capitolo 16

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Cap 16

QUALCHE GIORNO DOPO

Roberto fece un respiro profondo, mentre cambiava marcia poco dopo essere ripartito a un semaforo. A lavoro aveva detto che stava male e non c'era andato. Considerando che normalmente non si assentava neanche con 40 di febbre, la sua segretaria doveva aver pensato che stesse per rimettere l'anima a dio. Era uno stacanovista.

Ma quel giorno aveva altri progetti. Strinse il volante con entrambe le mani, quando notò che gli tremavano. Rivolse loro uno sguardo di rabbia. Detestava mostrare debolezza, anche a sé stesso.

Arrivato in vista del grosso edificio del liceo Collodi, rallentò e si appostò in doppia fila dall'altro lato della strada. La sua grossa station wagon nera sarebbe spiccata troppo in mezzo al mare di motorini e macchinette modificate, piene di adesivi, che affollavano il parcheggio della scuola, e lui voleva assolutamente evitare sguardi curiosi.

Spense il motore e inforcò gli occhiali da sole graduati che teneva nel cruscotto, iniziando a scrutare la folla di ragazzi, vestiti tutti uguali nelle loro divise, che si accalcavano davanti al cancello.

Da quando il preside Fedeli era andato a trovarlo, non era riuscito a togliersi dalla testa le sue parole. In particolar modo quel "lo guardi" che gli aveva intimato, più come una supplica che come un ordine.

Beh era lì per quello.

Era impazienza quella che provava?

Agitazione?

Ansia?

Non seppe dargli un nome... almeno finchè non lo vide.

Di colpo lo riconobbe in mezzo a tante facce, suo figlio. I capelli ricci, uguali a quelli di sua moglie quando l'aveva conosciuta, le spalle ampie, un po' curve, il naso lungo e dritto come il suo.

Ebbe la sensazione di ricevere un pugno dritto nello stomaco.

Non aveva realizzato quanto gli mancasse finchè non se lo era ritrovato sotto gli occhi. Quanto tempo aveva lasciato passare? 2... 3 mesi forse?

Scrutò il suo viso. Non mostrava più alcun segno di quello che lui gli aveva fatto, era normale, era passato molto tempo, eppure a lui sembrava ancora di vederlo così, col sangue che gli scorreva dal labbro e dal naso, coi segni delle botte sul lato del viso. Probabilmente la sua coscienza non gli avrebbe mai permesso di dimenticarselo.

Ma che gli aveva fatto? Che gli era preso?

Anche sforzandosi aveva ricordi confusi di quel pomeriggio, quando ci pensava gli sembrava di infilarsi nei ricordi di un altro.

Cosa gli avevo detto?

Aveva solo dei flash.

La parola schifo..... e.. non sei più mio figlio.... erano le uniche cose che gli martellavano in testa... eppure sentiva che c'era stato anche dell'altro, come se non fosse già abbastanza quello, a renderlo disgustoso.

Non era mai stato un padre affettuoso, né particolarmente presente, lo riconosceva, eppure gli voleva bene. Sentiva di volergliene come mai prima d'ora. Come aveva fatto a dire e fare cose del genere al suo ragazzo? Chi era quello là che lo aveva picchiato e insultato a quel modo? Che aveva detto con freddezza che non gli importava che fine facesse.... gli sembrava assurdo che potesse essere lui.

Lo studiò, mentre chiacchierava con i suoi compagni. Riconobbe il figlio dei Rossi. Era stato a casa loro diverse volte, gli altri gli sembrarono più o meno tutti ragazzi della squadra di calcio. Guardò ancora Brando: movimenti, postura, gesti, modo di parlare. Sembrava in tutto identico a come se lo ricordava, anzi forse un po' più spaccone di come si mostrava a casa. Davanti a lui aveva sempre avuto un atteggiamento remissivo e sottomesso, cosa che in passato gli aveva fatto anche piacere. Gli sembrava che suo figlio lo rispettasse facendo così.

Non avere pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora