Capitolo 19

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Stavo in piedi. Aspettavo. Il corridoio era vuoto, non una persona ci camminava o respirava, a parte me. Ero poggiata al muro accanto alla porta bianca, su cui era appeso il cartellino raffigurante un omino maschio; tenevo le braccia dietro la schiena, erano a contatto col muro ormai tiepido. Non ero felice, non ero triste. Ero vuota, svuotata. Probabilmente il momento meno indicato per esserlo; ero lì, aspettavo che Niall uscisse, dovevo parlargli e non avevo parole. Non ero una tipa da discorsi premeditati, mi buttavo in una profonda cisterna priva d'acqua, e avrei accettato qualunque conseguenza. Piuttosto imprudente, direi, ma anche coraggioso. Così orgogliosa, mi sentivo fortemente sbagliata. Il rumore della chiave mi fece raddrizzare e spostare lo sguardo, Niall uscì e il mio cuore batté velocemente, forse troppo, ma non abbastanza. Guardai i suoi occhi, aveva pianto; lui guardò i miei, sembrò confuso nel vedere che avevo fatto lo stesso. L'uno di fronte all'altra, in piedi e immobili, ci guardavamo come se non ci riconoscessimo più; attimo dopo attimo, secondo dopo secondo, tempo sprecato, tempo in cui avrei potuto pensare a cosa dire, ma non fu ciò che feci. "Aiutami" pensai, ma avevo davvero chiesto aiuto a qualcosa di invisibile? Non capivo cosa mi stesse prendendo, ero diventata una di quelle che parava con gli spiriti? No di certo. Prese fiato, stava per parlare.

«Scar...» lo guardai, ero pietrificata, immobile. Avete presente quel momento in cui vi ripetete "su, coraggio, parla!" ma nulla esce? Stavo vivendo esattamente quel momento. Presi fiato più e più volte con l'intento di dire qualcosa, il suo nome o un "hey", ma nulla. Però ero decisa, troppo silenzio, troppo tempo sprecato; un respiro profondo, schiusi la bocca e...

«Niall! Dobbiamo andare» una voce alle mie spalle lo chiamò. Il suo sguardo si spostò dietro di me e senza rivolgermi un'occhiata o un'ultima parola mi oltrepassò, e andò via.

Adesso il giardino sul retro era vuoto, e il cielo limpido. Lo guardavo, era bello, pulito, puro, tutto ciò che non aveva a che fare con me. Chiusi gli occhi tenendo la testa rivolta al cielo, un lieve vento mi accarezzò il viso. Dei passi si facevano più vicini. Qualcuno si sedette al mio fianco e riconobbi la voce rassicurante, come quella di mia madre. Mia madre. Mi mancava così tanto.

«Scarlett»

«Mason»

«Come stai?»

«Ok»

«Ok?»

«Sì, ok, è sbagliato?» gli rivolsi il primo sguardo, lui stava guardando il cielo, come me qualche secondo prima. Mi chiedevo come potesse essere possibile che un uomo potesse provare tanto amore e felicità trovandosi su questo pianeta.

«Assolutamente no. Mentire è sbagliato. Quindi dimmi, Scarlett: come stai?» mi guardò anche lui.

Cosa avrei dovuto fare? Stare zitta? Avrei voluto. Ma, al contrario di prima, qualcosa mi spingeva a parlare. Sospirai.

«La mia vita fa schifo. Non ho nessuno. Non so neanche più chi sono, capisci? Divento ansiosa per piccolezze e mi sento come... un peso per la società. E mi manca mia madre. Senza di lei sono al buio e voglio trovare una luce che non si scarichi. Voglio andare da lei» non mi veniva da piangere, sentivo solo di essermi tolta un peso dallo stomaco. «Sai, spesso mi diceva delle parole bellissime prima che andassi a dormire, le prendeva da un libro, ma non ricordo quale fosse»

«Quali parole? Se posso sapere»

«Mi diceva spesso "sei stata fatta stupenda, sei una delle infinite creature meravigliose che siano su questo pianeta"»

Rise lievemente, era davvero una cosa tanto stupida?

«Conosco quel libro! È il mio preferito, la mia guida» lo guardai, stava uscendo qualcosa dalla tasca interna della giacca. Era un libro tascabile, me lo porse. una bibbia. «Salmi, capitolo 139 versetto 14» lo riprese e cercò. Sfogliò alcune pagine, poi mi riporse il libro. Lessi le parole.

Shadow || Niall HoranWhere stories live. Discover now