Cap. 3

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Londra. Royal London Hospital. In una delle stanze riservate ai degenti in coma irreversibile, Eve Wilson, come ogni sabato e domenica degli ultimi cinque mesi, trascorreva tutto il pomeriggio leggendo sommessamente qualche capitolo del romanzo preferito di sua figlia Tina.

Nonostante fosse ben conscia che non avrebbe potuto in alcun modo corrispondere le sue attenzioni, le piaceva immaginare che, in qualche recondita parte del suo cervello, il suono della sua voce avrebbe trovato rifugio e confortato la sua anima.

Nel perdurante silenzio che invadeva lo spazio e impregnava le pareti, il racconto procedeva morbidamente come fosse soltanto una favola e ogni qual volta gli occhi perdevano il segno per la stanchezza, Eve accarezzava con gli occhi il volto inerme di Tina e le sorrideva con i suoi ancora pieni di speranza.

Eve Wilson aveva un aspetto giovanile e asciutto nelle forme. I capelli perfettamente raccolti in uno chignon, la pelle levigata e ben nutrita, la facevano apparire un tipo di bellezza senza tempo. Incontrandola per strada, nessuno avrebbe mai detto dei suoi cinquantacinque anni e ancor meno che fosse madre. E invece lo era: era una madre amorevole e sempre presente nonostante i tanti impegni istituzionali che la vedevano spesso coinvolta in campagne di charity per la raccolta di fondi per bambini meno fortunati.

Appena laureata, a soli ventitré anni, aveva sposato George Foley per amore, e con lui aveva immaginato una casa in Cornovaglia, un posto vicino al mare, dove vivere serenamente insieme ai suoi numerosi figli. Il destino però le aveva dato una sola chance e una gravidanza molto travagliata da cui era nata proprio lei: Tina. E come spesso accade, la consapevolezza di non essere più idonea a partorire l'aveva costretta in qualche modo a scendere a compromesso con il tempo e con le sue oggettive difficoltà, con l'ovvio risultato di trasformarla nelle più apprensive delle madri.

Quanto alle cause dello strano incidente stradale che l'aveva coinvolta al rientro da un giro in bicicletta, la polizia stessa non era riuscita a definirne le dinamiche e, di fatto, le circostanze reali dell'accaduto erano rimaste nella più desolante oscurità. Le poche e vaghe testimonianze raccolte nella piccola cittadina di Windlesham convergevano sull'avvistamento di un'auto ferma sul ciglio della strada accanto alla sua bici e nient'altro: nessuna traccia di frenata, nessun segno di collisione sulla sua bicicletta e nessun testimone attendibile che riuscisse a far luce sull'accaduto. Nonostante l'incidente fosse avvenuto in una delle arterie stradali più frequentate, pareva che nessuno fosse passato da quelle parti. Al momento del suo ritrovamento, i medici dell'ambulanza hanno solo potuto constatare lo stato di totale incoscienza in cui Tina versava e dal quale non si era più risvegliata.

In un momento indistinto di quel sabato pomeriggio, l'infermiera Williams bussò timidamente alla porta della sua stanza e con tono circostanziato disse: "Signora Foley, sono quasi le cinque, le porto qualcosa da mangiare?"

"Forse una tazza di tè..." – accennò sottovoce – "ma non si disturbi vengo a prenderla io... almeno faccio due passi."

Il reparto del Royal London Hospital per le cure dei pazienti in stato vegetativo era sempre stato il migliore quanto a metodiche e protocolli medici, ma l'equipe medica era stata poco ottimista riguardo a Tina. Stando alle parole della dottoressa Vaughan, dopo gli approfondimenti diagnostici, i progressi della medicina non sarebbero serviti a molto: dal coma di terzo livello, le probabilità di risveglio erano statisticamente marginali. Eve aveva accolto quelle parole come una sentenza di morte e restituitole un desolante senso di finitezza umana e di rassegnazione, ma per nulla al mondo avrebbe lasciato che a Tina le fossero precluse le cure di sostentamento.

Il lungo corridoio, che separava la stanza di Tina dal punto di ristoro messo a disposizione dei parenti, era un'interrotta sequenza di porte chiuse, dietro le quali – Eve ne era certa – si celavano altrettante storie di silenzioso dolore e sguardi troppo uguali al suo. Le sole voci, che a malapena si udivano, risultavano come ovattate da quel rigoroso senso della privacy che avrebbe impedito qualsiasi opportunità di condivisione, e tutte insieme parevano un coro.

K.A. I figli della luceWhere stories live. Discover now