Capitolo dieci ❄️

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Dopo una nuova fase di riscaldamento e di presentazione mi sistemai a bordo pista, decisa a guardare le esibizioni delle altre pattinatrici; sobbalzando davanti alle cadute, provando ammirazione per alcuni passaggi e talvolta sentendo la commozione travolgermi.
Il mondo del pattinaggio era un mondo bellissimo, dove la musica, il ghiaccio e i corpi sembravano come fondersi; quasi iniziando a librare in un universo tutto nuovo, impossibile da vedere se non con gli occhi di una persona profondamente innamorata del pattinaggio.
Victor restò al mio fianco per tutto il tempo e spesso sentii l'impulso di afferrare brevemente la sua mano, come non di rado era successo durante momenti di grande tensione nelle gare precedenti a quel giorno.
Spesso mi bastava il suo tocco più semplice per tornare in me e sentirmi più sicura, ma in quell'occasione non potevo permettermi di fare un gesto del genere. Non dopo tutte le ultime vicende dei giorni precedenti.
Dovevo cavarmela da sola. Dovevo essere forte per conto mio, senza appoggiarmi troppo a lui.
Fu proprio per quel motivo e dopo due esibizioni ben riuscite che una strana idea prese vita dentro di me: un'idea decisamente pericolosa, ma al tempo stesso forse l'unica scelta possibile.
Non restai troppo tempo a pensarci su, perché raramente mi mostravo impulsiva e non volevo rischiare di far scemare quell'inconsueta iniziativa, lasciando passare troppo tempo.
<<Victor, devo andare in bagno, ma torno il prima possibile, prima della mia esibizione>> dissi all'uomo, allontanandomi ancor prima di dargli il tempo di rispondere.
Una volta abbastanza lontana da sguardi indiscreti tirai fuori il cellulare, digitando uno specifico messaggio: "Jean, ho bisogno del tuo aiuto per fare una cosa".

• • • •

Pazzia.
La mia era pure e semplice pazzia, ma non avevo davanti a me altre strade se non quella.
JJ inizialmente si era mostrato molto sorpreso dalla mia proposta, ma alla fine aveva acconsentito al mio folle piano, seppur ideato in quattro e quattr'otto nel poco tempo a disposizione.
<<Ne sei sicura? Ne sei davvero sicura?>> mi chiese per la milionesima volta lui.
<<Ne sono sicura e comunque ormai è tardi per tornare indietro, no?>> chiesi <<anche tu tendi spesso ad osare e non vedo perché non farlo anche io, almeno per una volta nella mia vita.>>
<<Sei fuori di testa>> commentò lui, tuttavia sorridendo divertito.
Sembrava tutto sommato stuzzicato dalla mia proposta e non faticavo a crederlo. JJ amava i colpi di testa e la trasgressione, soprattutto nel mondo del pattinaggio, soprattutto senza nessun senso logico come supporto.
Mi sentivo strana a chiedere il suo aiuto dopo quanto successo due giorni prima, ma era stato lui il primo a chiedermi di comportarmi come se nulla fosse e di non trattarlo diversamente dal solito. Quindi avevo deciso di accontentarlo, cercando di non farmi troppe paranoie in merito.
In fondo era stata una sua scelta e sembrava molto sereno, praticamente come al solito.
<<Accidenti!>> esclamai, guardando l'orario sul cellulare <<è tardissimo, devo tornare... Victor mi avrà data per dispersa.>>
Salutai frettolosamente il ragazzo con un cenno spiccio della mano, urlando un nuovo ringraziamento quasi alla fine del corridoio.
<<Buona fortuna. Vedi di spaccare su quella pista. Voglio vedere le tue rivali sbiancare>> mi urlò lui di rimando, strappandomi un sorriso.
Tuttavia la mia espressione serena sparì velocemente dal mio viso alla vista della faccia seria di Victor.
Non sembrava troppo contento del mio comportamento e del mio ritardo, inoltre sembrava desideroso di parlare con me.
Riuscii a capirlo dal modo impaziente con cui batteva le dita sulla sua coscia e dal suo sguardo fisso su di me.
Ormai conoscevo bene il ragazzo dopo diversi mesi passati a vivere nel suo appartamento, anche se a causa della sua stravaganza a volte i suoi comportamenti prendevano alla sprovvista anche me.
<<Il bagno aveva le fauci?>> chiese lui.
<<No.>>
<<Ti hanno rapita nel corridoio?>>
<<No.>>
<<Allora->>
<<Victor. Ho afferrato il concetto... sono in ritardo, lo so, scusa. Ho avuto una sorta di imprevisto>> spiegai, lanciando uno sguardo nervoso in direzione della pista <<la prossima sono io, vero?>>
<<Sì, sei tu. Sei nervosa? Ricordi tutti i passi?>> mi chiese lui, continuando a mantenere una posizione eretta e stranamente rigida, con un braccio dietro la schiena come una sorta di milord d'altri tempi.
<<Beh, discretamente nervosa direi>> ammisi.
Era la prima volta da quando avevamo messo piede dentro al palazzetto che riuscivo ad intavolare una conversazione abbastanza normale con lui, abbastanza simile a una qualsiasi altra avvenuta prima di tutte le complicazioni dei giorni precedenti.
Quella semplice situazione mi aiutò oltre ogni mia aspettativa, facendomi sciogliere un po' della tensione.
Ero davvero felice di rivedere di nuovo il solito Victor, anche se non completamente.
L'uomo scosse leggermente la testa, iniziando a sistemare con una mano sola una manica del mio costume, in quel momento leggermente scomposta e arrotolata.
In quel momento la pattinatrice prima di me terminò la sua esibizione, facendo esplodere il pubblico in un boato.
Evidentemente dopo un programma libero davvero sorprendente, ma che io non avevo seguito minimamente, presa com'ero da mille cose diverse contemporaneamente. In particolare presa da Victor.
Non mi restavano che pochi minuti prima di scendere in pista ed automaticamente lanciai uno sguardo da cerbiatto spaventato in direzione del mio allenatore.
<Avevi detto di non essere molto nervosa>> commentò lui, usando un tono leggermente divertito, che per poco non mi fece sciogliere sul posto. Era lui, era il mio solito Victor Nikiforov e non quell'uomo freddo e poco espressivo che nei giorni precedenti aveva tirato fuori da chissà dove.
<<E adesso lo sono un po' di più, va bene? Problemi?>> chiesi di getto, tuttavia senza utilizzare un tono aggressivo, ma semplicemente spaventato e ansioso.
E lui sorrise. Finalmente sorrise.
<<Anche se ho portato un portafortuna per te?>> mi chiese lui.
<<Che portafort->>
Bloccai la mia domanda notando la sua mano sinistra, fino a quel momento dietro la sua schiena, uscire dal suo nascondiglio, fino a rivelare una corona composta da tante rose blu.
Mi portai le mani alla bocca, tentando di dire: <<Ma questa... questa è identica a quella che portavi tu...>>
<<... durante la mia gara nella categoria junior, sì>> concluse lui al posto mio.
<<Victor... io non so cosa dire>> ammisi con tono lacrimevole <<so solo che sono tanto felice in questo momento.>>
L'uomo posò la mano destra sulla mia testa, avvicinandomi leggermente a lui.
<<Non ti ho ancora dato una risposta alla domanda di prima>> disse lui.
Lo guardai incuriosita.
<<Mi hai chiesto se hai qualche chance di vittoria, no?>> chiese lui retorico, facendomi drizzare come un soldatino davanti al proprio generale.
<<E la tua risposta?>>
<<Me lo stai davvero chiedendo? Mi sembrava di averti detto che io non alleno disastri>> disse <<adesso vai su quella pista e porta a casa la medaglia d'oro.>>
Victor concluse il suo discorso di incoraggiamento sistemandomi personalmente sulla testa la corona di rose.
Le rose blu erano una scelta molto particolare.
Non esistevano in natura e non era possibile crearle in laboratorio, a causa di un'incompatibilità a livello genetico tra il fiore e quel tipo di colorazione, quindi in realtà non erano che rose bianche colorate di blu.
Per molti non erano che un bluff, un esperimento mal riuscito... ma io le trovavo comunque bellissime.
Erano infatti entrate nell'immaginario collettivo come un qualcosa impossibile da ottenere, tanto da diventare una metafora molto usata in varie canzoni e poesie. A volte associate a una persona amata impossibile da avere con sé.
Desiderare una rosa blu, quindi, poteva essere inteso come rincorrere senza sosta un proprio sogno ancora non realizzato.
Era quindi il fiore perfetto per me, che in quel momento desideravo fortemente due cose molto difficili da ottenere: una medaglia d'oro e l'uomo da me tanto amato.
Victor posò poi le sue labbra sulla mia fronte, lasciandole lì per diversi secondi,
Chiusi gli occhi per godermi fino in fondo quel momento, riaprendoli solo una volta separata dalla sua bocca paradisiaca.
Era il momento.
Era il momento di entrare in pista.
Lentamente presi quindi ad incamminarmi verso l'ingresso principale, lasciando le protezioni per i pattini a Victor.
Scambiai con lui un ultimo sguardo carico di intensa, prima di salutare il pubblico, posizionandomi al centro della pista.
Approfittai dei pochi secondi prima dell'inizio della melodia d'accompagnamento per prendere dei respiri profondi e ripassare il mio piano. Un piano fragile, ma l'unico possibile per assicurarmi la vittoria senza ostacoli, a patto di riuscire a realizzare tutto alla perfezione.
In caso contrario sarei andata incontro ad un'enorme umiliazione pubblica.
Si andava dalle stelle alle stalle insomma.
La musica partì e con lei i miei primi passi, tutti realizzati cercando di unire l'eleganza alla tecnica, senza ovviamente dimenticare di mantenere il tempo.
La bellezza del programma libero era proprio quella di avere abbastanza margine, a patto di rispettare i salti, le trottole e le sequenze standard per tutti, decise prima della competizione. Per il resto si poteva scegliere quello che si preferiva, accumulando sempre più punti in base alla difficoltà di esecuzione delle tecniche, specie se svolte nella seconda parte del programma, dove solitamente l'atleta era più stanco.
La prima parte del mio piano puntava proprio a quello: a lasciare tutti i salti per la seconda parte. E non era tutto.
Victor ovviamente non era minimamente a conoscenza della mia scelta, siccome avevo definito tutti i dettagli poco prima con Jean-Jacques.
La prima variazione arrivò pochi secondi dopo, quando piazzai una trottola al posto di un triplo Loop deciso da Victor.
Durante una sequenza di passi successiva azzardai uno sguardo nella sua direzione, scoprendolo a fissarmi con uno sguardo deciso, ma allo stesso tempo curioso.
Doveva aver già capito tutto e non sembrava troppo contento del mio colpo di testa, anche se al tempo stesso, conoscendolo, doveva essere anche carico di aspettativa e di voglia di vedere fino in fondo gli sviluppi della mia decisione.
Cercai di tenere duro per tutta la prima parte dell'esibizione, riuscendo almeno secondo le mie valutazioni a non commettere nessun errore.
La parte difficile però doveva ancora arrivare.
Era infatti estremamente complicato concentrare tutti i salti nella seconda metà dell'esibizione, perché fortemente intaccati dalla stanchezza e dall'ansia di fare un disastro.
Tuttavia strinsi i denti, realizzando appena dopo la fine della prima metà la prima combinazione di tripli, la parte più rognosa dopo il triplo Lutz.
Puliti, fortunatamente.
Quel piccolo successo mi caricò immensamente, dandomi ulteriore coraggio per continuare, eseguendo un doppio Axel obbligatorio da programma, seguito da un triplo Toe-loop, il più semplice tra tutti i tipi di salti.
Spezzai i salti con una combinazione di trottole anch'esse obbligatorie, iniziando a sentire i primi cenni di fatica.
Tuttavia non potevo mollare. Non con gli occhi di Victor posati su di me, non dopo tutta la fiducia che aveva riposto in me.
Dovevo arrivare fino alla fine a testa alta. Glielo dovevo.
Fu quell'unico pensiero a spingermi ad ignorare la stanchezza, continuando imperterrita con una sequenza di passi, prima del grande ostacolo: il triplo Lutz.
Mi sistemai quindi sulla diagonale della pista, cercando di prendere la lunga ricorsa necessaria per eseguire quel rognoso salto.
Nei secondi precedenti al salto cercai di trarre a me tutti gli insegnamenti di Victor in merito e gli allenamenti con Jean-Jacques, poi semplicemente feci la cosa più naturale di tutte: saltai.
La folla accolse con gioia l'esecuzione di quel triplo salto, finalmente uscito fuori a dovere, grazie anche alle correzioni di JJ rispetto alla rotazione del bacino.
Eppure non era finita, non era finita ancora. Mancava il grande colpo di scena.

<<Certo che voi donne siete davvero avvantaggiate nel mondo del pattinaggio>> disse improvvisamente Jean-Jacques.
Ci stavamo allenando sul triplo Lutz ormai da un'ora, tanto da aver convenuto di prenderci una piccola pausa, fermandoci per sorseggiare un po' d'acqua e chiacchierare.
<<In che senso?>> chiesi sospettosa.
<<Perché nessuno vi dice nulla se non sapete fare un triplo Axel e avete praticamente abbonati anche i quadrupli>> disse lui <<io non mi sento in pace con me stesso se non faccio almeno tre quadrupli nelle gare importanti.>>
Alzai gli occhi al cielo, ritrovando nel suo discorso quasi le stesse parole di Victor prima di lui.
<<Ma siete proprio fissati voi uomini con questi quadrupli. Siete pieni di ego. Mica siete gli unici a saperli fare>> commentai divertita.
<<Ha parlato la signorina che non riesce a fare un triplo Lutz>> mi canzonò lui.
<<Forse, ma un quadruplo lo so fare. Il Salchow>> ammisi fieramente, lasciando il ragazzo a bocca aperta.
<<Non ci credo, stai mentendo. Non ti ho mai vista farlo>> disse lui, fissandomi sospettoso.
<<Perché Schneider non ha mai voluto farmelo provare in gara e con Victor non me la sono sentita di tirare fuori l'argomento. È un po' il mio piccolo segreto, perché ho paura di fare brutta figura in gara usandolo.>>
<<Mi stai dicendo che quella vecchia ciabatta tedesca brontolona del tuo vecchio allenatore ti ha insegnato a fare un quadruplo?>> chiese lui.
Lo spintonai, scoppiando a ridere. <<Bada a come parli di Schneider. Mi ha insegnato un sacco di cose, tra cui anche questo.>>
<<Ci crederò quando lo vedrò>> disse lui.
<<Sono un po' arrugginita, ma posso provarci>> acconsentii, iniziando a pattinare verso il centro della pista per mostrargli il mio Salchow quadruplo.

I momenti successivi al mio salto quadruplo, con solo un precedente nella storia del pattinaggio femminile, furono caratterizzati da un breve momento di silenzio, prima del grande boato.
Non mi ero mai sentita tanto stanca in vita mia prima di quel momento, ma una forza più grande di me mi costrinse a terminare l'esibizione, senza togliermi dalla faccia un sorriso radioso.
Quando la musica terminò chiusi con la posizione programmata per la fine della mia esibizione: ossia con un ginocchio a terra e la testa leggermente reclinata in avanti, quasi a volermi inchinare davanti a un re.
Mi alzai solo dopo qualche secondo, con le gambe di gelatina e i polmoni che bruciavano terribilmente. Spiacevoli sensazioni che tuttavia sparirono davanti all'irripetibile espressione del mio allenatore Victor Nikiforov.
Aveva infatti il viso arrossato dall'emozione e un sorriso enorme ad illuminarlo. Sembrava estasiato. Sembrava così fiero di me.
Senza pensarci corsi da lui, tuffandomi tra le sue braccia già pronte ad accogliermi.
Fu il momento più bello della mia intera vita.

Fu il momento più bello della mia intera vita

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ᏒᎾᏚᎬ ᏴᏞᏌ || Victor Nikiforov x ReaderOù les histoires vivent. Découvrez maintenant