𝕴𝖓𝖙𝖊𝖗𝖗𝖚𝖟𝖎𝖔𝖓𝖎

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Quell'atmosfera pareva solida come l'acciaio argenteo, flessibile come la morbida gomma.
Sembrava impossibile da spezzare.

Eppure, fra la travolgente unione delle nostre anime si introdusse un leggero sibilo. Il tipo di suono che emettono le ruote di una grande macchina sfrigolando sul terreno.
Degli schizzi gelidi inumidirono gli orli dei nostri pantaloni.

Poi successe tutto molto velocemente.

Sebastian si ritrasse.
Sussultò come se qualcuno lo avesse appena schiaffeggiato.
Scivolò verso l'estremità della panchina opposta alla mia.

Gli lanciai uno sguardo confuso.
Avvertivo le labbra ancora formicolare nel piacevole ricordo tattile di quel bacio.
Le arricciai in una piccola smorfia, che in un'altra situazione sarebbe potuta risultare buffa.

Il mio petto si muoveva ancora a un ritmo irregolare, sotto la morbida maglia di cotone. Una lieve foschia bianca di annebiante lussuria si era posata sulle mie capacità cognitive.

Scossi la testa.
Un vago gesto. Riuscii a riportare chiarezza fra le idee che stavano tentando, irriverenti, di attirare la mia reduce attenzione.

«Che c'è?» Annaspai, percorrendo la sua delineata figura con iridi marine colme di imbarazzo.
Nonché grande perplessità.
Non mi guardò, quasi ad autoimporsi delle catene i cui motivi ancora non riuscivo a individuare.

«Niente» rispose schivo.
Riccioli attaccati alla fronte, disordinati sugli occhi. Il vento era delicato, contaminato dalla debole umidità.
Unica, accompagnata solo dalla tempesta nel mio cuore, reminiscenza della pioggia da poco trascorsa.

«È stato un errore. Da parte mia, intendo. Non posso» proseguì, arruffandosi ulteriormente i riccioli con i polpastrelli nel tentativo di sistemarli.
«Sei solo turbata, devi esserlo. Non possiamo».

Le mie labbra erano bollenti.
Si schiusero, sul punto di lasciar sfuggire un'ulteriore replica, ma nessun suono riuscì a compiere l'impresa, perendo sul nascere.

Mi celava ancora il suo sguardo.
Io volevo studiarlo, capire.
Perlustrare quelle pozze di grigio sarebbe equivalso a un libero accesso al suo cuore.

Anche se non mi era affatto necessario per la comprensione delle menzogne contenute nelle sue poche parole.

Senza permettere ulteriori indugi, Sebastian si alzò.
Con passo lento prese a camminare verso casa mia.
Lo seguii come, infatti, i miei piedi parvero constringermi a fare.

Il silenzio appesantì l'atmosfera.
La nostra meta si avvicinava.
Nessuno dei due ebbe il coraggio di affrontare il mostro possente che era, ai miei occhi, l'ignoto.

Non dovetti, a ogni modo, attendere molto perché qualcuno giungesse a salvarmi.

Non appena i miei occhi si posarono sul profilo della familiare costruzione dalle pareti rossicce, mi ritrovai stretta nella soffocante morsa delle braccia fragili di mia madre.
Non mancò di arricciare il naso al mio odore poco piacevole.

I sensi di colpa soppressi riaffiorarono. Ricordai il mio infantile comportamento.
Fui lieta di aver terminato le lacrime, ciò fece in modo che non solcassero nuovamente il mio viso.

Sciogliemmo, poi, quel forte abbraccio improvvisato.
Non ci intrattenemmo ulteriormente in strada. Ci dirigemmo all'interno della casa, l'aria era totalmente differente rispetto a quella esterna.

Mia madre, allora, lanciò un perplesso sguardo verso Sebastian.
Alla ricerca di qualche genere di aiuto, si rivolse a me, esitante: «Perché non vai a lavarti?».
Si sedette al tavolo, passando sulla superficie levigata le mani pallide e ben curate «Ti aspetto qui».

ℭ𝔞𝔭𝔭𝔲𝔠𝔠𝔢𝔱𝔱𝔬 ℜ𝔬𝔰𝔰𝔬 𝔈 ℑ𝔩 𝔏𝔲𝔭𝔬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora