Capitolo 12 - Il regno dei morti

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Clare
Ero seduta in un corridoio in pietra grigia, su una panca di marmo. Il tempio del Tharvar era ampio e bianco, come un vero e proprio tempio greco. Aveva colonne decorate con bassorilievi in cui venivano raffigurati eroi di battaglie vinte, mentre schiacciavano con un piede il nemico sconfitto e alzavano vittoriosi la spada al cielo. Li osservai mentre la mia gamba sinistra iniziava a tremare dall'ansia. Guardai gli eroi e i riflessi della luce sulle colonna: lunghi raggi bianchi che andavano ad adagiarsi su enormi massi bianchi.
Una porta di legno massiccio si aprì infondo al corridoio facendomi sobbalzare. Luna uscì dalla sala del consiglio con passo svelto e mi alzai per sentire cosa avesse da dire. "Cosa ti hanno chiesto?" Le chiesi notando il suo sguardo arrabbiato. "Luna, cosa ti hanno detto?"
"Vogliono punirci." Disse lei sbuffando. "A quanto pare portare un mortale nel Tharvar è diventato, improvvisamente, il primo divieto di questo posto. Manco in paradiso la giustizia viene seguita." Mi guardò e sospirò nel vedermi agitata. Mi prese per le spalle e ci sfregò le mani sopra. "Ti chiederanno chi era la mortale, tu dì il nome. Rispondi sinceramente a ogni domanda, non fare giochetti o bugie, loro lo sapranno subito quando smetti di dire la verità. Hai capito?" Annuii.
Appena Nicole se n'era andata, sparendo nel buio, i conservatori ci avevano circondate, portandoci in delle piccole celle sotterranee del tempio. Ci avevano tenute lì per due giorni, senza cibo e poca acqua. Ora ci avrebbero processate una per una: avevano iniziato da Minerva. L'avevano distrutta ed era tornata a casa piangendo, passando prima dalle celle per salutarmi. Mi raccontò di cosa doveva scontare per i suoi crimini: guardare per una settimana la presunta morte di Lucas e indebolirsi dal dolore.
I conservatori del Tharvar erano molto severi riguardo alle leggi. Non ne avevano create molte apposta, in modo tale che tutti le potessero seguire. Ma ad ogni azione c'è sempre una conseguenza, e in quel posto paradisiaco se non rispettavi una legge, venivi processato e, se considerato colpevole, condannato. La pena più comune era guardare un proprio caro morire, ma la parte straziante era che non potevi indovinare quando quella morte sarebbe avvenuta. Un'altra pena, probabilmente la preferita dei conservatori, era quella di andare a far visita a un proprio caro mentre il dolore lo stava consumando. Avevi solo qualche secondo di tempo, giusto per salutarlo e poi ti tiravano via, facendoti tornare poche ore dopo, uccidendo completamente il parente dal dolore.
"Ti hanno condannata?" Chiesi a Luna cercando di usare un tono calmo.
"Così come hanno condannato Minerva e condanneranno te. A Minerva hanno detto che guarderà il modo in cui il suo amore morirà, te non si sa ancora e io non potrò avvicinarmi al lago per un paio di giorni."
Il lago. L'unico oggetto presente nel Tharvar che ti poteva mettere in contatto con i vivi. Bastava che scivolare dentro l'acqua e comparivi davanti alla persona desiderata, sotto forma di spirito. Per il parente non eri nient'altro che una visione, ma il divieto di andarci non era mai stato usato come pena. Quasi mi irritò nel sentire una pena così semplice per Luna, dopotutto eravamo in quella situazione a causa sua.
"Jennifer Grough!" La porta di legno massiccio si riaprì e un vice-conservatore, vestito con una tunica di lino grigia si affacciò nel corridoio. Lo guardai mentre nascondeva le mani nelle maniche e salutai Luna con un cenno del viso.
Attraversai a testa alta il corridoio ed entrai nella sala del consiglio. Una copia identica di un teatro greco, con tanto di pietre consumate dai troppi passi. Al centro c'era una sedia di marmo. Dove nell'antica Grecia era considerato il palco, ora erano seduti i nove conservatori della città. Quattro uomini e cinque donne. Il capo Katuli, una donna dai lunghi capelli argentati, sedeva in mezzo a tutti ed era l'unica che non teneva il cappuccio in testa. Sugli appalti, migliaia di persone vestite uguali a me mi osservavano commentando. Ogni cittadino aveva la possibilità di assistere ai processi, per vedere cosa sarebbe andato in contro se avesse violato la stessa legge dell'imputato. Metà città era venuta al mio processo, e tutti sembravano entusiasti di sentire la mia condanna.
"Jennifer Grough." Disse Katuli guardandomi con due occhi completamente bianchi. Mi indicò la sedia davanti a loro e andai a sedermi con passo lento, senza togliere lo sguardo dal capo-conservatore. "Jennifer Grough." Ripetè lei. Nel Tharvar nessuno mi aveva mai nominata Clarissa, tutti mi conoscevano e chiamavano col mio nome di battesimo, quello che mi era stato tolto da bambina. "Prima del tuo nome, figlia di Sebastian Grough ed Alicia Scarlet, non-più Suprema del giorno. Ti riconosci in questi titoli?"
"Si signora." Appoggiai le mani ai braccioli e tesi i muscoli della mandibola: volevo sembrare forte e che avrei sopportato qualunque pena. Katuli alzò un vecchio foglio di pergamena e lo posò da parte, sollevandone leggermente un altro. Nonostante la sua cecità, e i suoi occhi bianchi, i conservatori erano comunque in grado di leggere. Avevano sviluppato ogni altro senso e si affidavano per lo più al loro istinto, il quale non li tradiva mai.
"Sei cosciente di aver portato un mortale nel Tharvar?" Chiese continuando a guardare il foglio.
"Si signora."
"E sei cosciente del fatto che hai violato la prima legge della nostra città?" Non risposi, quello non era vero. Portare un mortale non era mai stato un divieto: poteva fare visita, pagando il prezzo di non poter tornare mai più, ma non gli era mai stata negata la possibilità di vedere il Tharvar prima della sua morte.
Katuli abbassò il foglio e mi guardò con i suoi occhi bianchi. Sentivo il suo fiato sul collo, ma non entrò nella mia testa. Non ne aveva bisogno. Non erano mai stati i tipi da penetrare nelle menti degli imputati per costringerli a confessare, la vista del bianco negli occhi bastava e avanzava.
"Ne sei cosciente?" Dagli appalti si alzò un leggero brusio. Si erano zittiti appena Katuli aveva cominciato e iniziavano ad irritarmi sin da subito.
"Si signora." Dissi in un soffio. Il sudore iniziò a scendermi dalla fronte e cercai di mantenere lo sguardo duro. Katuli riprese il foglio e lo fissò di nuovo mentre parlava.
"Quale era il nome della mortale?"
"Nicole Zanna Rossa."
"Siete cosciente del fatto che non potrà più tornare in questo posto alla sua morte? E che dovrà andare nel Regno della Notte?"
"Si signora."
"Perché la ragazza era qui?" Abbassò di nuovo il foglio e si protese in avanti. Sentii altro sudore colarmi sulla tempia mentre le voci dietro di me aumentavano.
"Non aveva ancora fatto questa domanda." Sussurrò qualcuno. Cercai di vedere chi era, ruotando gli occhi, ma la testa mi rimase ferma e tornai su Katuli.
"Non ne ho idea, signora. Non ho organizzato io la sua visita." Dissi. Katuli rivolse lo sguardo verso un altro vice che mi osservava con due grandi occhi verdi. Quel vice era la macchina della verità: i suoi occhi diventavano verdi se dicevi il vero e rossi se dicevi il falso. Gli guardai la tunica, dove una grossa targa nera, scritta in greco, che gli marcava il petto. Verità. Quello era il suo nome, e lo aveva scritto in greco sulla targa. Katuli gli rivolse gli occhi bianchi e Verità la guardò per confermarle ciò che avevo detto, poi tornò a parlarmi.
"Ma voi ci avete parlato, con la mortale?" Chiese incrociando le dita delle mani davanti a lei.
"Si."
"E cosa vi siete dette?" Aspettai a rispondere. Sapere cosa stava succedendo al mondo esterno era uno dei divieti più alti, e la pena sarebbe stata l'isolamento eterno: non avrei potuto avere più contatti con nessuno e mi sarei dovuta sfamare da sola, nella foresta. Mi avrebbero rinchiusa lì, nei piccoli meandri dove la foresta si faceva talmente fitta che neanche la luce bianca riusciva ad entrare tra gli alberi.
"Nulla che potesse cambiare le mie sorti." Dissi alla fine. Guardai Verità e Katuli si chinò di nuovo su di lui. Sospirai quando vidi che i suoi occhi rimasero verdi. Avevo cercato di giocarmela con le parole e aveva funzionato, tuttavia non mi sarebbe andata bene per una seconda volta: Katuli era troppo furba.
"Ti ha rivelato qualcosa riguardo la tua vita precedente?"
"No."
"E allora cosa ti ha detto?"
"Mi ha parlato di Alicia." Un alto mormorio continuo si alzò dietro di me e non ce la feci più. Mi alzai dalla sedia e guardai gli appalti mentre le voci aumentavano di volume. "Chiudete quelle bocche!" Urlai e tutti si ammutolirono, spalancando gli occhi. Tornai a sedermi e aspettai che Katuli continuasse.
"Tuttavia Alicia riguarda la tua vita precedente. Lo confermi?"
"No, non..." gli occhi di verità diventarono improvvisamente rossi e lui chiamò Katuli tirandole delicatamente la manica. Il capo-conservatore lo osservò e mi guardò con durezza e rabbia.
"Non mentire Grough!" Disse seria. Un leggero vento fresco si alzò nella stanza e il suo cappuccio svolazzò dietro le sue spalle.
"Non sto mentendo!"
"Ti ha detto qualcosa di Alicia che ti coinvolgeva mentre eri ancora viva, neghi?" Aveva un tono alto.
"Si." Esclamai e gli occhi di verità diventarono ancora più rossi. Katuli era furiosa, si alzò e il vento aumentò di punto in bianco diventando forte e duro.
"Smettila di mentire!" urlò. Non potevo permettermi un'altra bugia, non avrei potuto neanche immaginare cosa mi avrebbero fatto. Sentii tutti dietro di me correre via urlando dalla paura, ma la loro assenza non mi placò.
"Sei venuta a conoscenza di fatti dell'altro mondo?" Urlò di nuovo Katuli.
"No." Risposi senza pensare e firmai la mia condanna. Katuli alzò le mani e una luce bianca si estese dietro di lei, facendole assumere il colore del metallo e i due occhi scuri si formarono nel bianco.
"Bugiarda!" Urlò con la voce alterata. "Ti sei firmata da sola la tua condanna. Jennifer Grough, io ti condanno ad andare a visitare tuo padre Sebastian, facendogli credere che tu sia ancora viva.  Per due settimane. Lo distruggerai dal dolore in modo che tu capisca che in questo posto non bisogna mentire.  Ora esci." Non mi mossi. "Fuori!" Rimasi ferma dalla paura. "Fuooooriiii!"
Un vento mi fece sollevare dalla sedia e mi trascino fuori dalla stanza. Nel corridoio la porta di legno massiccio si chiuse con un tonfo e mi tirai su con fatica, facendo placare un paio di dolori alla schiena.
Tornai a casa, in una piccola strada uguale a tutte le altre. Prima della mia c'era quella di Luna e passai sotto la finestra del suo soggiorno aperta.
"Vieni presto!" Stava dicendo. "Sei la mia unica speranza!" Non ci feci caso e continuai a camminare. Le case in quel posto erano tutte uguali: base di pietre con tetto di legno, simili a baite di montagna. Gli interni erano semplici tanto quanto l'esterno: al piano terra la stanza si divideva in un salotto e una cucina, una scala portava ai piani di sopra dove c'era la camera da letto, il bagno e una piccola dispensa.
Non passai molto tempo nella mia casetta, pochi minuti dopo due guardie dei conservatori mi vennero a prendere e mi riportarono al tempio del Tharvar. Entrambi erano vestiti con delle armature bianche e splendenti. Gli elmi erano coronati da un lungo crine di cavallo color del latte e portavano una lancia di puro argento, anche se non la utilizzavano mai: non c'era criminalità in paradiso.
Mi afferrarono per le braccia e mi trascinarono dolcemente. Potevo leggere tranquillamente la loro esaltazione che avevano negli occhi. Come minimo era il loro primo incarico in assoluto da quando erano stati nominati guardie dei conservatori. Quest'ultime creature, quelle che controllavano il Tharvar, erano considerati come degli Dei, nessuno sapeva da dove fossero spuntati né che tipo di vita avessero avuto precedentemente. In molti avevano cercato di capirlo, ma nessuno aveva trovato riposte, l'unica scoperta fu che i loro fascicoli, con i loro segreti, li tenevano sempre con loro e alcuni pensavano che ci dormissero pure assieme. Da lì il termine conservatori.
Attraversammo la stradina della mia casetta e sentii Luna pronunciare altre parole, troppo velocemente perché io le capissi. Non avevo più rivisto Minerva da quando avevano finito di processarla.
Attraversammo la strada principale e molti sguardi si girarono su di me. Nessuno osò commentare, era una cosa troppo nuova per quel posto: vedere qualcuno essere trascinato al tempio dalle guardie. Rimasero tutti immobili a fissare, a una donna cadde il cesto di frutta che aveva tra le mani e subito due uomini corsero ad aiutarla.
Altre due guardie stavano davanti al portone d'oro chiuso. All'unisono si girarono e tirarono due leve, le due enormi porte si aprirono con un boato e una volta che venni trascinata dentro, il portone si richiuse con lo stesso suono.
Davanti a me c'era un corridoio di pietra lievemente illuminato. Era profondo almeno dieci piedi e si concludeva con una forma ovale. Laggiù, incastrato nella forma del cerchio, Katuli stava in piedi dritta, lo sguardo basso e le mani nascoste nelle maniche. Altri due conservatori stavano ai suoi fianchi e le guardie mi spinsero verso di loro.
"Jennifer Grough." Esclamò Katuli senza distogliere lo sguardo da terra. "Sei stata condannata a fare visita a tuo padre per due settimane. Ora verrai con noi al lago della vita e inizierai la tua condanna."
Sentii i passi delle guardie dietro di me che si allontanavano lentamente e i tre conservatori si avviarono verso un corridoio sulla destra. Li seguii e i conservatori che stavano ai lati di Katuli arretrarono, lasciandomi nel mezzo.
Uscimmo da una porta piccola, nascosta tra le mura bianche del tempio, davanti a noi una prateria che sembrava infinita, dove gli animali più esotici stavano pascolando: zebre, giraffe, ma anche cavalli e lepri. Erano mescolati tra di loro e non sembravano risentire della diversità del loro clima naturale. Oltre quell'immensa prateria, oltre tutti quegli animali c'era la foresta. Ella tagliava a metà il regno, costeggiandolo su un fianco. Partiva dal cancello e girava tutto attorno alla città col tempio, oltre ad essa non era permesso andarci, oltre ad essa c'era il Regno della Notte.
