⭒ di foglie cadute, inaspettata felicità, me e te 。

97 11 0
                                    

bts - namjin

bts - namjin

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

༉‧₊˚✧

Kim Namjoon è un ragazzo grande e grosso, eppure mentre lo guardo seduto lì, sul sedile blu dell'autobus, mi sembra così piccolo e vulnerabile da confondermi. Le sue gambe lunghe e magre sono piegate con un'angolazione quasi innaturale e pare quasi nascondere il collo tra le spalle incurvate. Tiene le mani fra le cosce, palmo contro palmo, e guarda fuori dal finestrino. Sono certo che nella sua mente stia pensando a quanto sia stato fortunato ad aver trovato un posto a sedere su quest'autobus così pieno di studenti assonnati e pendolari nervosi. Io, a differenza sua, sono stato meno fortunato, ed ora lo osservo dall'alto, in piedi accanto al suo sedile, come una sentinella, la mia mano destra avvinghiata al palo giallo fluorescente sopra la sua testa. Namjoon gira un attimo la testa verso di me e mi ingloba nei suoi occhi grandi e neri. Lo guardo di rimando, con lo stomaco in subbuglio, sentendomi inadeguato, quasi fuori luogo – e un po' è colpa della posizione che occupo, che lo costringe a piegare la testa all'indietro in una posizione che dev'essere fin troppo scomoda, e forse finirà per spezzarsi il collo in due.

Arrossisco e distolgo lo sguardo, perché non sono capace di reggere il suo sguardo che scava a fondo nel mio. Lui mi fissa ridendo, di una risata così lucente e vera, cristallina.

"Che c'è?", simulo un tono offeso e giro la testa dall'altro lato, provando ad ignorarlo.

"No, nulla. Sei carino quando fai così."

Se possibile arrossisco ancora di più, vergognandomi del suo volume di voce esageratamente alto e di questa sua schiettezza improvvisata.

"Ma cosa dici? Finiscila! E non urlare, per piacere!", sussurro imbarazzato, voltandomi di scatto verso di lui sentendo le mie guance scaldarsi e ardere come fiamme, mentre fingo un broncio.

"Dài, non fare così!", ride e mi scuote per il braccio, invitandomi a guardarlo. "Jin, non fare così", mi ripete, ed ora la sua voce si addolcisce, riducendosi a poco più che un sospiro, udibile solo da me, nonostante tutta la gente e la confusione che ci circonda. "Ma io lo penso davvero che tu sia carino", mi sussurra con un tono malizioso e un ghigno sul volto, ed io lo so che lo pensa davvero, perché me lo dice spesso, ma io non gli do mai peso: non mi sento poi così carino.

Dimostramelo, vorrei dirgli, ma penso che non siano il luogo e il tempo adatti.

Allora mi chiudo nel mio silenzio, e con la bocca socchiusa seguo il mondo fuori dal finestrino del mezzo in movimento. Osservo tutte le persone che mi passano davanti, e tra le loro facce slavate leggo solo la grigia monotonia. Sembra che non conoscano altro che gli stessi gesti – sveglia alle sei e un quarto, alzarsi indolenziti, doccia, vestirsi sempre, prendere borsa, cartelletta, ventiquattrore, firmare scartoffie, correre dietro ai propri impegni, figli, mariti e mogli, accartocciare scontrini, progetti, sogni, speranze, cucinare, lavare, dormire, e poi si ricomincia da capo.

𝘃𝗲𝗴𝗮𝘀 𝗹𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀Where stories live. Discover now