Prologo Rosso e oro - Il silenzio va rotto a turni.

681 31 4
                                    


Silenzio.

Aveva preso piede in modo lento, strascicato, quando l'ultima risatina di circostanza si era spenta nell'aria: era piombato fra di loro – incredibile a dirsi e a pensarsi – urlando parole non dette e cose non fatte, immobilizzandoli dalla testa ai piedi.

Hermione Jean Granger aveva le guance chiazzate di imbarazzo, lo sguardo ballerino che saettava da una parte all'altra dello scompartimento, piuttosto che inciampare negli occhi dei suoi compagni.

Compagni: per lei quella parola non aveva mai avuto un significato comune, per lei i suoi compagni di classe non si limitavano solo a quello. Affatto. Per lei erano sempre stati dei compagni per la vita, ed era una classificazione così pregnante di significato, da farle pesare ogni singolo secondo di quel maledetto silenzio.

Silenzio.

Parole non dette.

Azioni mai compiute.

Imbarazzo.

Erano stati degli stupidi, tutti quanti: stupidi. Ci si metteva anche lei, con tutte le scarpe, in mezzo a quella banda di scimuniti: perché – banale a dirsi – la guerra li aveva cambiati.

O meglio, la guerra aveva cambiato la loro vita.

Era successo che, qualche mattina dopo la mirabolante sconfitta di Voldemort, si erano ritrovati a pensare: "E adesso?".

Per ognuno di loro si erano aperte così tanti scenari possibili, così tante possibilità tra cui scegliere, che avevano perfino faticato a crederci: sette anni di guerra, intrighi, vite spinte al limite, che loro, di una vita normale, non sapevano proprio cosa farsene.

Hermione aveva smesso anni prima di pensare a cosa avrebbe voluto fare da grande, insomma, era stato un pensiero così infantile e minuscolo, in confronto a quello che si era sempre preparata a dover affrontare che, forse, non aveva nemmeno mai preso davvero in considerazione la questione.

Così abituati a fare gli adulti, si erano ritrovati a non sapere cosa cavolo volesse dire esserlo e, per di più, cosa fare delle loro vite! E pensare che, fino a una manciata di giorni prima, non sapevano nemmeno se sarebbero arrivati vivi a fine giornata.

Avevano intrapreso discorsi confusi circa quello che gli sarebbe piaciuto fare: un bel viaggio in una terra lontana, iniziare l'addestramento da Auror, organizzare una festa tra amici, prendere la patente, diventar un giocatore di Quiddich famoso in tutto il mondo. Insomma, erano regrediti allo stadio "da grande voglio fare l'astronauta".

Avevano riso tanto, tra le lacrime e la confusione, cercando di rimettere insieme i pezzi di una vita vissuta allo sbaraglio: "ci penseremo più avanti" aveva detto Harry, ma quello che intendeva era solo "ci penseremo dopo i funerali".

Ah, i funerali.

La Commemorazione Comune, grande cerimonia in onore dei caduti in guerra, tante belle parole che celavano l'ingiustizia di tutto quello che era accaduto.

Persero la vita trecento sette persone quella notte.

I corpi degli studenti vennero restituiti alle famiglie, quelli degli Auror e di coloro che non avevano più familiari, vennero bruciati su delle pire commemorative: decine e decine di fuochi accesero il giardino di Hogwarts, creando una nube di fumo senza fine.

Poi giunse il turno di Remus e Tonks, seppelliti accanto ai genitori di Harry, uniti per sempre da un destino simile e crudele: fu straziante osservare le due bare bianche calare nella fossa che le avrebbe inghiottite per il resto dell'eternità.

SpigoliWhere stories live. Discover now