Katuli camminò in mezzo a loro e cercai di mantenere il passo, seguendo esattamente la sua andatura. Destra. Sinistra. Destra. Sinistra. Passammo in mezzo a un branco di cervi che si stava abbeverando a un piccolo lago in cui l'acqua non finiva mai, una giraffa ci tagliò la strada per andare a cibarsi delle foglie su un albero, ma Katuli non si fermò, si chinò e le passò sotto lo stomaco. La imitai e poco dopo due piccole lepri mi saltarono sui piedi, ignorandomi e continuando con la loro corsa. Guardai ogni animale con stupore: vederli così liberi era meraviglioso.
Lentamente la foresta si avvicinò a noi e Katuli si addentrò al suo interno. Man mano che ci avvicinavamo al centro al luce spariva sempre di più. Gli alberi erano sempre più fitti e le radici uscivano dal terreno complicando il passaggio sul sentiero. L'erba cresceva a ogni metro e l'unico percorso che si percepiva era l'erba alta schiacciata dai numerosi passi.
Quando arrivammo al centro, la luce era talmente bassa da sembrare notte. Alzai lo sguardo e scorsi il Regno della Notte, laggiù la luna non tramontava mai. Erano nella notte perenne e delle urla salivano dalla città in fiamme, fuoco che bruciava persone e case, ma senza devastarle per poterle torturare in eterno.
"Vieni." Disse Katuli. Guardai i suoi occhi bianchi mentre si posavano su un lago a forma di cerchio perfetto. Il terreno era melmoso sul contorno, ma appena l'acqua lo sfiorava si creava in mattonelle. Mattonelle che al buio sembravano essere color del cielo, spaccato a metà dal giorno e dalla notte, e il riflesso di alcune stelle si rifletteva sul lato notturno, là dove gli alberi non potevano coprirlo.
"Entra."
Guardai Katuli e rimasi ferma. Lei mi indicò il centro del lago e uno dei due conservatori mi spinse verso di esso. Mi girai a guardarlo con rabbia per un secondo poi entrai lentamente nel lago. Le mattonelle non erano scivolose, né ricoperte da qualche melma o alga. Sentii la gonna alzarsi sull'acqua e dei cerchi andarono a frastagliare quelle poche stelle riflesse. Mi fermai a pochi passi dal centro, dove l'acqua mi arrivava sotto le vita. Katuli pronunciò delle parole in greco e una luce bianca riempì l'acqua davanti a me: Sebastian era accucciato su un pavimento grigio e accanto a lui Lucas gli stava per posare una mano sulla spalla. Entrambi si muovevano lentamente, Sebastian si dondolava come se fosse su una sedia a dondolo e la mano di Lucas sembrava stesse accarezzando l'aria.
L'ansia mi invase il corpo, cosa avrei dovuto dirgli? Avrebbero potuto scegliere chiunque, perché proprio mio padre? Avrebbero potuto scegliere Adele, Walter, persino Seamus, tutti avrebbero retto quelle che avrebbero considerato allucinazioni, Sebastian però sembrava già averle senza che io andassi laggiù.
Diedi le spalle alla luce e tornai a guardare gli occhi di Katuli, ella stava rimettendo le mani nelle maniche e gli altri due conservatori la raggiunsero al suo fianco, rimanendo tuttavia un passo indietro.
"Hai cinque secondi." Disse Katuli e i suoi occhi bianchi brillarono fino ad accecarmi. Misi un piede indietro per non perdere l'equilibrio, ma tutto ciò che la suola del mio sandalo incontrò fu il vuoto. Mi lasciai cadere nell'acqua e mi sentii soffocare, una luce bianca mi avvolse e subito dell'aria nuova mi invase i polmoni.
Sbattei gli occhi e quando li riaprii ero nella mia stanza alla villa. Mio padre che guardava Lucas mentre si schiacciava sull'armadio. Sotto di esso, nascosti tra le piccole assi di legno della base, c'erano nascosti gli zaffiri e le undici scatole.
Le scatole.
