VII CAPITOLO

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Partimmo presto per Edoras con gli stessi cavalli che il Cavaliere di Rohan ci aveva donato. Ombromanto, il cavallo di Gandalf, galoppava sempre in testa alla fila come a guidarci. Non era molta la strada che dovevamo percorrere, ma, nonostante questo, cavalcammo molto in fretta per arrivare alla corte del Re di Rohan il prima possibile. Lo Stregone sembrava impaziente di arrivare a destinazione. Un'aura negativa affliggeva il regno di Rohan e dovevamo intervenire presto. Come ci aveva comunicato il Cavaliere, Re Théoden era stato avvelenato da Saruman e doveva essere guarito. Cosa fare dopo, però? Come salvarsi dalla crudeltà dello Stregone Bianco? Come salvarsi dall'avanzata di distruzione delle sue armate? Per niente facile sarebbe stato combattere con gli Orchi. Non dovevamo, però, arrenderci al volere di Saruman e, di conseguenza, a quello di Sauron. Ormai era guerra aperta e dovevamo combatterla sino alla fine. Niente ci aveva fermati fino a quel momento e noi avremmo continuato quella nuova parte del nostro viaggio, della nostra impresa. Era tempo di salvare il popolo di Rohan dal fuoco e delle fiamme di quella. Era tempo di prepararlo alla battaglia che spettava tutti noi. Quella battaglia che solo Frodo sarebbe stato in grado di placare.
In quel viaggio dalla foresta di Fangorn pensai molto ai due Hobbit che erano fuggiti da soli verso Mordor. Mi chiesi se stessero bene e se avessero trovato una strada sicura per raggiungere il Monte Fato. Avevo l'occasione di rispondere da me ai miei quesiti, ma preferii non sapere. Mi concessi il beneficio del dubbio, immaginandomi i luoghi che stavano attraversando. Luoghi lontani centinaia di leghe da noi, luoghi che non sapevo se avremmo mai potuto vedere o no. Luoghi probabilmente sperduti e infestati da Orchi e creature malvagie. Non sapevamo, però, nulla. Non sapevamo come procedeva quel loro viaggio intricato e suicida. Non avremmo saputo nulla fino a se e quando lo Hobbit dai capelli ricci non avesse distrutto l'Anello e sconfitto definitivamente il Nemico.
Il nostro viaggio, comunque, non durò molto. Presto arrivammo a Edoras. Davanti alle porte della città, il vento potava via la bandiera nera con il cavallo al centro del regno di Rohan. Nessuno del popolo l'aveva probabilmente notata, nessuno si curava ormai di nulla. Con l'abbandono all'irrazionalità del Re, anche la gente comune l'aveva fatto. La loro guida non era ormai più una guida, tutti si sentivano smarriti in quelle terre abbandonate e quasi conquistate dal Male.
Passammo per le vie della città sotto gli occhi di tutti. Il popolo ci scrutava dalle finestre, dalle soglie delle porte, dal lavoro nei campi. Ci scrutava, speranzoso nel vederci salvare Re Théoden da quell'irrazionalità che l'aveva catturato. Quella cattiva strada buia in cui si trovava, lontana dalla retta via dell'intelletto.
Dall'alto della corte, una donna in una veste bianca e immacolata ci osservava arrivare. Sembrava di una purezza innata, che avevo potuto notare solo in Dama Galadriel. I capelli biondi che le ricadevano sulle spalle riflettevano la chiarezza della sua carnagione. Sembrava avesse previsto il nostro arrivo e ci stesse aspettando da molto tempo, anche lei speranzosa di veder guarire il Re. In un attimo, però, quella donna era sparita dal luogo da cui ci osservava passare tra le strette vie di Edoras.
Presto arrivammo davanti alle scale che ci avrebbero portati alle porte del palazzo del Re. Chiunque si fosse trovato per caso a Edoras senza sapere che aveva un Re al comando, non avrebbe mai pensato che quello fosse il suo palazzo. Era molto vuoto e inespressivo, lontano dal sembrare la corte di Re Théoden.
Mentre ancora salivamo le scale, sentimmo le porte del palazzo aprirsi. Ci ritrovammo presto davanti a molti Cavalieri del Re. Molti di questi indossavano un elmo sul capo che copriva la maggior parte del loro viso. Solo uno, a capo di tutto quell'esercito, era ben visibile in volto. Era ben più robusto rispetto agli altri Uomini attorno a lui. Aveva degli occhi profondi e molto cupi, ma i capelli di quel biondo quasi rosso brillavano ancora alla luce del sole. Fu il primo ed unico, però, a rivolgerci la parola.
Si rivolse soprattutto a Gandalf: "Non posso lasciarvi passare al cospetto di Re Théoden così armati", disse e lo Stregone rimase molto stupito. "Sull'ordine di Grima Vermilinguo".
Il nostro portavoce annuì al comando del Cavaliere del Re, con un volto comunque molto attonito. Si girò, poi, verso noi quattro e ci ordinò di fare ciò che ci era stato detto con uno sguardo. Molto riluttanti, allora, sfoderammo le nostre armi e le consegnammo ai soldati del Re col viso coperto dall'elmo. Aragorn si spogliò della sua spada e dei suoi pugnali, Legolas del suo arco, Gimli della sua ascia, alla quale era molto fedele, ed io consegnai loro i miei pugnali.
Il Cavaliere che si era rivolto a noi, guardò ancora Gandalf e, in particolar modo, il suo bastone. "Il tuo bastone", disse, ordinandogli di consegnarlo ad uno dei suoi uomini.
"Oh", sbuffò lo Stregone. "Non vorrai privare un povero vecchio del suo bastone da passeggio".
