Capitolo 16 - Odore di risata

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Conan's pov

- Ricorda tesoro, non serve che capiscano ciò che dipingi. Finché tu sai cosa significa e cosa c'è dentro, è arte, ed è tua - disse la donna rivolta alla tela con gli occhi e al bimbo col cuore. Lui la guardò meravigliato e tanto bastava, non c'era bisogno di chiedergli se avesse compreso perché già sapeva che lo aveva fatto. Comprendeva sempre ciò che gli diceva. Il piccolo continuò ad intingere la mani nella tintura, colorando con le semplici dita la rosa priva di spine nel vasetto di vetro. Era quello della conserva di albicocche, che a lui non sempre piaceva ma l'amava perché la faceva la nonna, e gli parve ancora più bello. La luce, dalla finestra, quella con gli infissi azzurri, lo illuminò e dei riflessi arcobaleno gli baciarono la pelle. Sentiva nell'aria il profumo tipico della nonna, pittura ad olio, rose, libri e marshmallow. Non sapeva come si potesse odorare così e si domandò di cosa profumasse lui. Probabilmente era uguale a lei, come per molte altre cose, che a stare sempre attaccati gli si era incollato addosso. O l'abbracciava. Sì, abbracciare era un termine più appropriato e di sicuro più bello. Mi garba, si ripetè, come gli aveva insegnato la nonna. Mi garba, mi garba.

Finirono il loro operato, la nonna lasciò a mollo i pennelli nell'acqua ragia e prese un panno bagnato per lavare dal ripiano la tempera del nipote. Prima di pulire anche lui, però, gli prese entrambi i polsi e accostò per bene i palmi alle proprie guance rosee e prive di trucco. Sorrise al bambino, lui rise, tanto da inciampare sui suoi stessi piedi, e di rimando rise la donna mentre sporgeva il viso per farsi colorare la punta del naso. Si sarebbero sciacquati dopo, in quel momento non importava. Lei lo prese in braccio e gli baciò la fronte, lui la prese per le gote dove si trovavano le sue stesse impronte, tutte rosse e arancioni e gialle, e posò un bacio all'angolo della bocca.

- Ti voglio bene -, le disse Conan, con tutto l'amore di cui era capace. E lui ne aveva, di amore da donare, un cuore così grande da chiedersi se gli ci stava tutto, in quel corpicino.

- Anch'io te ne voglio, tesoro mio. Tantissimissimissimo - e le loro risa riempirono la stanza, rimbombarono nelle ossa, guarirono l'anima giovane e stanca della donna e quella dolce e pura del bimbo. Lui pensò di nuovo all'odore della nonna e ora sapeva per certo di cosa sapesse: di risata, sì, sapeva proprio di quello.

- Tantissimissimissimo, nonna -, sussurro, chissà da quanto sono qua immobile con il pennello in mano. Non mi muovo, sono paralizzato, la vernice sulle setole quasi asciutta. Fisso la parete, così intensamente che ho paura si consumi, e senza nemmeno pensarci butto quel pezzetto di legno bagnato e mi verso il colore direttamente sulle dita. Le passo sul muro, i pigmenti si mischiano, danzano, solo per me, solo per lei. Sento il ruvido sfregare contro i polpastrelli, gli occhi scatenarsi a quel tripudio, il sole contro le spalle, una ciocca di capelli ricadermi sul volto. Non mi intaressa, dipingo, non so cosa ma so come, e solo ora mi rendo conto che è una donna.
La conosco, quella lì, sono io e pure lei, perché sono suo come lei era mia.

Sobbalzo appena una mano mi tocca il fianco, e ancora prima che una testa si appoggi su di me e un braccio mi abbracci da dietro, percepisco un profumo. Caffè e vaniglia.

Finn.

Giro il capo verso di lui, gli sorrido raggiante mentre ricordo di aver lasciato la porta aperta, apposta per lui, che doveva venire. Quasi non gli lascio il tempo di ricambiare che lo bacio con foga. Gli tolgo il respiro, le labbra si cercano, le lingue danzano. Ci stacchiamo lentamente, lo guardo dritto e poso una mano sulla guancia nivea, bianca e pura e macchiata di lentiggini, che fa risaltare il colore vivo della tempera. Passo l'indice sulla mascella, seguo la linea del collo e mi fermo appena sotto il colletto della maglia. Osservo rapito la pittura sulla sua pelle, la bellezza di quel contatto delicato che l'arcobaleno col bianco sembra farci l'amore. Finn, anche lui mi guarda, con lo stesso sguardo, solo che lui punta il mio viso privo di tutto. Pallido, senza vita, fermo. Eppure qualcosa di bello ci deve essere, perché adesso mi sento proprio tanto felice. Magari lo ha trovato, almeno lui, e sono contento che qualcuno ci riesca. Io ci provo ma non lo vedo mai. Vedo una faccia, sì, come tutte le altre mie e degli altri, che pure loro ne hanno cento o forse più.

Le stelle si sentono sole?Where stories live. Discover now