Capitolo 15

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Canzone consigliata per leggere il capitolo "Dermot Kennedy - What have i done".

Buona lettura😘

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POV'S BROOKLYN / SAVANNAH

Quella notte non riuscii a chiudere occhio...

Continuavo a pensare alla pseudo conversazione con Matt e a quanto ero stata vigliacca. Fuggire è sempre stata la mia unica soluzione da quando ne ho memoria. Mi ricordo ancora la prima volta che lo feci e al dolore fisico che avevo sentito dopo.

Avevo all'incirca tre anni e mezzo, stavo giocando a pallone in casa, mio padre mi aveva ripetuto più volte che non dovevo farlo, ma mi stavo annoiando, lui era uscito per andare ad ubriacarsi, non mi aveva lasciato niente da mangiare e nella dispensa cerano solo bottiglie di Scotch.

Stavo giocando nel corridoio quando ad un tratto ho calciato troppo forte e la palla ha rotto una piccola statua di porcellana che si trovava sulla credenza vicino alla porta.

Non feci in tempo a raccogliere i pezzi, perché mio padre aprii la porta e la prima cosa che vide fu il casino che avevo combinato. Si voltò verso di me con gli occhi fuori dalle orbite e iniziò a insultarmi.

"Brutta stupida guarda che hai fatto! Ti avevo detto di non giocare con quella cazzo di palla"

A ogni parola che diceva faceva dei passi verso di me mentre io ne facevo altrettanti indietro.

"Adesso ne pagherai le conseguenze..."

Lo vidi sfilarsi la cintura dei pantaloni e arrotolarsela fra le mani, non mi aveva fatto mai niente fino a quel giorno, ma a vederlo così arrabbiato iniziai a scappare e mi nascosi sotto il letto. Il peggio fu il silenzio interminabile che ci fu tra la mia fuga e la sua intenzione di scovarmi. Tremavo come una foglia, e la cosa peggiorò quando vidi i suoi scarponi vicino al letto. Cercavo di trattenere il fiato e di piangere silenziosamente, ma non servii a niente, perché sentii le sue mani stringersi intorno alle mie caviglie e tirarmi fuori così in fretta che non riuscii a schivare il primo colpo.

Da quel giorno capii che quell'uomo non era più mio padre, era qualcun altro che si era impossessato di lui e non lo abbandonò più. Ogni giorno speravo che cambiasse, per me, per lui, per il nostro futuro, ma niente...la situazione degenerava e basta. Lui continuava a ubriacarsi, a infliggermi dolore fisico e psicologico e io continuavo a scappare. A volte funzionava ma dopo ne pagavo le conseguenze e altre volte non riuscivo neanche a fare due passi.

Ma non ho mai smesso di provarci.

E dopo ieri sera ho capito che la mia è solo codardia. Matt non è quell'uomo ma non mi fido abbastanza per potergliene parlare, per potergli dire chi sono veramente. Non ne ho il coraggio e anche se ci provassi per lui sarebbe troppo rischioso, perché sono consapevole che quell'uomo mi cercherà e prima o poi mi troverà e se dovessi far avvicinare Matt, mio padre ne approfitterebbe per rendermi ancora più debole e gli farebbe del male. E questo non posso permetterlo.

Con questi pensieri che mi hanno tormentato tutta la notte decido che l'unica cosa che posso fare per svagare la mente è uscire. Sono solo le otto di mattina ma so che se continuo a rimanere fra queste mura il mio cervello inizierebbe a vagare troppo sulla mia situazione, e non voglio che questo accada.

Esco di casa avviandomi verso il pontile dove di solito al mattino presto si ritrovano diversi pescatori che aspettano il pesce giusto per poi andarsene. Per fortuna però non c'è nessuno se non un uomo che si trova seduto all'estremità del ponte e mi da le spalle.

Cerco di avvicinarmi cercando di non disturbarlo ma lo scricchiolio del legno sotto di me lo fa sobbalzare e voltare.

