Venego

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Una porta si chiude ed il rumore delle catene diventa assordante.
Ormai, siamo troppi in questo posto.
Mi ritrovo in una piccola stanza (sempre che si possa chiamare così) con le pareti ammuffite, il soffitto che sembra possa crollarmi addosso da un momento all'altro ed io, zuppo di sangue, sono incatenato ad una sedia, illuminato dalle luci di poche candele. Non c'è una sola finestra che mi faccia vedere la luce del sole o il bel volto della luna che mi ha sempre rincuorato, tutto ciò che adesso mi da un sollievo momentaneo è vedere il mio boia che si è stancato di giocare con me per oggi, uscendo da quella lurida porta che mi è ostacolo per la libertà.

Sospetto che sarò il prossimo ad andarmene, d'altronde, i topi sentono già puzza di cadavere.
Sono giorni che mi tengono rinchiuso qui dentro e posso dire certamente che quei sadici bastardi si divertono a farci soffrire, ma dato che molto probabilmente questa sarà la mia ultima notte, non voglio sprecarla nell'iracondia, perciò ho deciso di raccontare la mia storia ad alta voce in modo che, magari, le altre vittime di questo atroce supplizio (in caso avessero abbastanza fortuna da uscire vivi di qui) possano portare con loro una parte di me, rendendo vivi i ricordi dell'uomo che ero, e con essi, vivrò anche io.

Il mio nome è Venego e da fin quanto ne ho memoria ho sempre dovuto nascondere chi sono alla società, questo perché i miei genitori erano diversi dalle altre persone: mio padre studiava le erbe ed i vari effetti che queste producevano, mentre mia madre utilizzava le informazioni che mio padre ricavava per curare i malesseri degli altri.
Imparai dai miei genitori tutto ciò che c'era da imparare, ma non potevo parlarne liberamente né potevo usare queste conoscenze per aiutare gli altri, mi sembrava un'ingiustizia eppure i miei genitori me lo imponevano per il mio bene anche se non ne comprendevo il "perché".

Vedevo mia madre ogni giorno medicare i pazienti, ma si occupava solamente di piccole ferite o di persone troppo anziane, non capivo come mai non facesse di più; avere delle informazioni così importanti e non fare nulla di grandioso come curare da avvelenamenti o occuparsi di ferite mortali o semplicemente curare più persone in meno tempo.
Ben presto scoprì che tutto ciò che io sapevo andava contro a quanto la chiesa predicasse e che i miei genitori mi stavano tenendo all'oscuro di quanto stesse accadendo intorno alla nostra piccola casa, dalla quale non uscivo quasi mai.

Ai miei sedici anni, essendo finalmente maggiorenne, seppi la verità da mia madre, mi disse che ciò che praticava era pura eresia e seppure fosse giusto aiutare gli altri, andava fatto con discrezione o avremmo messo a repentaglio le nostre vite.
Quando ebbi il consenso di uscire di casa capii come mai non avessi avuto questa libertà quando ero più piccolo: l'esecuzioni erano all'ordine del giorno, gatti neri che venivano brutalmente massacrati, preziosi libri che venivano bruciati e la gente che stava diventando sempre più paranoica mandando al rogo altre persone, per causa di alcuni tornaconti personali, semplicemente gridando "strega" o "eretico".

Guardando quelle scene il terrore si insinuò nella mia mente, il timore di diventare il prossimo protagonista di una recita così macabra mi assaliva ogni notte non concedendomi l'opportunità di riprendere fiato. Iniziai a diventare sempre più diffidente con le persone che incontravo per strada e anche la cosa più semplice come fare una passeggiata diveniva un'impresa. Più volte mi chiesi se non fossimo noi "eretici" il problema, se non mi meritassi realmente atroci sofferenze per possedere una conoscenza che sembrò agli occhi altrui sintomo di tracotanza, quasi maledii i miei genitori per avermi insegnato un sapere così oltraggioso, ma non mi ci volle molto per capire che stavo delirando dalla paura, e mentre io deliravo, mia madre lentamente si stava ammalando. Smise di lavorare e appena ci accorgemmo della sua malattia fu troppo tardi per poterla trattare nel metodo tradizionale; io e mio padre, ci trovammo davanti ad un bivio per scegliere se lasciarla morire o curarla applicando il metodo che ho studiato fin dalla tenera età.
La voce della malattia della mia genitrice fece il giro del nostro paese grazie all'ultimo paziente che ebbe, il che rese rischioso più che mai occuparci della sua salute, ma non avevo scelta, non potevo lasciare morire la persona che mi ha dato la vita, che mi ha istruito e che mi ha reso la persona che ora sono. Senza pensarci due volte attinsi alla conoscenza proibita dalla chiesa stessa e feci quanto era in mio potere per farla stare bene.

La curai, mai fui così felice e terrorizzato in vita mia, tutto ciò che ci toccava fare da quel momento in poi sarebbe stato scappare, ma non potevamo farlo subito, senza alcuna preparazione ed in pieno giorno per giunta.
Per un pò di tempo mia madre restò nascosta in casa mentre mio padre ed io ci occupammo di tutto. Arrivati alla fatidica sera ci diriggemmo verso il confine del paesino; ciò che ci sorprese fu vedere che era in atto un'esecuzione, cercammo di aggirare la massa nella speranza di non essere visti. Mancava poco per andare via di lì e ricominciare una nuova vita, eppure qualcuno si accorse di noi e attirò l'attenzione della folla, questa, insospettita dal vedere tre figure incappucciate andare via e, con la bramosia di vedere altro sangue versato, si accanì su di noi.
Ci misimo a correre, ma per quanto fossimo veloci loro lo erano di più e riuscirono a catturarci.

Ci portarono in queste segrete per poter avere spiegazioni su come mia madre sia riuscita a sopravvivere. Mio padre disse la verità chiamando scienza ciò che loro chiamano male, sperando che dicendo la verità saremmo stati liberati.
Sia lui che mia madre furono uccisi senza pietà davanti ai miei occhi: mio padre fu messo dentro una "fanciulla di ferro", un sarcofago pieno di aculei pronti a trafiggere punti non vitali, facendolo morire per dissanguamento. Ho capito che è morto non appena ha smesso di gridare.
Mia madre invece è stata messa al rogo ed io sono stato costretto a vederla bruciare.
Ho cercato di tenermi cara la vita, ho evitato di parlare fino ad ora, ma sono troppo stanco per combattere ancora. Mi hanno strappato le unghia e al loro posto mi hanno messo dei chiodi, mi hanno fatto sedere su una sedia piena di spuntoni, ma domani, per la prima volta dirò chi sono e che cosa ho fatto, così che finalmente potrò morire.

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