglio sotto al naso.
«Beh, tutto sommato hai superato l'anno, non disperarti»
«Figurati se mi dispero per quello!»
Mi guarda malissimo.
«Infatti, sarebbe davvero buffo visto che la routine si ripete da quando hai iniziato la scuola»
«L'importante credo sia non essere bocciato, no?»
«Sonny, certe volte credo proprio che tu non è che non voglia guardare il futuro, piuttosto voglia osservarlo da lontano, mandandolo al diavolo» 
«Mamma, sei l'unica che mi capisce» dico in tono scherzoso. Lei respira forte allargando le narici del naso, un'arrabbiatura simpatica come è solita fare, che mi fa ridere ogni volta.
Gioca con i miei capelli cercando di districare i ricci.
«Dovresti tagliarli un po', sono tanti e con questo caldo ho paura che tu possa soffocare»
«Non li voglio tagliare» mamma sospira, si cala per stamparmi un bacio sulla fronte sudaticcia prima di tirarsi su e stirare con mani veloci l'abito, come se non dovesse finire nella borsa pronta da portare in lavanderia.
«Li taglierò di notte, quando dormi. Ora scendi a mangiare, papà è andato a prendere le pizze» dice sempre così, poi non lo fa mai. In realtà i miei capelli mi piacciono troppo per sbarazzarmene, sono un po' come la coperta di Linus nei Peanuts.
La serata procede in modo gradevole. Mamma e papà discutono alcune questioni burocratiche con Carlos, documenti che dovrebbe fare per loro in settimana.
Passo il resto del tempo con la televisione accesa ma ascoltando loro, sorseggio una limonata ghiacciata e mi beo della quiete serale e meno afosa.



Stamattina Carlos ha deciso di recuperare dalla cantina la nostra super gigantesca piscina, con una base in acciaio da montare e l'interno completamente in plastica, una roba così stratosferica e complicata che ogni anno, per montarla, ci vogliono sempre un paio di giorni.
Ignorando il caldo, mi sono dedicato a pulire la casa e risistemare la mia camera, morto di noia ho capito che erano le uniche cose decenti da fare. Tutti i miei amici sono partiti per i soliti viaggi di stagione, mentre io ancora una volta devo passare l'estate in questa cittadina dimenticata dal mondo. Fortuna che abbiamo la piscina. Passeremo l'intera stagione così, a mollo, riducendoci come baccalà.
Poco dopo pranzo ho finito ogni faccenda, Carlos è ritornato alla missione piscina e Jared ha fatto il suo ingresso. Il mio umore è mutato drasticamente, così sono uscito per comprare qualcosa di fresco.
Al supermarket ho fatto una bella scorta di birre e bibite con cui poter rinsavire dal caldo, mentre ritorno, per strada, passo davanti alla gelaterie. Non resisto. Prendo un mega frappé a mandorla, ritornando a casa felice come una pasqua. In tempo record ho riposto le bevande nel frigo e mi sono accomodato sul divano per guardare un documentario, mentre succhio il liquido denso e ghiacciato dalla cannuccia. Le dita bruciano a contatto con il gelo del bicchiere, ma non m'importa.
Sarei stato disposto pure a far cadere la mia pelle a strati pur di rinfrescarmi un po'.
Sono così assorto dal documentario, dopo aver visto concepire le uova dalle tartarughe marine, poi assistere alla schiusa e infine al primo tuffo delle piccole testuggini, da non accorgermi della presenza di qualcuno.
«Peggio del vizio di fumare è il tuo» quella voce. Santissima vergine! Il frappé, o meglio dire, gli ultimi residui per poco non mi spruzzano fuori dal naso per lo spavento e il disagio che già iniziava ad agguantarmi.
Jared mi guarda di sottecchi per un po', poi viene a sedersi al mio fianco.
Senza accorgermene tra i miei denti soffia un gran sospiro, cerco di camuffarlo con un colpo di tosse. Poso il bicchiere vuoto sul tavolino e inizio a giocare con il telecomando, oramai ho smesso di guardare il documentario.
«Per uno che ha avuto una pessima pagella, ammetto che mi sembri tranquillo»
Mi sistemo meglio sul divano, con la schiena poggiata sul bracciolo, così da poter guardare in faccia il ragazzo per cui ho una cotta pazzesca.
Gli sorrido.
«Beh, in realtà non m'importa molto»
«Allora era vera la falsa apparenza da secchione»
«Certo» dico risentito «perché avrei dovuto mentire?»
«Per finta modestia»
«Non sono affatto così»
«Come sei, allora?» Chiede in modo schietto, e per la prima volta vedo quel barlume di curiosità sfociare dai suoi occhi.
Rompe il contatto visivo con quella sua imponenza e le braccia a poca distanza da me, con la pelle più dorata del solito. Abbasso la testa all'indietro, alzo le mani iniziando a giocherellare con le pellicine intorno alle unghie.
«Jared, un tempo ho provato a rivalutare tutta la panoramica che continuo tutt'oggi ad avare della vita, ma non ci sono riuscito. Nel quadro generale della vita non mi sento di mettere in cima il lavoro e lo studio. Ogni volta che sento la gente rincorrere gli obiettivi lavorativi fin dalla giovane età per non riuscire più a fermarsi, la avverto come una cosa profondamente sbagliata. Ovvio, studiare serve per avere delle fondamenta, il lavoro resterà sempre il mezzo con cui uno poi si vive questa esistenza. Preferisco mettere in cima alla mia panoramica le cose che più mi piace fare, dedicarmi a me stesso, relazionarmi con il mondo e la gente. Magari viaggiare. E' ironico che sia proprio io a pensarla così, visto la vita che fanno i miei genitori, magari proprio da questo hanno iniziato a nascere queste mie idee. Non m'interessano i soldi, non m'interessa perdere tempo a costruirmi un futuro e poi rimanere solo e magari non conoscere nemmeno più me stesse. M'interessa prendere il futuro con più leggerezza. M'interessa vivere e guardare indietro con pochi rimpianti. Ecco perché faccio il minimo indispensabile»
Rialzo la testa per guardarlo, il collo emette uno strano scricchiolio.
Jared mi fissa con un'intensità da sciogliermi completamente. La bocca diventa asciutta e il respiro più corto.
«Mi capita di osservarti, e sai in certi momenti cosa ho pensato? Che tu non sia contaminato dalla società. Cammini senza lasciare che le cose intorno ti sporchino, non so spiegarti come faccia a vederlo, eppure è una mia impressione. Ma non era del tutto stramba, da quello che sento» ride, un suono roco e profondo, che ricorda la lotta e il predominio dell'uomo su questa terra.
«Non la condanno la tua prospettiva, anche se non posso dire che sia giusta o sbagliata. Purtroppo se stiamo troppo tempo a riflettere finiamo sempre per accumulare tanti lati negativi e positivi tanto da finire in una confusione da voltastomaco. Posso dirti che anch'io non progetto il futuro, non mi piace farlo, un po' per scaramanzia, un po' perché una serie di cose mi hanno portato a comportarmi così»
«Quali cose?» Gli chiedo, mordendo l'interno delle guancia. Allungo le gambe e incidentalmente i miei piedi nudi finiscono proprio sul lato della sua gamba fasciata da jeans scuri, sempre che tendono al nero.
«Quali cose, mi chiedi... un bel po'. Tipo che quando inizio qualcosa non riesco mai a portarla a termine, e a metà del percorso abbandono tutto e imbocco altre vie. Fallisco per noia, fallisco perché ho pochi stimoli»
Sbadiglia, nel farlo ai lati della bocca gli si formano delle rughe e le labbra si increspano mostrando i denti diritti come rasoi, donandogli un'espressione simile a un ringhio.
«Da ragazzino avevo una nonna, viveva proprio da queste parti. Tutti i pomeriggi mi presentavo a casa sua e la accompagnavo alla stazione. Per anni, tutti i giorni, attendevamo per due lunghe ore l'arrivo di qualcuno. Aspettava mio nonno» sorride con celata nostalgia «l'ha conosciuto proprio in quel posto. Lavorava nelle ferrovie dello stato ed è rimasto il suo mestiere per tutta la vita. Mia nonna mi chiamava "Terry". Credeva fossi suo fratello, e credeva che mio nonno avrebbe fatto la sua comparsa in quella stazione. Ma lui era morto già da molto tempo, solo che lei non lo ricordava più. E non ricordava nemmeno che suo fratello era morto anche lui qualche anno prima. Non sapeva nemmeno di avere dei figli, che incontrava per strada senza riconoscerli» mi guarda, e gli occhi gli si fanno impercettibilmente più pesanti.
«Soffriva di Alzheimer. Il suo futuro gli era stato strappato via così crudelmente che mi accingevo anch'io a intraprendere quella commedia ogni giorno, anche se sapere che lei non mi riconosceva mi feriva a morte. Certi giorni mi chiedeva perché tutti erano andati via. Io le dicevo che erano solo partiti per alcune commissioni, eppure anche se non ricordava nulla, ascoltava comunque la solitudine che la circondava. Una volta, nella stazione, mi disse che forse era meglio se non si fosse innamorata. Avrebbe evitato di fare progetti e magari il suo cuore non si sarebbe sentito così spappolato. E' andata via così, senza più ricordi e con la tristezza sul volto. E' stato in quel momento che mi sono detto: vaffanculo al futuro, piuttosto mi terrò stretto il passato» ero immerso nelle sue parole tanto da non accorgermi della lacrima solitaria che mi aveva scalato il volto. Jared se ne accorge nello stesso istante in cui lo faccio io, spalanca gli occhi e, in modo istantaneo, passo la mano con stizza, pieno di vergogna, sulla guancia.
«Che fai piccolo Sonny, piangi per me?» Chiede con un tono amaro e un sorriso triste sul volto.
«Scusa» che figura. Bravo Sonny, complimenti sinceri per aver dimostrato quanto infantile tu possa essere.
«Dovrei essere io a scusarmi. Non so cosa mi sia preso, così all'improvviso...» la sua voce è diventata dura. Riesco ad accorgermi del pentimento per avermi confessato tutti quei ricordi. In verità sono meravigliato anch'io, non sono mica suo amico, e non abbiamo molti contatti diretti; manteniamo entrambi sempre una certa distanza. Jared mi fissa di nuovo, ma i suoi occhi adesso contengono dubbi, e si chiedono mille cose. Lo vedo. Riesco a leggerlo in quelle pupille.
«Sono solo ricordi che affiorano, qualche volta non ci si accorge nemmeno di aver iniziato a parlare» ammetto con sincerità, perché era proprio quello che mi era successo poco prima.
Jared così vicino, gli occhi che sembrano essersi fatti più liquidi, la bocca socchiusa e il respiro così pesante. Non riuscivo a sentire le mie reazioni, ero intrappolato su di lui.
Lui che si avvicina ancora, ancora, ancora. Il viso è a pochi centimetri dal mio. Non riesco a non guardare le sue labbra belle da sembrare finte, per quanto io me lo imponga non riesco a staccare gli occhi, il suo alito mi finisce dritto sulla bocca smembrandomi, ingarbugliando le mie sensazioni. Poi il viso di Jared prende una traiettoria diversa, non prima di tentennare.
Appoggia la testa contro la mia, tempia contro tempia, la muove come fosse un lupo, selvatico e sempre dubbioso, accarezza i capelli, palpeggia i ricci senza sapere che sta quasi per farmi venire nei pantaloni.
Santo cielo, credo di andare in fiamme. Il corpo trema leggermente, chiudo gli occhi per non finire col fare qualche sciocchezza.
«Sei sorprendente» dice in un sussurro, poi si stacca da me con velocità dolorosa e va via.
Stringo la maglia nei pugni, le emozioni in subbuglio, il cuore che corre come un cavallo. E' come se avesse infilato le sue grandi mani nel mio petto.
Non lo sa che cosa significa per me la sua vicinanza, non lo sa che provo nostalgia di quello che non avrò mai.
Di quello che mi permette di conoscere di lui.
Non deve donarmi i suoi ricordi, non posso innamorarmi. E' un amico di mio fratello, non è come me.
Eppure, barcollando, mi rintano in camera, su di giri e con il sangue a scorrermi rovente nelle vene. Evaporavo, mi sento felice, maledettamente felice.

Dietro cementi di paroleWhere stories live. Discover now