II

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Il porto ospitava non più di una cinquantina di barche, nessuna oltre i dieci metri, e ognuna apparteneva al suo proprietario. Era assente un vero e proprio molo, poiché ai marinai bastava una piccola superficie dove ormeggiare le barche.

Lungo il tragitto, Giacomo puntò il dito verso l'ufficio centrale (un cumulo di assi inchiodate insieme, ai miei occhi) e poi verso quelli che lui considerava punti di interesse. Dopo un po' smisi di ascoltarlo, più interessato ad osservare il paesaggio: i rilievi della Liguria sopra di noi al tramonto sfumavano dall'ocra al marroncino, con rada vegetazione. Anche se non fossi riuscito a cavare un ragno dal buco, pensai, mi sarei goduto un periodo di riposo e magari una bella nuotata.

Giungemmo infine ad un punto preciso quasi a metà del molo. Eravamo nell'ombra che la montagnola proiettava ad est, ed il mare appariva come un baratro oscuro e senza fondo. Un piccolo scafo in vernice rossa mezza scrostata era ormeggiato di fronte a noi: l'interno sembrava vuoto ma non mi servì salirci a bordo per sincerarmene, data la porta spalancata. Quanto agli averi del proprietario...

«Esatto!» esclamò Giacomo seguendo il mio sguardo. Carte di navigazione, radio, lanciarazzi, provviste varie e soprattutto le reti erano adagiati dietro di noi, ad una decina di metri, insieme alla cerata, gli stivali e il cappuccio. Tutto perfettamente ripiegato con cura.

«Strano» mormorai.

Mi voltai ed osservai ancora le acque scure che si estendevano a perdita d'occhio. Pensai di chiedergli di un eventuale biglietto di addio o testamenti lasciati in giro, ma conclusi che in tal caso non si sarebbe scomodato a chiamarmi, anche pensando l'avessero prelevato con la forza i sicari della camorra.

Questo non escludeva la pista, però.

«Vero» fece Giacomo.

«E nessuno ha toccato nulla?».

L'informatore osservò gli averi del pescatore. «Insomma, roba di poco valore a parte la radio; il paese è piccolo, l'hai visto, e si conoscono tutti. È da trent'anni che non c'è un furto».

«Polizia?».

«Scomparso» indicò il mare «hanno tanto da cercare».

Mi allontanai d'istinto.

Per un attimo avevo creduto di vedere il pescatore venirmi incontro dalla sua tomba d'acqua, pronto a trascinarmi con sé, o magari ad avvertirmi di svignarmela appena possibile. Egoista da parte mia. Io ero l'ultima speranza per dare giustizia a quell'uomo, ed è anche per questo che ora sono qui a raccontare questa storia, anche se mi tocca scrivere con la sinistra.

Giacomo mi osservò allarmato.

«Ma si sa almeno chi era?» quasi urlai. Tutti gli occhi sul porto erano già puntati su di me da prima, ci avrei scommesso la testa, ma io gli detti una ragione di più per curiosare. Chi scrostava lo scafo, chi lavava il ponte, chi trasportava funi... smisero tutti per studiarmi.

«Si, ma è confidenziale» abbassò la voce e sollevò la cartelletta.

Mi allontanai con lui lungo il porto, diretto alla locanda dove avevo preso una stanza in assenza di un vero e proprio albergo. Mi misi in tuta e spalancai la finestra davanti all'oceano per far entrare una brezza leggera; il sole stava ormai per tramontare, ma prima riuscii ad ammirarne gli ultimi raggi sul Tirreno. Il letto cigolò appena mi stesi per ammirare la carta da parati con dei pesci blu sbiaditi. Era strano, pensai, non aver sentito puzza di pesce né alla locanda né al porto.

Da steso il molo era visibile solo per una piccola porzione, perciò mi tirai su e volsi lo sguardo a occidente: nella crescente penombra fui comunque capace di trovare quel che stavo cercando. O che non stavo cercando in realtà: nessuna rete da pesca sulle barche, nessuna vicino agli ormeggi, tranne quella del pescatore scomparso. Era anche probabile che le tirassero fuori solo di notte al momento d'issare le ancore, custodendole gelosamente nelle proprie case, ma Giacomo sosteneva che in paese non ci fosse problema di ladri.

Amore del mareWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu