Capitolo otto

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Quando i due simpaticissimi idioti con cui condividevo il tavolo della vergogna si resero conto di aver riso abbastanza per la originalissima battuta di mio cugino piombó il silenzio, rotto solo dalle note delle canzoni pop che l'indaffarato ed improvvisato DJ del bar stava mettendo.

Lo guardai e provai un moto di pena per lui; saltava, si sgolava ed incitava tutti ad andare sulla pista da ballo, cercando di non fare troppo caso al fatto che tre quarti delle persone sedute erano ultra sessantenni che non avevano assolutamente idea di chi fossero i Chainsmoker o Avicii.

Forse avrebbe avuto più fortuna con una canzone dei Ricchi e poveri.

"Dai Mimi, era solo una battuta" esordì Daniele, cercando un contatto con i miei occhi.

Brutto, pomposo idiota con il naso da aquila.

Se fossi stata un'attrice e quello fosse stato il set di un film mi sarei alzata bruscamente dalla sedia, gli occhi scintillanti di lacrime e sarei corsa in spiaggia, fermandomi al limitare del mare, lasciando che l'acqua mi bagnasse i piedi mentre guardavo la luna. E, sempre se si fosse trattato di un film, un bellissimo ragazzo mi avrebbe seguita e mi avrebbe dichiarato il suo totale ed incondizionato amore che aveva cercato di tenere nascosto per anni.

Ovviamente queste cose non accadono nella vita reale, tanto meno nella mia. Se mi fossi alzata l'unica a seguirmi sarebbe stata Sissi, e sicuramente non mi avrebbe professato amore eterno.

Mi limitai a rimanere impassibile, cercando di non dare a vedere quanta voglia avessi di tirargli un pugno su quel naso.

Forse gli avrei anche fatto un piacere.

Iniziai a torturare l'orlo del vestito con le mani, che avevano ripreso a sudare come se avessi appena finito un estenuante duello di "guerra di pollici".
Osservai le mie cosce chiare e ripensai a quello che aveva detto mio cugino, a quel nomignolo che evidentemente nemmeno un assolutamente visibile dimagrimento avrebbe potuto strapparmi di dosso.
Quanto mi ero impegnata per perdere quei chili di troppo, a quante rinunce mi ero obbligata. Eppure non era servito a nulla.

Questo è quello che succede quando fai le cose per gli altri e non per te stessa.

Gli altri non lo notano perché, in fin dei conti, non gli è mai interessato nulla di te.

Prendermi in giro non era che un passatempo come un altro, tra una partita di beach volley e un bagno al mare. Era solo capitato che fossi la persona giusta; una preda facile, già piena di insicurezze che non avevano faticato a far diventare voragini.
Era toccato a me richiuderle, era toccato a me farmi forza e non affogare in una valle di lacrime; ora, loro stavano cercando di riaprirle, non capendo quanto fosse doloroso.

"Era solo una battuta"

Quelle parole mi rimbombarono in testa e sentì sulla punta della lingua crescere un fragoroso vaffanculo.
Probabilmente lo avrei anche detto se, in lontananza, non avessi scorto la figura longilinea di Matteo farsi avanti sul lungo mare, diretto verso il nostro tavolo.

Quando ci fu vicino, per un momento, mi dimenticai della "battuta" e mi soffermai a guardarlo, cercando di non assumere un'espressione da completa idiota.
Era ancora più bello di quanto mi ricordassi: i suoi capelli lisci e castani gli ricadevano disordinati sulla fronte mentre i suoi occhi scuri vagavano da un volto all'altro, fino a posarsi nei miei.
Arrossì vistosamente e sperai che il buio della sera non mi tradisse: presto le mie guance sarebbero state sempre rosse a causa del sole e quell'orribile ed involontaria reazione del mio corpo non sarebbe stata più un problema.

"Ciao Mimi, tutto bene?" mi chiese, dandomi un bacio sulla mia guancia incandescente che non feci nemmeno in tempo a ricambiare. Venni investita dal suo profumo e il mio cuore fece un altro balzo.

Si ricordava il mio nome, anzi, il mio soprannome, e lo aveva detto con tale dolcezza che se mi fossi alzata dalla sedia probabilmente avrei spiccato il volo.
Mi limitai ad annuire, la mia gola ancora chiusa per quell'ondata di calore ed emozione che stavo provando.