L'altro non disse più nulla, alzando gli occhi al cielo. Si girò poi verso le porte del palazzo di corte, facendo segno anche agli altri Cavalieri di seguirlo. I due portoni si aprirono di nuovo per lasciarci entrare al cospetto del Re di Rohan. Legolas offrì sostegno allo Stregone, che si appoggiò al suo braccio continuando comunque a camminare grazie al suo candido bastone. Entrammo a corte appena dietro il Cavaliere dai capelli biondi tendenti al rosso. Quest'ultimo si inchinò davanti a Re Théoden, che si presentò ben diverso da come l'avevo sempre immaginato: sembrava ben più anziano di Gandalf, con barba e capelli bianchi e molto lunghi. Sedeva sul suo trono, circondato da pareti scure e tappezzate di stendardi rappresentanti il simbolo del regno di Rohan. Una piccola corona circondava il suo capo, decorando il suo viso pallido e stanco, con occhi languidi e circondati da occhiaie gonfie e rosse.
Accanto al Re era seduto un Uomo dai capelli lunghi e neri. Aveva un volto bianco e oscuro allo stesso tempo, circondato da un'aura negativa e tenebrosa. Al nostro arrivo, quest'ultimo si avvicinò all'orecchio del Re per sussurrargli qualcosa.
"La cortesia del tuo palazzo è diminuita ultimamente, Re Théoden", disse lo Stregone, mentre avanzavamo al cospetto del Re di Rohan.
L'Uomo dai capelli neri si avvicinò ancora all'orecchio del Re per mormorare qualcosa che noi tutti non potevamo sentire. "Perché dovrei darti il benvenuto, Gandalf Corvotempesta?", chiese Théoden lentamente, faticando a pronunciare una sola parola.
"Una giusta domanda, mio signore", disse l'Uomo al servizio del Re, alzandosi per avvicinarsi a noi. "Tarda è l'ora in cui questo Stregone decide di arrivare. Lathspell lo chiamo io: il malaugurio è un cattivo ospite".
"Fai silenzio!", tuonò Gandalf, guardandolo con malevolenza. "Tieni la tua lingua forcuta tra i denti. Non ho attraversato fiamme e morte per scambiare parole inconsulte con un insulso verme".
L'altro lo guardò impaurito, notando il suo bastone puntato diretto nei suoi confronti. "Il bastone...", mormorò e poi si rivolse ai Cavalieri: "Vi avevo detto di prendere il bastone dello Stregone!"
In un attimo ci ritrovammo circondati dagli uomini del Re, combattendo contro di loro con le nostre stesse mani. Alcuni tentarono di sfoderare le spade, ma vennero fermati poiché noi eravamo disarmati. Difendevamo Gandalf da quell'ammasso di Cavalieri fedeli al volere di Re Théoden e, di conseguenza, a quello di Grima Vermilinguo, l'Uomo dai capelli neri e dal volto pallido.
"Théoden, figlio di Thengel", risuonarono le parole dello Stregone, "troppo a lungo sei rimasto nell'ombra".
Gli uomini del Re furono presto battuti e Gimli bloccò ogni possibile azione di Vermilinguo, tenendogli un piede fermo sul petto. "Starei fermo se fossi in te", gli disse tra i denti.
"Ascoltami!", ordinò Gandalf, ormai proprio davanti a Théoden. "Ti libero dall'incantesimo", protese una mano verso di lui, stringendo gli occhi e concentrando il suo potere per poter guarire il Re dalla magia di Saruman.
La risata del Re, però, risuonò in tutto il palazzo in quel momento. Tutti lo guardammo attoniti, anche Gandalf, convinti che quest'ultimo sarebbe riuscito a liberarlo una volta per tutte. "Non hai potere qui, Gandalf il Grigio", disse con voce allegra, riprendendo a ridere subito in quel modo crudele e orribile che mostrava i suoi denti sporchi e brutti.
Lo Stregone lo guardò, annuendo a ciò che diceva. Si tolse il mantello grigio che portava sulle spalle, mostrando nuovamente la sua veste immacolata. La luce accecante di questa illuminò tutta la stanza e il Re ne fu abbagliato, costretto e attaccato al suo trono. "Ti estirperò, Saruman, come un veleno viene estirpato da una ferita", si avvicinò sempre più al Re col suo bastone, puntandoglielo contro. Saruman lottava all'interno della mente di Re Théoden, ormai appioppatosi a quest'ultima come un insetto fastidioso.
Nel frattempo, vidi accorrere quella donna dall'abito candido, cercando di raggiungere il Re per aiutarlo.
La presi per un braccio, fermando la sua corsa verso il trono di Théoden. La tenni stretta a me per evitare che scappasse. "Aspettate", le dissi e lei non si divincolò, osservando la scena da lontano come noi stavamo facendo. Era di una bellezza inestimabile vista da vicino, con lineamenti morbidi e occhi di un colore chiaro e lucente.
La voce del Re si trasformò all'istante, mutando in quella che ci aveva scagliato incantesimi mentre avanzavamo sul Passo di Caradhras: era la voce di Saruman. "Se io me ne vado, Théoden morirà", disse, sorridendo crudelmente.
"Non hai ucciso me e non ucciderai lui", Gandalf mosse il suo bastone in avanti, facendo sbattere la testa del Re sullo schienale del suo trono.
"Rohan è mia", mormorò ancora Saruman.
La testa del Re venne ancora incollata al trono più violentemente. "Vattene", ordinò lo Stregone.
Il Re tentò ancora di combattere, alzandosi e lanciando un grido verso il suo avversario. Ciò che ricevette fu abbastanza per placare lo Stregone Bianco: il bastone di Gandalf toccò la fronte di Théoden e lo rimandò a sedere ormai definitivamente. Gandalf aveva il respiro affannoso e il Re gemeva, col capo chino pronto a cedere.
Lasciai andare la donna dalla veste candida, che tenevo ancora stretta a me, perché potesse aiutare il Re in difficoltà. Lei sorresse quest'ultimo, cercando di mantenerlo seduto sul suo stesso trono. Sollevò il viso per osservare meglio quello di lei e, pian piano, i suoi occhi si fecero sempre meno languidi, la sua barba meno folta e bianca, il suo volto meno stanco. Gli occhi tornarono del loro azzurro lucente, non contornati più da quelle occhiaie rosse e gonfie. I suoi capelli tornarono biondi, facendo risaltare la corona che gli circondava il capo.
