1.1 ┃ ACQUA

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La prima impressione che le diede Erebo fu che fosse troppo asciutto.

No, Leuce non era abituata a quel clima secco. Era nata nella corte di Poseidone da una delle sue etere, giusto una manciata di anni prima, e lì era rimasta per tutta la sua breve vita. Le piaceva quella corte. C'erano fontane decorative, piscine per nuotare e bagni termali caldi in tutta la reggia; da quelle polle d'acqua di diverso uso proveniva un incessante vapor acqueo, più intenso nelle vasche calde ma non meno pungente anche nelle zone fredde. Tutto era sempre umido, nella casa di Poseidone. Un leggero strato di verde perenne impregnava ogni muro, ogni colonna, ogni bassorilievo. E i capelli di Leuce, di natura lisci, erano quasi sempre un groviglio mosso.

Non le dispiaceva, comunque. Amava quell'umidità. Era come toccare sempre acqua, in qualche modo. E per una ninfa oceanina l'acqua è vita, la vita è acqua.

Ecco perché non le piacque molto Erebo, appena vi approdò insieme a mezza corte di Poseidone, in visita dal fratello per diplomazia e per piacere personale. Il fatto che fosse buio e freddo, cosa che pareva infastidire maggiormente gli umani, non le dava così fastidio. Ma in compenso si sentiva seccare la pelle. Aveva paura di andare in frantumi, o sbriciolarsi. Non era come casa sua, no davvero.

Ebbe modo di visitare quella strana reggia abitata da creature infere di ogni genere. Anzi, a dire il vero, per la gran parte del tempo Leuce se ne stette a zonzo da sola, o con le sue amiche ninfe. La permanenza durò quattro giorni (anche se non avrebbe potuto giurarlo, a causa della staticità della luce... o meglio, la sua statica assenza). In quei quattro giorni, la giovane non aveva fatto altro che esplorare qui e là, o annoiarsi nelle camere degli ospiti, perché non era autorizzata a uscire in città, né a partecipare ai banchetti degli Dei e dei loro prossimi.

Non aveva nemmeno visto il padrone di casa.

O meglio, l'aveva adocchiato, da lontano, appena arrivata. Aveva accolto la delegazione immobile, avvolto in un chitone blu scuro, sulla soglia del palazzo. Anche lui era insieme ad una corte cospicua, affiancato da una donna dalla carnagione scura. Ma appena gli ospiti erano arrivati, Poseidone in testa, i due fratelli si erano abbracciati ed erano entrati per primi. Da quel momento in avanti, Leuce non aveva più visto né l'Inesorabile, né il suo proprio re.

La cosa le dava sollievo, per la verità. Non le era piaciuto, quel re scuro che chiamavano Ade. Le altre ninfe, e a volte anche il fratello, ne parlavano come un Dio schivo, duro e davvero di scarsissima empatia. Leuce non ci teneva ad averlo intorno. Nella sua limitata esperienza con gli Dei, si figurava fosse simile a Poseidone e Zeus nel corteggiamento aggressivo nei confronti delle donne, ma addirittura peggiore vista la serietà e il modo di fare intimidente.

A Leuce faceva paura. Non avrebbe voluto trovarsi sola con lui e le faceva pena la donna dalla pelle scura che aveva intravisto in sua compagnia. Era grata di non essere lei.

L'ultima sera, la giovane oceanina non vedeva l'ora di andarsene. Non che fosse stata così male, ma le mancava casa e si era annoiata molto. Voleva tornare alla sua quotidianità di timida femminilità, alle lontre nel gineceo che amava e di cui la sua preferita si chiamava Zoie. Voleva tornare al suo telaio, perché aveva lasciato incompiuto il suo primo abito serio, da donna adulta, che stava intessendo insieme a sua madre. Avrebbe fatto parte del suo corredo da sposa, perché il suo destino non era diventare etera (Poseidone non desiderava le sue figlie illegittime, per lo meno). Era un bel peplo color celeste e ricamato di onde sul bordo dell'himation. Non vedeva l'ora di finirlo. Avrebbe voluto averlo pronto e indossarlo quella sera, per il banchetto finale, cui avrebbero partecipato le corti intere. Purtroppo, doveva accontentarsi del peplo corto da ragazzina. Si vergognava un po' a portarlo, si vedeva le gambe non più adatte a essere mostrate.

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