Cᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 4

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Neanche a dirlo, durante tutte le lezioni della settimana dopo, Asami non riuscì a dire neanche una parola ad Ayato, che come sempre ignorava tutto e tutti.
Alla fine, arresa, decise che avrebbe optato per il secondo piano, quello di provare a chiedere in giro.
Quando suonò la pausa, decise come prima cosa di salire sul tetto, dove ormai aveva sempre appuntamento con Laito, magari, lui poteva saperne qualcosa.
Ormai lei è Laito si parlavano quotidianamente e si raccontavano molte cose, la ragazza era davvero felice quando riusciva a passare del tempo con lui, che non era da meno.
Salì le scale quasi correndo, quando aprì la porta che dava sul tetto il ragazzo era già lì.
Asami, senza dire niente si sedette di fianco a lui, che non aveva ancora alzato lo sguardo da terra, anche se lei fosse sicura che l'avesse sentita arrivare.

"Ciao." Disse, rompendo il silenzio.
Laito in risposta sorrise.
"Sai volevo chiederti una cosa." Continuò lei.
"Cosa?"
"Tu sai qualcosa di più sui Sakamaki?"
Laito indugiò un momento, se c'era una cosa di cui non voleva parlare era proprio la sua famiglia, per di più non le aveva detto neanche il suo vero nome, quindi non poteva sbilanciarsi troppo.
Ad Asami, però di certo non scappò il fatto che Laito aspettò più di un momento per rispondere, pensava sempre di più di aver ragione.
"Perché me lo chiedi?" Chiese infine.
Asami decise di dire tutta la verità, così pensava, che se davvero avesse saputo qualcosa glielo avrebbe detto, in più lei aveva imparato a fidarsi di lui.
"Perché credo che i miei genitori mi stiano nascondendo qualcosa su di loro e sul perché io sia in questa scuola, in più il comportamento del mio vicino di banco mi fa sospettare ancora di più."
"E' meglio se lasci perdere questa storia."
"È stata la prima cosa che mi ha detto mio padre, quando gli ho nominato la faccenda, questo mi fa pensare che anche tu ne sappia qualcosa."
Laito non poté fare a meno di sorridere, era fin troppo sveglia la ragazza.
"Diciamo che in qualche modo conosco tutti i figli, ed è meglio che tu stia alla larga da tutti." Concluse.
Praticamente le aveva appena detto di avere paura di lui, di allontanarsi.
Ma questo lei non poteva capirlo.
"Tutti? Ma quanti sono?"
"Sono sei, questa è l'ultima cosa che ti dico."
Asami sgranò gli occhi, magari avrebbe potuto rintracciarli e andare a parlare direttamente con uno di loro, sperando che fossero più simpatici di Ayato e meno psicopatici di Kanato.
"Vengono anche gli altri in questa scuola?" Chiese di nuovo, facendo sbuffare Laito.
"Sei testarda, eh?" Si lamentò in fine sperando che le domande finissero.
Invece Asami sorrise sicura di voler continuare, quando si metteva in testa qualcosa era impossibile farle cambiare idea.
"Giuro che è l'ultima cosa che ti chiedo." Disse in tono supplichevole.
"Si, ma non cercarli. Fidati di me."
Asami avrebbe voluto chiedergli altre cose in realtà, come i loro nomi, la classe in cui andavano ... ma si rassegnò, al meno per quel giorno.
"Va bene." Disse alzandosi. "Ora vado, ci vediamo."
"Asami." La richiamò lui, pentendosi subito di tutta quella confidenza, che non aveva mai preso fino a quel momento.
"Sta lontano da loro, davvero non sai di che cosa sono capaci."
"Va bene, Laito." Disse lei.

Le parole di Laito continuavano a rimbombarle nella testa e così il giorno dopo era ancora più curiosa.
Quella mattina si svegliò prima del solito, sapendo che suo padre non era in casa decise di continuare le ricerche, questa volta iniziando dal suo ufficio.
Asami, non aveva il permesso di entrare in quella stanza, ma non le importava, aveva capito che più di una persona le stava nascondendo qualcosa di grosso e lei davvero non lo sopportava, ormai doveva capire! Perché non raccontargli tutto?
Di certo se lo avessero fatto fin dall'inizio tutto questo non sarebbe successo, si ripeteva in continuazione nella sua mente.
Controllando che nessuno in giro per la casa la vedesse, Asami riuscì ad entrare nello studio di suo padre.
Passò di fianco all'enorme libreria, fino ad arrivare alla scrivania di mogano dove iniziò le sue ricerche accendendo il computer che però chiedeva una password per accedere, provò varie date e nomi, ma nessuna era quella esatta, allora iniziò a guardare tutte le carte sparse, sulla scrivania, ma non trovò niente, facevano tutte parte del suo lavoro e nessun cliente era un certo Sakamaki.
Continuò a fare passare delle carte che erano state archiviate in alcuni fascicoli in un armadietto di fianco alla scrivania: niente.
Ormai rassegnata iniziò a guardare tra i libri, non sapendo neanche lei cosa cercare.

Dopo altri cinque minuti, ritornò a sedersi sulla scrivania, stanca e affranta: era punto e a capo.
Annoiata prese in mano una scatola sulla scrivania, che conteneva un carillon, da piccola, quando faceva compagnia a suo padre, ci giocava sempre, si ricordava ancora quella melodia, da piccola aveva il potere di tranquillizzarla.
L'aprì per sentire quella melodia, ma al suo interno vi trovò una chiave, Asami la prese in mano ispezionandola.
Non era una chiave che apriva delle porte e non era neanche quella della cassaforte, si ricordava dove era e come era fatta, allora provò a guardarsi in attorno cercando qualsiasi cosa a cui potesse servire.
L'occhio alla fine gli cadde, sull'unico cassetto della scrivania, lo tirò ed era chiuso a chiave, non aveva pensato a quel cassetto, poiché si ricordava che era sempre stato vuoto, ma allora perché chiuderlo a chiave?

Riuscì subito ad aprirlo, grazie alla chiave e dentro vi trovò una lettera, era già stata aperta, portava il nome di suo padre, ma Asami sgranò gli occhi, quando vide chi era il committente: Tōgo Sakamaki.
Rimase ferma dove era, con la lettera tra le mani, finché sentì qualcuno arrivare con la macchina, si affacciò alla finestra che si trovava alle sue spalle: suo padre era tornato.
Richiuse la lettera nel cassetto, ma prima riuscì a farle una foto con il cellulare, non poteva permettere che suo padre sospettasse qualcosa; rimise poi la chiave dove l'aveva trovata e velocemente uscì dall'ufficio.

Una volta in camera, si sedette sul letto, incerta se leggere o no la lettera.
Alla fine cedette, lei doveva scoprire la verità, riprese il telefono, abbandonato sul letto e iniziò a leggerla.

Questa volta sì che rimase veramente senza parole.

La lettera di quello che, aveva capito essere, il padre di Ayato e degli altri, diceva a suo padre che come saldo di un debito che non veniva specificato, accettava sua figlia, Asami,  come sposa di uno dei suoi figli, disse anche che l'avrebbe dovuta iscrivere alla loro stessa scuola, prima del loro incontro, se poi le loro strade non si fossero incrociate ci avrebbe pensato lui più avanti.

Asami non capiva, all'inizio pensò che quello fosse uno scherzo, un modo di suo padre per dirgli di lasciare perdere quella storia, ma alla fine, capì che con quella lettera tutti i pezzi del puzzle andavano a incastrarsi perfettamente tra di loro.

Ora non sapeva più che cosa avrebbe dovuto fare.

Chi era quella famiglia?

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