Capitolo 15: 𝒏𝒊𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒅𝒊 𝒑𝒆𝒓𝒔𝒐𝒏𝒂𝒍𝒆 𝑩𝒆𝒂𝒕𝒓𝒊𝒄𝒆, è 𝒔𝒐𝒍𝒐 𝒖𝒏𝒂 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒅'𝒂𝒇𝒇𝒂𝒓𝒊.

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Dormire tra Jackson e Ginevra non era più comodo come quando eravamo piccoli. Un tempo, non eravamo costretti a stringersi l'uno all'altra e non c'era il rischio che Jackson rotolasse giù dal materasso ogni due minuti. Il mio corpo subì le conseguenze di trovarsi in mezzo: tra pugni, gomitate e calci, fui sicura che avrei trovato una ventina di lividi. Dormire mi fu impossibile e dopo appena un paio di ore, mi alzai dal letto. Sorpassare Jackson fu un'impresa faticosa e rischiai di finire con la faccia a terra. Mi guardai intorno in cerca del mio telefono e, non trovandolo, mi resi conto di averlo lasciato nel gazebo. Sperai che nessuno lo avesse preso al posto mio, perché non avevo la forza di affrontare uno dei fratelli Nobili.

Lungo la mia strada fui abbastanza fortuna da non incontrare nessuno. Trovai il telefono nel gazebo e liberai un sospiro di sollievo.

Per un momento, soppesai l'idea di sedermi e stare di nuovo a contatto con la natura. Solo la paura di essere di nuovo disturbata mi spinse a rientrare in casa. Chiusa la porta principale alle spalle, controllai il telefono per vedere se fossero arrivati nuovi messaggi e soprattutto se Chiara fosse sveglia. Di lei non c'era ancora traccia e capii che prima delle undici non si sarebbe fatta viva. La stanchezza mi fece invidiare le ore di sonno che erano state concesse alla mia amica.

Mi trascinai verso la mia camera, desiderosa di buttarmi in un letto che fosse solo mio. Arrivata al mio piano, trovai qualcuno ad aspettarmi. Osservai Filippo per qualche secondo, avanzando silenziosamente, finché lui non si rese conto della mia presenza.

«Ciao» disse, rivolgendomi un accenno di sorriso.

Aspettai che mi dicesse la ragione che lo aveva portato a cercarmi.

«Ti ho cercata nella stanza di Ginevra, ma non c'eri.»

Filippo era alto quanto me, forse persino più basso. Il suo aspetto era ereditato dalla madre, la stessa di Federico, eppure allo stesso tempo era evidente che fosse un Nobili. C'era qualcosa nel suo portamento e sguardo che gridava "traumi, segreti: per favore non aprire la scatola in cui li ho sigillati". Mi chiesi se anche io avessi quell'aspetto.

Non sapevo ancora cosa pensare di lui. In fondo, non era mai stato davvero cattivo con me. Allo stesso tempo, non si era mai mostrato molto amichevole. Tra i suoi fratelli, Cameron era quello con cui aveva un rapporto migliore. Ero certa che uscissero nella stessa compagnia e che si considerassero migliori amici. Jackson non lo odiava e Ginevra gli mostrava rispetto.

«Perché mi stavi cercando?»

Si grattò il collo. «Nostro padre ti aspetta nel suo ufficio tra mezz'ora.»

Afferrai la maniglia della porta e Filippo indietreggiò. La notizia mi lasciò destabilizzata per qualche secondo. Mi tornarono le vertigini e pensai di essere sul punto di svenire. Poi, mi costrinsi a respirare.

Guardai Filippo e annuii. Rimase imbambolato a studiarmi per qualche minuto e io attesi che se ne andasse prima di entrare nella mia stanza.

Guardai il mio letto con le lacrime agli occhi e mi fiondai nella sua morbidezza confortante. Desiderai restare lì per sempre. Mi concedetti qualche minuto di oblio, poi mi misi a sedere e sbloccai il telefono. Non potevo continuare a evitare di guardare chi mi avesse scritto. Forse, in uno di quei messaggi, c'era un indizio che mi avrebbe permesso di prepararmi all'incontro che avrei avuto con quell'uomo.

I messaggi erano noiosi, tutti della stessa banalità. Dunque, mi soffermai a vedere chi mi avesse scritto. Erano persone che non conoscevo, persone di cui sapevo solo il nome e persone che non avrei voluto conoscere. Osservai la foto profilo di un ragazzo della mia stessa età che ero costretta a vedere ogni domenica mattina alla Katheìo, gli incontri neomida in cui ci veniva insegnata la nostra dottrina. Non mi aveva mai degnato di alcuna attenzione, ignorandomi quando passavo per la sua strada. Un comportamento non molto diverso da quello dei ragazzi che abitavano la villa, eppure meno doloroso.

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