Matteo si sedette davanti a me e ordinó da bere un negroni.
Cominció a sorseggiarlo, giocherellando con la cannuccia tra i denti.

Stavo invidiando una cannuccia.

Una odiosa cannuccia di plastica che probabilmente sarebbe finita in mare, andandosi ad incastrare nel naso di qualche povera tartaruga.

Come ero caduta in basso.

Matteo incominció a parlare dell'esame di maturità che avrebbe avuto in pochi giorni e di come non ne potesse più del liceo e dello studio.
Lo ascoltai in silenzio, pendendo dalle sue labbra. Quando la conversazione divagó sul calcio riuscì finalmente a riprendermi dall'incanto.

Sentì una mano sul braccio e mi voltai a guardare Luca.

Era la prima volta che notavo i suoi occhi azzurri in tutta la sera.

"Tutto bene?" mi chiese, visibilmente dispiaciuto per l'umiliazione che avevo subito pochi minuti prima.

Gli feci un piccolo sorriso accondiscendente, lasciandomi però scappare un sospiro sconsolato.

Le sue dita mi fecero una carezza sul braccio così sottile che, se non l'avessi vista, probabilmente non l'avrei nemmeno sentita.

"Anche a me prendevano in giro da bambino"

Quella era una di quelle frasi che spesso la gente ti diceva quando ti aprivi e parlavi di un passato di bullismo. Alcune volte era semplicemente circostanziale e non c'era molto di vero, altre volte, invece, trovavi anime affini e graffiate esattamente come te.

Lo guardai negli occhi e mi sembró sincero.

"Mi dispiace tanto" sussurrai, evitando di chiedergli il motivo per non risultare indelicata o curiosa.
Se avesse voluto, me lo avrebbe detto.

Decidemmo di andare a fare quattro passi in spiaggia prima di tornare a casa, nonostante fosse ancora abbastanza presto. Nè io nè Sissi avevamo un coprifuoco ma tornare all'alba non mi sembrava il modo migliore di incominciare la convivenza da figlia adottiva con mia zia.

In spiaggia il vento proveniente dal mare era molto più forte e freddo rispetto che al bar. Mi strinsi tra le braccia, maledicendomi per non essermi portata qualcosa per coprirmi.

Tipico.

Rimasi indietro al fianco di Luca, che vedendomi infreddolita si offrì di prestarmi la sua felpa.
Rimasi un attimo imbambolata mentre lui mi aiutava a metterla. Venni investita dal calore della sua pelle, ancora intrappolata nelle fibre di poliestere.

La prima cosa che pensai fu che nessun ragazzo mi aveva mai prestato un maglione o una felpa in una serata fresca di estate.

La seconda fu pregare che le mie ascelle non sudassero.

Quando Sissi mi propose di andare a casa andai a salutare Matteo, senza nemmeno degnare di uno sguardo Daniele o Francesco, intenti ad abbracciare Sissi. Lui mi fece un sorriso, scoprendo i suoi denti leggermente accavallati davanti.
Luca era rimasto in disparte, poco più in là.

"Ci vediamo domani in spiaggia, allora?" mi chiese, mentre controvoglia iniziai a togliermi la felpa.

"Certo" risposi, porgendogliela.

"Tienila pure! Siete venute in moto, avresti ancora più freddo"

Lo interrogai con lo sguardo prima di rimetterla.
"Me la puoi portare domani, non ti preoccupare"

Mi salutó con un abbraccio e prima che potessi staccarmi mi sussurró nell'orecchio una cosa che mai mi era stata detta prima da un essere umano di sesso maschile.

Non contando mio padre, ovviamente.

Seduta dietro a Sissi, mentre il suo cinquantino arrancava per la strada in salita che ci avrebbe portate a casa, mi strinsi nella felpa di Luca, annusando il suo profumo. Ripensai alle sue parole e venni investita da un calore sconosciuto.
Mi volta a guardare il mare, un'enorme distesa scura, baciata dalla luce accecante della luna piena.

Quest'estate forse sarebbe stata diversa.

Questa estate forse sarebbe stata l'estate del mio primo bacio.

Con gli occhi dell'estateWhere stories live. Discover now