In quel momento poté vedere meglio il volto della donna che lo aveva sorretto. "Conosco il tuo volto", mormorò e lei sorrise, mostrando occhi lucidi di lacrime di gioia. "Éowyn...", la chiamò, mentre lei gli metteva le mani attorno al viso. Tutti fummo sollevati dalla vista di quella scena, sollevati nel vedere il Re di Rohan tornato in sé e pronto a condurre il proprio popolo alla salvezza come aveva fatto fino a quel momento. Improvvisamente si girò verso lo Stregone e lo guardò stupito. "Gandalf..."
"Respira di nuovo l'aria libera, amico mio", gli disse, sorridendogli finalmente.
Con fatica e grazie all'aiuto di Éowyn, si alzò in piedi, facendo ancora una smorfia di dolore. "Cupi sono stati di recente i miei sogni", si rivolse a noi tutti, guardandosi poi le mani.
"Le tue dita riconoscerebbero meglio la tua forza", disse Gandalf a quel punto, "se afferrassero la tua spada".
Il Cavaliere che ci aveva parlato davanti alle porte del palazzo portò la spada del Re al suo proprietario, porgendogliela per l'elsa. Théoden la accarezzò, facendo provare alle dita quella vecchia sensazione di forza nell'avere la propria arma in mano. La cullava nella sua mano come se fosse sua figlia, toccandola appena. Infine ne impugnò l'elsa, liberando la lama dal fodero. La guardò risplendere, sentendo di nuovo la potenza che da sempre lo aveva caratterizzato.
Intanto Vermilinguo tentò un'ultima volta di scappare, ma Gimli lo trattenne ancora. Il Re gli lanciò un ultimo sguardo, mentre si rigirava la spada tra le mani. Fu in quel momento che il crudele l'Uomo capì di aver sbagliato corte da conquistare insieme al suo padrone Saruman.
In un attimo ci ritrovammo fuori dal palazzo, mentre il Cavaliere dai capelli biondi tendenti al rosso ed altri dei suoi cacciavano Vermilinguo da Edoras. Lo tenevano dal mantello nero e lo lanciarono giù dalle scale che permettevano di arrivare al palazzo. Lanciò un grido di terrore, per poi ruzzolare giù per la prima rampa. Il Re cominciò ad avvicinarsi a lui, continuando a mantenere la spada in mano. A quella vista, il suo malvagio consigliere cominciò a indietreggiare, strisciando sulla rampa successiva esattamente come il verme che era.
"Ti ho sempre e solo servito, mio signore", disse ancora, guardandolo negli occhi per cercare pietà.
"Le tue stregonerie mi avrebbero fatto camminare a quattro zampe come una bestia", continuò ad avanzare verso il suo nemico, riservandogli solo disgusto e pena.
"Non mi allontanare da te", supplicò ancora l'altro, notando finalmente le vere intenzioni di Théoden.
Quest'ultimo, infatti, alzò la spada in aria, pronto a sferrare il colpo di grazia contro quell'Uomo spregevole. Probabilmente, a guardare la parte irrazionale del nostro animo, nessuno di noi l'avrebbe fermato. Nessuno di noi avrebbe lasciato che Vermilinguo vivesse dopo tutto il Male che aveva sparso.
Solo Aragorn, però, si fece ancora guidare dalla ragione e intervenne. Bloccò il braccio del Re, tenendolo tra le sue mani ben stretto e facendolo abbassare senza colpire Vermilinguo. "No, mio signore", gli ordinò, capendo davvero che non sempre era giusto spargere il sangue di chi davvero sembrava se lo meritasse. "Lascialo andare. Troppo sangue è stato versato a causa sua", quando vide che il Re aveva capito che non sarebbe stato giusto ucciderlo, allentò la sua presa fino a distaccarsi completamente. Dopodiché, fece per tendere la mano a Grima, ma lui lo guardò con disgusto e sputò su quella mano tesa con un minimo di gentilezza. Si alzò da terra e cominciò a farsi largo tra la folla che si era accalcata attorno al palazzo con maleducazione e cattiveria, spingendo le persone da una parte o dall'altra solo per poter uscire il prima possibile da quella città.
"Salute a Re Théoden!", gridò il Cavaliere che incontrammo per primo a palazzo e tutti ci inchinammo di fronte alla potenza del Re di Rohan. Tutti ci inchinammo di fronte al Re, anche se non eravamo parte del suo popolo, anche se non eravamo Uomini, anche se non possedevamo l'arte di cavalcare come i Cavalieri di quelle terre.
Ad un certo punto, però, il Re si girò verso Gandalf e verso tutti noi in generale, turbato ed in cerca di risposte. "Dov'è Théodred?", chiese, guardandoci disperato. "Dov'è mio figlio?"
Nessuno diede risposta, chi per inconsapevolezza e chi per la consapevolezza che nessun genitore sarebbe in grado di sopportare un dolore tanto grande. Nessun genitore dovrebbe sopportare un dolore tanto grande, poiché nessun genitore dovrebbe vedere il proprio figlio morire. Non si può vivere tanto a lungo da assistere alla morte dei propri figli e non è possibile che un figlio abbia una vita tanto breve. Come avrebbe potuto Théoden sopportare quel peso sul cuore? Come avrebbe potuto vivere sapendo che gran parte del suo cuore se n'era andata, perduta per sempre? Nemmeno i più grandi e potenti avrebbero potuto resistere, poiché un figlio rimane sempre una parte di te. Una parte di quell'amore che sarà sempre incondizionato e mai vano. Una parte di quell'amore che mai, si sa, sarà sprecato neanche per un solo momento. Per questo nessuno disse niente e lasciammo il Re solo nel suo dolore, pieno di rimpianti per non avere salutato il suo unico figlio come meritava.
A breve venne allestito un corteo e funerale per la morte di Théodred: tutta la città si era riunita, noi compresi, con un forte senso di solidarietà e unità nei confronti soprattutto del Re. Molti Cavalieri portavano quel corpo ripulito dai segni della battaglia e dal sangue raggrumato. Giaceva su una barella, rivestito della sua armatura e della sua cotta migliori. Stringeva la sua spada tra le mani, posta al centro del corpo, con l'elsa appoggiata all'altezza del cuore.
Tutte le donne lo piangevano, sentendo la mancanza di quella presenza costante nel regno di Rohan accanto al Re stesso. Quando i Cavalieri abbassarono la barella per poterla inserire all'interno del vero e proprio sepolcro, Éowyn iniziò a intonare una canzone. Aveva una voce candida e chiara, che scandiva bene le parole nella lingua degli Uomini che io non capivo. Esprimeva la sua tristezza e quella del suo popolo, versando nuove lacrime su una persona a lei cara. Mutava la sua espressione in dolore spesso, facendo spiccare la sua coroncina d'oro attorno al capo e i suoi capelli lunghi e biondi raccolti in una crocchia. Le parole della canzone che intonava venivano seguite anche dalle donne tra la folla, che cantavano con lei a bassa voce.
Infine, la barella venne inserita nel sepolcro insieme al viso tanto curato e agli abiti ben scelti per il figlio del Re. La porta della tomba venne chiusa ermeticamente con mattoni, cosicché nessuno potesse portar via quel corpo così giovane e puro. E come il suo corpo, sulla sua tomba vennero lasciati cadere fiori bianchi e candidi, simbolo dei Re passati di Rohan. Fiori immacolati che avrebbero sempre ricordato Théodred com'era veramente per suo padre.
Il funerale fu presto finito e tornammo a palazzo tutti insieme, tranne Théoden e Gandalf. Il Re aveva bisogno di qualcuno che lo confortasse, che lo aiutasse a capire che neanche la morte di suo figlio era stata vana. Non tutti sarebbero stati in grado di pronunciare le parole giuste per aiutarlo al meglio. Nessuno tranne Gandalf sarebbe stato in grado di consolare un genitore che aveva perso il proprio figlio. Non era cosa facile, perché un'esperienza simile non la si dimentica. Non ci si dimentica mai della morte di qualcuno a noi caro, nonostante il tempo e lo spazio che ci distanziano da quella morte. Nonostante tutte le nuove azioni che compiamo dopo la morte di quella persona, niente ci separerà mai da quella parte significativa di noi che avevamo sempre avuto. Niente riempirà mai quel vuoto che quella persona ci aveva lasciato. Per quanto nella vita conosciamo continuamente nuove persone, nessuna sarà mai come quella che abbiamo perso. Nessuno avrà mai lo stesso valore nella nostra vita, nessuna camminerà al nostro fianco allo stesso modo, accompagnandoci lungo quel sentiero che non sapremo mai dove finisce. Per questo nessuno di noi era stato al fianco di Théoden dopo il corteo di suo figlio: nessuno di noi sarebbe stato davvero capace di compatirlo e di fargli capire che disperarsi troppo e per troppo tempo sarebbe stato inutile.
Mentre osservavo i due dall'alto del palazzo, qualcosa attirò la mia attenzione in prossimità di Edoras. Si avvicinavano un cavallo con in groppa due bambini. Anche Gandalf si girò a guardarli nello stesso istante, attonito alla vista di quei due piccoli Uomini in sella ad un cavallo tanto grande e maestoso. Ad un certo punto, però, il bambino che era seduto indietro cadde dal cavallo, accasciandosi proprio ai piedi del suo destriero.
"Mia signora", chiamai Éowyn, la quale, scoprii, era la figlia di una sorella del Re. Lei raggiunse il mio fianco, guardandomi con aria interrogativa. Subito le indicai ciò che Gandalf ed io avevamo scorto in lontananza.
La donna non esitò più di un attimo e accorse subito per andare a salvarli. Io la raggiunsi per aiutarla, seguendo il luccichio che emanava la sua coroncina, il suo vestito da funerale che svolazzava al vento, alzando di poco la gonna lunga fino alle sue caviglie. La seguii fin là, dove giungemmo in breve tempo grazie alla velocità con cui ci eravamo subito precipitate.
Quando giungemmo dai due bambini a cavallo, Éowyn prese il destriero dalle redini. Sulla sua groppa si trovava ancora una bambina dai capelli biondi e candidi. Aveva il viso sporco di polvere sulle guance paffute. Steso a terra si trovava un bambino dai capelli più scuri della sorella. Sembrava più grande di età e aveva un viso molto stremato probabilmente dal viaggio e dalla mancanza di cibo e sonno. Lo presi in braccio, tenendolo stretto a me meglio che potevo. Era molto leggero, nonostante il suo peso fosse maggiore per via dello svenimento. Éowyn ed io cominciammo ad incamminarci nuovamente verso il palazzo, mentre Gandalf e Théoden erano ormai alle porte di quest'ultimo. Dall'alto della corte sorgeva anche Legolas che mi osservava con quegli occhi azzurro ghiaccio. Lo sguardo serio e penetrante di chi vuol dirti che hai fatto un'azione buona e giusta. Non potei far altro che sorridere, distogliendo poi lo sguardo dall'imbarazzo come era già successo al nostro primo incontro.
Quando fummo nuovamente nella sala del trono di Re Théoden, cercammo di svegliare il bambino dal suo svenimento. Non fu difficile, poiché ciò che più aveva influenzato la sua perdita di sensi era la fame. Presto li accomodammo attorno ad un tavolo di legno che si trovava in quella stanza e il Re offrì loro del cibo per ristorarsi. Ciò che ci raccontarono come prima cosa fu stravolgente: l'Ovestfalda, un territorio appartenente a Rohan e il luogo da cui provenivano, stava bruciando ed era stata invasa dagli Orchi di Saruman. Nessuna notizia fu peggiore per il Re, oltre a quella sulla morte di suo figlio. I suoi territori stavano venendo continuamente conquistati e distrutti dallo Stregone Bianco, senza pietà né ritegno. Presto sarebbero arrivati a Edoras e non sarebbe stato difficile far crollare quella città come tutte le altre.
Mentre i bambini mangiavano, Éowyn ed io continuammo a stare al loro fianco. Lei prese parola dopo parecchio che eravamo riuniti lì tutti insieme, rivolgendosi al Re. "Non erano stati avvertiti, erano disarmati", disse, alzandosi in piedi. "In questo momento gli Uomini si stanno spostando attraverso l'Ovestfalda mentre brucia".
"Dov'è mia mamma?", chiese la bambina dai capelli biondi ed io la coprii con il mio mantello Elfico, cercando di confortarla come potevo.
"Questo è solo un assaggio del terrore che Saruman sguinzaglierà", intervenne Gandalf, sedutosi accanto al Re disperato per la situazione che stava vivendo. "Sarà sempre più spietato, poiché ora è spinto dalla paura di Sauron. E lo affronteremo a testa alta. Allontanalo dalle donne e dai bambini", lo incoraggiò, prendendogli una mano appoggiata su uno dei braccioli del trono. "Devi combattere".
"Hai duemila Uomini che cavalcano verso nord mentre noi parliamo", disse Aragorn, seduto con Legolas e Gimli in un tavolo non troppo distante da noi. "Éomer ti è fedele. I suoi uomini torneranno e combatteranno per il loro Re".
Théoden si alzò, dirigendosi verso l'Uomo dai capelli color pece con fare minaccioso. "Saranno a trecento leghe lontani da qui ormai. Éomer non può aiutarci", disse afflitto, sospirando. Gandalf si alzò da dove era seduto, avvicinandosi al Re che si girò di scatto verso di lui. "Lo so cosa vuoi da me, ma non arrecherò ulteriore morte al mio popolo. Non rischierò una guerra aperta".
"La guerra aperta incombe su di te, che tu voglia rischiarla o no", rispose Aragorn.
"Se ricordo bene, Théoden, non Aragorn, è il Re di Rohan", disse bruscamente il Re.
"Allora qual è la decisione del Re?", chiese lo Stregone, guardandolo negli occhi chiari.
In un attimo, dopo la risposta del Re, ci trovammo fuori da corte. Il popolo faceva un gran caos tra le vie della città. Tutti raccoglievano le proprie cose, entrando e uscendo dalle case.
"Per ordine del Re la città va abbandonata", gridava il Cavaliere che ci aveva aperto le porte del palazzo all'inizio. "Troveremo rifugio al fosso di Helm. Non caricatevi di tesori, portate solo le provviste necessarie".
Intanto, noi cinque vagavamo senza meta tra quelle persone, spaventate e per niente pronte a partire. Sentivo chiaramente i loro pensieri e i loro interrogativi più profondi. Una sola domanda, però, riempiva le teste di tutti: ce l'avremmo mai fatta a sopravvivere?
Come in risposta alla loro e alla mia domanda, lo Stregone iniziò a borbottare: "Il fosso di Helm! Fuggono sulle montagne quando dovrebbero farsi avanti a combattere", esclamò alterato. "Chi li difenderà se non il Re?"
Ci introducemmo in una stalla di cavalli, dove erano stati lasciati anche i nostri. Legolas e Gimli rimasero fuori da quel luogo, mentre Gandalf continuava a mugugnare su ciò che aveva deciso il Re.
"Sta solo facendo ciò che pensa sia il meglio per la sua gente", disse Aragorn, cercando di placare la vana rabbia del suo amico.
"Non c'è via di scampo da quella gola. Théoden si dirige verso una trappola", raggiungemmo il posto in cui avevano fatto accomodare Ombromanto e Aragorn aprì il cancelletto della recinzione che lo circondava. "È convinto di condurli alla salvezza, ma vanno incontro a un massacro", Gandalf entrò, accostandosi al suo fedele destriero. "Théoden ha una volontà forte, ma temo per lui. Temo per la sopravvivenza di Rohan. Egli avrà bisogno di te, prima della fine, Aragorn. La gente di Rohan avrà bisogno di te. Le difese devono reggere".
L'Uomo dai capelli color pece guardò me e poi lo Stregone. "Reggeranno", rispose infine, convinto che sempre ce l'avremmo fatta.
Lo Stregone iniziò ad accarezzare il manto candido del suo cavallo. "Il Grigio Pellegrino: così mi chiamavano. Per trecento vite degli Uomini ho vagato su questa Terra e ora non ho tempo", Aragorn aprì nuovamente il cancelletto, mentre Gandalf montava su Ombromanto pronto per la partenza. "Se ho fortuna, la mia ricerca non sarà vana", ci guardò dall'alto del suo destriero e mi fece l'occhiolino come ormai gli era caratteristico. "Attendete il mio arrivo, alla prima luce del quinto giorno. All'alba, guardate a est".
Entrambi annuimmo, convinti che non avrebbe infranto questa sua promessa. Rispondemmo all'unisono: "Va'".
Lo Stregone spronò il suo cavallo e partì attraverso la stalla, facendosi largo tra coloro che si trovavano in quel luogo. La sua veste brillava alla luce del sole insieme al manto del suo destriero. Sfrecciavano via da Edoras come una forma angelica unica e inseparabile. Nessuno avrebbe saputo mai dove erano diretti, ma sapevamo per certo che avrebbe salvato il crudele destino di Rohan. Eravamo certi che, qualsiasi fosse il luogo verso il quale si stava dirigendo lo Stregone, il suo viaggio non sarebbe stato vano.
"Sopravviveremo, vero?", chiesi ad Aragorn e mi guardò con aria severa, quella che lo caratterizzava da quando era un Uomo adulto. Mi scrutò con i suoi occhi azzurri e profondi, quasi a volermi trasmettere qualcosa che io non riuscivo a capire. Infine, annuì a quello che avevo detto, nonostante sembrasse che non fosse poi molto convinto della risposta che mi aveva dato. Spesso mi lasciava perplessa, incapace di capire quegli occhi impenetrabili e che non lasciavano trasparire alcuna emozione. Possibile che dopo tutti quegli anni non ero ancora in grado di percepire le sue emozioni come mie? Possibile che altri, come Legolas, riuscivano a farmi scorrere i loro sentimenti nelle vene, ma Aragorn no? Colui che da sempre mi aveva difesa, custodita, curata... colui che non avrebbe lasciato mai quel posto che aveva riservato nel mio cuore. Non percepivo quella sintonia che con molti avevo con l'Uomo più importante e per eccellenza per me. Non percepivo quella sintonia che mi aveva legata sin da subito a mia sorella. Non la percepivo, nonostante entrambi avessero lo stesso peso nel mio cuore e nella mia vita. Nonostante entrambi fossero dei grandi granellini di sabbia che da sempre mi avevano accompagnata. Non capivo cosa ci fosse che rompeva quel legame e non lo faceva mai riavvicinare. Forse, però, era semplicemente il fatto che non stavamo più vivendo quei nostri anni felici e spensierati.
Presto riuscimmo a partire per il fosso di Helm, lasciando alle nostre spalle la città di Edoras. Ognuno degli abitanti di Rohan aveva con sé il necessario come richiesto dal Re e dal Cavaliere stesso. Viaggiavamo a cavallo, a volte smontando, a volte in sella. Ognuno cercava di distrarsi, parlando con l'uno o con l'altro vicino e cercando di mantenere viva quella speranza che pensavamo ci avesse abbandonati. La speranza, però, non abbandonava mai nessuno. Solo chi si allontanava da lei, l'aveva veramente persa. Non era pensiero che tornava facilmente alle nostre menti, soprattutto quando sembrava niente si potesse fare per rimediare alla situazione. Non sempre la luce si presentava viva e chiara alla fine del tunnel. A volte era necessario credere che lo fosse perché ci illuminasse veramente la mente e ci ridesse la ragione.
Durante quel nostro viaggio, spesso stetti accanto all'Elfo biondo, che portava il suo cavallo dalle redini la maggior parte delle volte. Non parlavamo spesso, forse perché non era necessario, forse perché niente avevamo veramente da comunicarci. In quel silenzio mi accorsi che poche erano le parole che ci eravamo scambiati fino a quel momento, spesso anche prive di un vero valore.
In quel cammino, però, una volta conversammo di argomenti veramente significativi e che lasciarono un segno importante sul mio cuore. Era come una cicatrice che mai aveva fatto male, neanche quando me l'avevano tracciata.
"Tinuviel", mi chiamò Legolas ed io mi girai a guardarlo con aria interrogativa, mentre trainava il suo destriero dalle redini, avanzando col capo chino per riflettere, "è tempo che vorrei discorrere con voi di un fatto che mi ha stupito".
"Ditemi", lo incitai, sorridendogli.
"Dopo la battaglia all'Amon Hen con gli Uruk-hai, avevo notato qualcosa di insolito in voi", continuò lui. Si toccò le orecchie a punta, caratteristiche degli Elfi. "Non avete le punte alle orecchie, non è così?"
Subito strabuzzai gli occhi e gli feci segno di stare zitto, portandomi il dito indice alle labbra. "Abbassate la voce", gli ordinai e mi avvicinai a lui. "Solo Aragorn ne è a conoscenza".
"È per questo che nessuno nella Terra di Mezzo conosce il vostro nome, nonostante siate la figlia di Re Elrond?", mi chiese, quasi sussurrando. Abbassai lo sguardo, sentendomi una lacrima scendere a bagnare il mio viso. La asciugai in fretta con il pollice della mano sinistra, cercando di non far notare la mia tristezza all'Elfo accanto a me. "Non nascondetevi con me", disse ancora lui, mettendomi due dita sotto il mento per costringermi a guardarlo negli occhi. "Che cosa vi è successo?", domandò nuovamente, ormai incuriosito da quel mio sguardo angosciato.
Presi un grande respiro, espirando più aria che potevo e cercando di rilasciare i miei pensieri negativi in quel momento. "Molti anni fa, alla mia nascita, venni rapita dagli Orchi di Sauron", cominciai e lui mi ascoltò in silenzio, con lo sguardo assorto in un punto nel vuoto. "Non ne ho mai compreso il motivo, ma probabilmente fu solo perché ero la prima figlia del grande Re Elrond. Quando mi rapirono, mi tolsero ciò che era più caratteristico degli Elfi appena nati: le nostre orecchie a punta. Volevano che assomigliassi il più possibile ad una creatura comune che semplicemente potevano uccidere e più volte, infatti, cercarono di farlo. Mio padre intervenne in tempo come da sempre fa, ma gli Orchi di Sauron erano e sono convinti che io non sia sopravvissuta", d'un tratto, l'Elfo mi afferrò la mano con la sua libera, cercando di darmi la forza di cui avevo bisogno in quel momento. "Per quanto quelle spie mi avessero tolto ciò che più mi accomunava ad un Elfo, mio padre mi tolse tutto ciò che mi rimaneva. Per anni e anni sono rimasta rinchiusa a Gran Burrone, dov'era impossibile scappare e liberarsi da quella prigionia. Persi tutte le mie abilità di Elfo e le sto riacquistando solo ora. Quando ci incontrammo la prima volta", arrossimmo entrambi, "fu proprio dopo che mi fui liberata da quella reclusione e proprio prima che convincessi mio padre perché mi facesse uscire nuovamente allo scoperto dopo tutti quegli anni".
Legolas rimase molto in silenzio, come riflettere su quale risposta darmi. Non era semplice sicuramente, capivo perché mio padre aveva deciso di nascondere una figlia per tutti quegli anni. Sapevo che sarebbe stato un rischio raccontargli la mia vera storia, però mi fidavo veramente di quell'Elfo dagli occhi azzurro ghiaccio. Mi fidavo e sapevo che non avrebbe sperperato in giro per la Terra di Mezzo il fatto che Re Elrond aveva un'altra figlia. E, anche se lo avesse fatto, sicuramente la notizia non sarebbe arrivata sino alle orecchie di Sauron. "Sono settimane che mi chiedo perché non vi avevo incontrata prima", disse lentamente e scandendo bene le parole. "Percepivo spesso qualcosa di negativo in voi, a volte semplicemente dei vostri pensieri. Non avrei mai pensato ad un'esperienza tanto grave per voi".
"È solo grazie ad Aragorn se sono qui con voi tutti in questo momento", risposi, guardando il mio amico. "È solo grazie a lui se so combattere".
"Siete buoni amici", mormorò Legolas e fece per aprire la bocca per dire altro, ma il grido di un Cavaliere di Rohan ci distrasse.
"I Mannari!", urlò da molto più avanti di noi.
La terra cominciò a tremare sotto il passo dei Mannari che portavano gli Orchi in groppa. Il popolo di Rohan perse la calma e, soprattutto le donne, cominciarono ad agitarsi. Legolas puntò lo sguardo lontano, da dove arrivavano i rumori degli Orchi e dei Mannari.
"Tutti i Cavalieri in testa alla colonna!", ordinò Re Théoden non troppo lontano da noi.
In quel momento vidi Éowyn che guardava entusiasta la battaglia. Sarebbe stata la sua occasione per dimostrare che non era tanto diversa dagli Uomini e avrebbe dimostrato il suo vero valore. Avrebbe dimostrato che anche le donne erano in grado di dare il loro contributo in guerra, che non erano tanto diverse dai Cavalieri stessi.
Il Re, però, la guardò e continuò con i suoi ordini. "Devi condurli al fosso di Helm, e in fretta".
"Posso combattere", protestò lei.
"No, devi farlo per me", continuò Théoden.
Raggiunsi i due di corsa, cercando di fare la cosa giusta. "Mio signore, accompagnerò io Éowyn sino al fosso di Helm", dissi.
"Ti ringrazio", rispose il Re, salutandoci chinando il capo davanti ad entrambe.
La donna dai capelli biondi accanto a me mi sorrise, quasi perché il vero motivo per cui voleva combattere fosse il non rimanere da sola a condurre l'intero popolo. "Rimanete uniti!", ordinò al popolo di Rohan, facendo loro segno di compattarsi e avvicinarsi maggiormente.
Nel frattempo, vidi Legolas sfrecciarmi davanti e lo chiamai. Lui si girò nella mia direzione, dirigendosi un'ultima volta verso di me in tutto quel caos di Uomini e donne di Rohan e Cavalieri che correvano verso la battaglia. Quando arrivò davanti a me, gli presi una mano tra le mie. "State attento", gli sussurrai in Elfico e lui mi sorrise, allontanandosi da me definitivamente. Mi lasciò lentamente la mano, sfiorando fino all'ultimo le mie dita. Lo guardai ancora correre tra tutti quei Cavalieri, finché fu quasi impossibile riconoscerlo in tutto quell'ammasso di soldati pronti alla battaglia. In quel momento non sapevo se mai sarebbe tornato indietro e avesse raggiunto tutti noi al fosso di Helm, ma ero quasi convinta che difficile sarebbe stato per gli Orchi ucciderlo. Molte erano state le volte in cui lo avevo visto combattere e sempre avevo notato quanto fosse agile e capace nei suoi movimenti. Come fosse elegante il modo in cui incoccava la freccia nell'arco, tendendone la corda. Nessuno ne era in grado come lui.
La voce di Éowyn mi riportò alla realtà e subito la raggiunsi accanto al suo destriero. "Avete bisogno di una mano, mia signora?", chiesi e lei fece segno di no con la testa. Percepii turbolenze nel suo animo, come se non si trovasse nel posto in cui avrebbe voluto essere veramente. Nessuna aura negativa la circondava, ma ciò che pensava non era per niente ottimistico e positivo. "C'è qualcosa che turba il vostro animo".
La donna mi guardò, mostrando i suoi occhi facilmente penetrabili. Ogni sua emozione era ben visibile attraverso le sue iridi chiare. "Avrei voluto combattere come loro stanno facendo", mi mentì, sfoderando un sorriso triste e malinconico. Poi riportò il suo sguardo davanti a sé, come per dirmi che non voleva conversare di ciò che veramente la turbava. Io, però, continuai a guardarla, convinta che, in un modo o nell'altro, mi avrebbe confessato ciò che veramente la angosciava. Dopo non molto, si girò nuovamente a guardarmi. "Sono consapevole del fatto che sapete cosa mi rende triste", disse finalmente.
"So anche che ne siete consapevole", risposi, sorridendole maliziosamente. "È anche ciò che rattrista me".
"Sire Aragorn...", mormorò Éowyn, alzando gli occhi al cielo in una silenziosa preghiera.
"Mia signora, è l'Uomo migliore che abbiate mai potuto scegliere", le dissi e lei annuì, convinta che i suoi sentimenti avrebbero veramente trovato un ricambio da parte di Aragorn. La donna dai capelli lunghi e biondi non sapeva che un'altra lo aspettava a leghe e leghe da dove ci trovavamo noi. Non sapeva che il cuore del suo amato apparteneva ormai ad Arwen da molto tempo e niente nella Terra di Mezzo gli avrebbe fatto cambiare idea a riguardo. Neanche la volontà di mio padre era riuscita a fermare l'amore che provava nei confronti dell'Elfo femmina. Neanche la volontà di mio padre aveva frantumato il legame che da sempre intrecciava i loro i cuori e i loro destini. Niente, quindi, sarebbe mai stato in grado di mutare quell'amore eterno e incondizionato che caratterizzava il loro rapporto sin dal momento in cui si erano incontrati per la prima volta.
"Finalmente!", gridò una donna da non molto più avanti di noi, scorgendo ciò che noi non potevamo vedere. "Il fosso di Helm! Eccolo lì, il fosso di Helm!"