"Mi...mi scusi non volevo disturbarla"

Il suo volto sembra familiare. Mi fissa come se gli avessi rovinato il momento e questo mi fa agitare ancora di più ma per fortuna dopo qualche secondo mi fa un piccolo sorriso.

"Non preoccuparti. Siediti pure se vuoi" mi fa cenno con la mano allo spazio vuoto che c'è accanto a lui. Mi siedo cercando di mantenere una certa distanza e inizio a fissare l'oceano infinito che si staglia davanti a noi.

"La quiete della mattina fa riflettere..."

"Già..." mi giro per osservarlo e noto che ha gli occhi chiusi, tiene in mano la canna da pesca e sta lì in silenzio senza muoversi. Sembra quasi che non respiri.

"Nel tuo caso però riflettere non giova molto al tuo aspetto"

Sobbalzo nel momento in cui inizia a parlare, si volta verso di me aprendo gli occhi e vedendoli capisco che non è un semplice sconosciuto.

"Lei?!" sussurro a occhi spalancati.

"Mi puoi chiamare anche Chuck"

'L'incubo non è ancora finito, ma finirà, stai tranquilla'

Le sue parole mi ritornano in mente come un pugno in pieno stomaco. Vorrei fargli delle domande ma a quanto pare lui sembra leggermi nella mente perché mi precede.

"Ti chiederai perché quella sera ti ho detto quella cosa o sbaglio?" dice senza togliere gli occhi dall'acqua.

"Già...mi conosce?"

"Non c'è bisogno di conoscere una persona per sapere che sta scappando da qualcosa di brutto" inclina la testa verso di me.

Mi scappa una piccola risata che non riesco a trattenere "Come fa a sapere che stavo scappando scusi?"

Medita alla mia domanda per qualche secondo "Vedi, ho un'età in cui l'unica cosa che ti rimane da fare è osservare e ascoltare. E...questa dote si sviluppa molto col tempo. Sono bravo a leggere gli occhi della gente."

Mi porto un ginocchio al petto come per proteggermi "E cosa ha letto nei miei?" sussurro piano come se non volessi sapere la risposta.

Fa una piccola risata senza mai staccare gli occhi dall'oceano "La domanda corretta sarebbe 'cosa non ho visto nei tuoi occhi'" e finalmente si volta a guardarmi con quelle due pozze azzurre che sento penetrarmi dentro.

Rimango lì a fissarlo e lui fa lo stesso senza però rispondere alla mia silente domanda 'Che cosa non ha letto nei miei occhi?'...Non riesco neanche a chiederglielo e così ritorno a fissare il cielo nuvoloso e Chuck fa lo stesso.

Passa qualche minuto in cui l'unica cosa che si sente è il rumore delle onde che si rovesciano dolcemente sulla sabbia accanto al pontile.

"Con lui sarai al sicuro" dice ad un tratto.

Mi volto corrugando la fronte "Lui chi?"

"Il ragazzo che sta arrivando"

"Savannah!" mi sento chiamare da lontano e voltandomi trovo Matt all'inizio del pontile. Gli faccio un segno di saluto e gli chiedo di aspetta cinque minuti.

"Come faceva a sapere che..."

"Te l'ho detto...io osservo e ascolto"

Rimango lì a osservarlo per poi voltarmi verso il ragazzo che mi sta aspettando.

"Gli spezzerai il cuore..."

Mi volto di scatto verso l'uomo che lentamente gira la testa

"Cosa?"

"Gli spezzerai il cuore..." sembra volermi dire qualcosa ma poi cambia espressione e lo trovo a sorridermi "Se non ti muovi gli spezzerai il cuore"

Continuo a fissarlo sapendo perfettamente che non voleva dire quello, ma non voglio sapere più niente, voglio solo allontanarmi da quest'uomo che come nessun altro mi ha letto dentro senza sapere chi sono in realtà.

Fuggo...di nuovo.

Run AwayWhere stories live. Discover now