Capitolo 41

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Dicono che sia più facile andare avanti piuttosto che dimenticare.

Impari a convivere con le assenze anche se il traguardo della libertà mentale è lontano, te ne fai una ragione e smetti di pensarci.

In questo caso ove la mia mente era intrisa di ricordi, che movimenti avrei dovuto fare per andare avanti?

Tracy non era quasi più un tormento, era un ricordo sfocato che nelle notti più buie mi coccolava; mamma e papà continuavano ad essere assenze indelebili, scolpiti sulla parete del mio cuore il cui nome rimbombava ad ogni battito. Ma anche per loro, il ricordo era vivo dentro di me e stavo trovando la via giusta della rassegnazione: niente e nessuno avrebbe potuto ridarmi indietro i miei genitori, solo la morte.

La rassegnazione: in molte occasioni ho dato per scontato quanto brutto fosse rassegnarsi ad un'idea, oggi invece la vedo con occhi diversi e riconosco che sia più doloroso di un ricordo che non puoi dimenticare.

Avevo di nuovo baciato Emily ed avevo risposto in maniera lieve ai bisogni del mio corpo non appena il suo calore era penetrato attraverso ogni fibra dei miei vestiti. Mi stavo domandando che cosa mai sarebbe successo se non fossimo stati dentro ad un ascensore ma in camera da letto, se sarei riuscito a controllarmi o se ad un certo punto lei mi avrebbe respinto.

I miei occhi la vedevano poco affascinante, i miei gusti poco attraente ma il mio corpo desiderava avere anche un minimo contatto. Per uno come me, sempre sicuro di ciò che poteva soddisfarmi sessualmente, sentirsi attratto da una ragazza come Emily risultava innaturale.

Buffa, per niente elegante, molto spesso lamentosa e irritante, nessun vincolo matrimoniale e per nulla sexy. Sbuffai nella mia mente, probabilmente era solo un capriccio e mi sarebbe passata ancor prima di trovare la vera risposta.

Mi trovavo poco più avanti dell'ascensore, nel lungo corridoio stretto che mi avrebbe poi condotto alla sala di registrazione dove si sarebbe tenuta l'intervista radiofonica. Non sentivo alcun passo dietro di me ed al mio fianco non vi era nessuno, così mi voltai ed Emily era immobile nell'ascensore con la punta delle dita sulle labbra e gli occhi completamente persi.

Non era di certo una falsità dire quanto fosse buffa, iniziò a sorridermi il cuore a vederla in quel modo ma dovetti riprendere in mano la mia coscienza e non lasciarmi sopraffare da sensazioni stupide e perditempo.

"Allora?" Domandai:"Ti vuoi muovere? Non restartene lì impalata", rimproverai infine.

La vidi fare uno scatto rapido come se l'avessi risvegliata bruscamente da un sogno, si precipita verso di me che le avevo già voltato le spalle per non darle nessun modo di notare il mio mezzo sorriso.

"Arrivo, arrivo", disse lei.

Ero ritornato ad essere un blocco di ghiaccio quando con la coda dell'occhio la vidi camminare al mio fianco, era un bene ch'io riuscissi a cambiare così rapidamente stato d'animo senza alterare troppo la mia sanità mentale.
Qualche passo più avanti ed arrivammo dritti nella sala di registrazione, una grande stanza quadrata con al centro un tavolo disposto a triangolo, quattro microfoni, tre schermi pendenti dal soffitto e i due portatili degli speaker.

Appena varcata la soglia ci accolgono due giovani, un ragazzo ed una ragazza, probabilmente miei coetanei o poco più grandi. Non sono gli stessi che intervistarono me tempo fa, confidai comunque nel loro lavoro e nelle loro domande.

"Benvenuto Signor McRoverguy e Signora Castle", parlò la donna:"Accomodatevi alle vostre postazioni", ci invitò con un largo sorriso.

Castana con la punta dei capelli mossi da qualche boccolo indefinito, un tailleur rosa sotto una camicetta bianco trasparente che lasciava volutamente intravedere un reggiseno nero; pantalonte nero e tacchi bassi, niente male per essere anche bassina e un po' rotondetta.

Come tu mi vuoi - Russel McRoverguy Where stories live. Discover now