Éowyn ed io guardammo davanti a noi e, dall'alto della collina in cui ci trovavamo, scorgemmo finalmente l'entrata aperta del nostro rifugio. Altri Uomini e donne si trovavano dentro il possedimento del Re di Rohan, scappati in quel luogo dopo l'incendio dell'Ovestfalda. Chi si trovava di tanto più avanti a noi riusciva già ad entrare in quella fortezza costruita dentro la montagna. Presentava alte cinta di mura di pietra, con torri di attacco. Sembrava fosse già tutto pronto per la battaglia prossima che avremmo dovuto affrontare. Sapevamo che non sarebbe bastato nasconderci perché il Nemico non ci attaccasse. Non dovevamo comunque abbassare la guardia, perché, se lo avessimo fatto, il peggio ci avrebbe assalito. E niente più ci avrebbe salvato in quel momento, neanche la speranza che tenevamo celata nell'angolo più buio del nostro cuore.
"Siamo salvi, mia signora", disse un'altra donna accanto a noi. "Grazie", ci guardò entrambe, sorridendo calorosamente a chi, oltre a Re Théoden, aveva contribuito a salvare il proprio popolo. La propria gente che, in ogni caso, sarebbe dovuta sfuggire dalla grande mano del Nemico, prima che ci acciuffasse per stringerci tutti in una morsa.
Presto fummo anche noi dentro il fosso di Helm, con Uomini e donne che si muovevano da un lato all'altro per prepararsi alla sopravvivenza e ambientarsi in quella specie di galleria infissa nella montagna. La pietra di cui era costruita la grande fortezza era di un colore lucente che sembrava facesse tornare un certo bagliore negli occhi di tutte quelle persone. Sembrava che la vera speranza stesse per mostrarsi davvero per quello che era: un raggio di sole dopo un'intensa giornata di pioggia. Un raggio di sole la mattina dopo una nottata turbolenta, passata a girarsi e rigirarsi tra le lenzuola. Un raggio di sole che illuminava l'intero nostro mondo, facendoci scorgere il Bene che ancora c'era tra le creature della Terra di Mezzo. Un raggio di sole che riscaldava i nostri animi come un abbraccio da parte della persona amata.
In quel raggio di sole, Uomini e donne si ritrovavano, si scambiavano gesti d'affetto, pronti a ciò che li aspettava veramente. I bambini che arrivarono a Edoras dall'Ovestfalda ritrovarono la loro madre, abbracciandola probabilmente come mai prima di quel momento. Erano quelli i momenti in cui l'amore nei confronti di una persona era ciò di più fondamentale. Niente di più, niente di meno che l'affetto racchiuso in un bacio, in una carezza. Tutto racchiuso in quel poco che ci bastava.
"Fate largo a Re Théoden!", gridò un Cavaliere dall'entrata, non troppo tempo dopo che il popolo di Rohan era riuscito a rifugiarsi completamente nel fosso di Helm. "Fate largo al Re!"
Pochi furono i Cavalieri ad entrare, molti pochi rispetto a quelli che avevamo lasciato alla battaglia con gli Orchi e i loro Mannari. Non li vidi entrare tutti, poiché molti del popolo si accalcarono davanti al portone d'ingresso per accoglierli e ritrovare chi avevano di più caro. Molti Uomini e donne, però, non videro tornare chi stavano aspettando. C'erano tanti feriti, ma mai quanti i morti. Li avevano lasciati a marcire in quel luogo lontano e isolato, senza un corteo né un funerale. Niente più si poteva fare per salvarli. Le nostre perdite furono abbastanza da far nascondere nuovamente la nostra speranza nell'angolo più remoto dei nostri animi.
Éowyn tradusse i miei pensieri, rivolgendosi a Re Théoden. "Così pochi?", chiese incredula. "Così pochi di voi sono tornati!"
Il Re, ancora sul suo destriero, ci guardò dall'alto. "La nostra gente è al sicuro", disse sollevato almeno da questo. "Questo l'abbiamo pagato con molte vite".
Dopo quelle parole amare, si allontanò da noi per andare a lasciare il suo cavallo probabilmente nelle stalle. Anche i loro destrieri ne avevano affrontate molte in quel combattimento e avevano bisogno di riposarsi esattamente come ne avevano bisogno i Cavalieri.
Ad un certo punto, Gimli si avvicinò ad Éowyn e me con l'elmo calato. "Mie signore...", ci chiamò ed entrambe lo guardammo, scorgendo la tristezza nei suoi occhi.
"Sire Aragorn dov'è?", domandò la donna accanto a me.
"È caduto", ci disse disperatamente.
La donna dai capelli lunghi e biondi si allontanò da noi, con gli occhi chiari che brillavano di lacrime. L'Uomo che dal primo momento aveva amato... caduto, andato, perduto. L'unico che sapeva, e sapevamo, sarebbe ritornato, non l'aveva fatto.
Guardai l'Elfo proprio davanti a me, pochi passi dietro il Nano. "Legolas, quello che dice Gimli è vero?"
Lui mi mostrò il ciondolo che mia sorella aveva regalato ad Aragorn: splendeva ancora della sua solita luce, con le varie pietre preziose incastonate che da sempre brillavano sul petto del mio amico. L'Elfo biondo non disse altro, richiudendo poi a pugno la sua mano e stringendo ciò che ancora rimaneva dell'Uomo dai capelli color pece. Si diresse poi verso di me, spalancando le braccia. Mi strinse a sé più che poteva, cercando di evitare che lacrime mi bagnassero il viso. Cercai anch'io di soffocare il mio dolore, nascondendo il viso nel suo petto perché le lacrime non mi rigassero le gote.
Non potevo credere che la persona che da sempre era stata al mio fianco non fosse più su questa Terra. Non era possibile che chi da sempre avevo amato se n'era semplicemente andato. Mai nessuno avrebbe potuto riempire il vuoto che l'Uomo aveva lasciato nel mio cuore con la sua morte. Niente e nessuno avrebbe mai potuto ricoprire il suo ruolo importante nella mia vita. Mai avrei accettato la sua morte per quello che era veramente.

Ciao, ragazzi! Spero il capitolo vi piaccia e buona lettura!😘

Non Può Valere più di Lui || Il Signore degli Anelli // COMPLETAWhere stories live. Discover now