"Il mio Esame di Stato 2020"

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Ho iniziato a pubblicare miei articoli in questa raccolta con l'intento di trattare argomenti riguardanti il femminismo intersezionale, cinema e simili (come si evince dal titolo della stessa). Adesso, però, ho deciso di "fare uno strappo alla regola" e dedicare spazio ad un tema che mi è molto caro in quanto mi ha coinvolto in prima persona.

Attualmente ho 19 anni e, come molti studenti e studentesse, a giugno dell'anno corrente ho sostenuto il mio esame di maturità. La prima (e si spera anche l'ultima) maturità in piena pandemia. In merito ci sono stati molti pareri, tra loro anche contrastanti e altrettante sono state le ipotesi sulle modalità in cui si sarebbe svolta. Il mio intento oggi è quello di esprimere le mie considerazioni su quella che è stata la mia personale esperienza non soltanto riguardo al momento di per sé dell'esame, ma su tutto il percorso scolastico affrontato in condizioni così particolari. Credo, inoltre, che sia importante che a parlarne sia una persona uscita dall'ambiente scolastico (ovviamente mi riferisco ai cicli di anni della scuola dell'obbligo) poiché nessuno aveva idea di come sarebbero andate le cose, quindi sarebbe utile darne un quadro generale a posteriori in modo tale da riflettere sul ruolo che deve avere la scuola e sullo sguardo della società nei confronti dei giovani.

Premetto che vivo in un piccolo paesino in Puglia e non siamo stati colpiti dal virus così duramente come in altre parti d'Italia e, fortunatamente, non ho perso nessuno a causa del covid. All'inizio della chiusura, ancora temporanea, di tutte le scuole io e i miei compagni di classe l'abbiamo presa come se fosse un'inaspettata vacanza di 15 giorni. Avevo molto tempo per me stessa: mi alzavo ad un orario decente (e non più alle 6.30), riuscivo a fare una colazione normale, studiavo con più calma (vale a dire senza l'ansia delle verifiche) e in certi casi anche di più del solito, avevo più tempo per vedere film e anche per allenarmi in casa. Col senno di poi, sorrido ricordando un  pomeriggio in cui pensai bene di portarmi avanti con la traduzione dell'epistola 47 di Seneca per non perdere la mano con la traduzione e in vista dell'interrogazione che supponevo mi aspettasse al rientro. Dopo quasi un mese di assoluta mancanza di lezioni, iniziò con molta difficoltà la Didattica A Distanza. Presi sempre più coscienza della gravità della situazione a partire dal puntuale giro dell'altoparlante della Protezione Civile che passava per ripeterci di rimanere in casa. Vedevo mio padre, maresciallo dei carabinieri, sempre più preoccupato di poter infettarci. Le lezioni non sono state le stesse. Eravamo abituati ad un rapporto molto particolare con i nostri insegnanti. Con la nostra professoressa di latino eravamo abituati alla riflessione e al confronto, aspetto che riteneva fondamentale e a cui cercò di non rinunciarci, purtroppo con scarsi successi. La mia professoressa di storia dell'arte è stata per tutti noi, durante questi tre anni, una persona con cui confrontarsi e talvolta anche scherzare. Ma a perdere di più è stato il nostro rapporto col professore di filosofia. Per noi è sempre stato (ed è ancora) un maestro: allontanandosi il più possibile dall'aspetto istituzionale del suo ruolo, era interessato a conoscerci in quanto persone e ad insegnarci a pensare con la nostra testa, a sviluppare in noi senso critico (inteso in termini kantiani), insomma (per coloro i quali hanno familiarità con i termini filosofici) ad indicarci la via per uscire dallo stato di minorità. Personalmente il mio rapporto con quest'ultimo è stato complicato. Lo ammiravo così tanto da temere di potergli dare una visione sbagliata di me stessa e quindi mi sono completamente chiusa a riccio nei suoi confronti. Per quasi tre anni non gli ho rivolto la parola se non per il minimo necessario, quando in classe poneva domande sull'argomento di cui stava parlando, io dicevo le risposte sottovoce in modo tale che mi potesse sentire solo la mia vicina di banco le quali, la stragrande maggioranza delle volte, erano corrette. Eppure non riuscivo a dirle ad alta voce, bloccata dalla paura che potesse essere errata e che il mio professore avrebbe potuto pensare così che non fossi abbastanza intelligente. Con la DAD questa lontananza si è fatta ancora più forte. A tutti noi era stata tolta la possibilità di partecipare e assistere a quelle lunghe conversazioni di filosofia a cui eravamo legati ed anche il professore stesso risentì della situazione, come ci disse, poiché era sinceramente affezionato a noi e non poteva parlarci o scherzare allo stesso modo di come avveniva in classe. Il lato umano della scuola era venuto irrimediabilmente a mancare. Ci è stata tolta la parte della scuola che più ci forma, non come forza lavoro e contenitori di competenze, ma come persone, quella parte fondamentale per nutrire e dare linfa alla nostra interiorità attraverso il confronto con persone che hanno più esperienza da trasmetterci. Ho frequentato cinque anni di liceo classico e il mio percorso di studi si è basato proprio su questo aspetto: perché studiare la cultura latina e greca, la letteratura, la filosofia e l'arte se non per dare forma alla persona che voglio essere, consapevole di ciò che succede, libera da pensieri e credenze preconfezionati e attiva nel mondo?

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