Quelle tredici scatole che Sebastian aveva creato per tenersi in vita, le stesse scatole che durante il mio primo anno di scuola avevo così tanto cercato di distruggere perché credevo che il cattivo fosse lui.
Lanciai un veloce sguardo al letto e vidi il mio corpo giacere su di esso. Mi avevano messo un vestito nero che mi arrivava poco sopra le ginocchia, le mie guance erano scavate e i capelli scoloriti.
"Sei tornata!" La voce di Sebastian mi costrinse a guardarlo mentre si staccava da Lucas. "Sapevo che saresti tornata." Allungò una mano verso di me, ma non gliela afferrai.
C'era una luce dietro di me, molto potente e accecante, lo percepivo dalla mia ombra sulle pareti. Sebastian non la sopportava, le guance iniziarono e tremargli e una lacrima gli scese dal dolore.
"Non c'è nessuno Seb." Disse Lucas. Non sapevo cosa dire, cosa fare. Sentivo i secondi scivolarmi dalle mani e dovevo agire in fretta, anche se sarebbe stato doloroso.
"Ciao papà." Sussurrai sentendo gli occhi riempirsi subito di lacrime. Sentii uno strappo crearsi pian piano nel petto: era più duro del previsto.
"Piccola mia, perché non torni?" Disse mio padre continuando a piangere.
"Non posso. Perdonami. " le lacrime scesero, il respiro mi si mozzò e lo squarcio aumentò ancora e ancora e ancora. "Ma non sei contento di rivedermi?" Non c'era motivo di quella domanda, ma la mia gola bruciava e le parole mi uscirono con un acuto di dolore.
"Sì, certo che sono contento di vederti, ma mi machi così tanto. Torna da me!" Allungai la mano e cercai di prendere la sua, ma le mie dita oltrepassarono le sue e l'unica cosa che afferrai fu la polvere che si alzava dal pavimento.
"Sebastian la stanza è vuota!" Disse Lucas. Mai mi sarei aspettata di vederlo, e soprattutto mai di vedere colui che si era finto il mio vero padre accanto a colui da cui mi aveva strappata. Lucas era stata la fonte del dolore di mia madre per molti anni, forse, se mi avesse lasciata con loro tutto questo non sarebbe successo.
No. Tutto sarebbe successo comunque. Le tenebre si nascondevano nei meandri più cupi del cuore di Alicia. C'erano sempre state e stavano aspettando solo il momento giusto per balzare fuori, ma cosa le aveva spinte ad uscire? La storia di Alicia era un mistero, non si conosceva né il nome della madre né il nome del padre. Non si sapeva dove fosse cresciuta, come fosse arrivata alla Death Academy. Nessuno sapeva niente.
"È tempo." Katuli dietro di me mi richiamò. Mi sentii avvolgere alla vita mentre mio padre si girava verso Lucas, una volta che sarebbe tornato a cercarmi con lo sguardo non mi avrebbe trovata, avrebbe creduto di avere avuto un'allucinazione. Nient'altro.
Riemersi dalle acque nella stessa posizione in cui ero caduta. I miei capelli erano asciutti e i piedi saldi sulle mattonelle. Uscii dal lago e i miei vestiti si asciugavano non appena uscivano dall'acqua.
I conservatori mi riportarono a casa, Minerva mi stava aspettando sulla soglia e la luce del Tharvar mi provocò una bruciatura agli occhi tale che li dovevo tenere socchiusi.
"Sangue, nella tua casa, ora!" Ordinò Katuli a Minerva.
"Ma..." provò a ribattere lei.
"Niente ma! Via da qui!" Minerva non osò aggiungere nulla. Attraversò la strada e sparì nella sua piccola baita, identica alle altre.
Entrai in casa e la penombra del salotto mi fece riabituare gli occhi. Guardai i conservatori dietro di me e se ne andarono senza dire una parola.

Clarissa Sangue e il Velocista d'Argento || VOLUME 3Where stories live. Discover now